Il Pass che non passa

Il Governo federale ha dato la facoltà ai datori di lavoro di introdurre il Certificato Covid per i propri dipendenti, ma tra dubbi e incertezze per ora sono ancora pochi a farlo

L’estensione del Certificato Covid al mondo del lavoro, decisa dal Consiglio federale, è entrata in vigore il 13 settembre, ma la decisione se applicare o meno questa misura è stata lasciata ai singoli datori di lavoro, creando qualche incertezza e preoccupazione, vista la mancanza di chiarezza e di regole univoche. Secondo il Decreto del Consiglio federale, il datore di lavoro è autorizzato a richiedere un certificato ai propri dipendenti nel quadro del piano di protezione aziendale e se lo fa è tenuto a sostenere i costi per i test che i lavoratori devono eseguire in questo ambito. Qual è la situazione a quasi due settimane dall’entrata in vigore di questa norma?

 

Anche se è ancora prematuro per un vero e proprio bilancio sull’uso del Certificato Covid sui posti di lavoro, in generale non c’è stata una grande adesione a questa possibilità da parte dei datori di lavoro, con alcune differenze a seconda dei settori lavorativi.

Grandi aziende
Abbiamo sondato il terreno in alcune grosse aziende presenti a livello nazionale, per capire quale fosse l’interesse nell’introdurre il Certificato Covid nei piani di protezione aziendale: Migros, Ffs, Ubs, Crédit Suisse, Swica ed Helsana hanno sostanzialmente risposto che i loro piani di protezione aziendale, che restano in vigore, hanno dato prova di sufficiente efficacia nel corso di questi mesi, e perciò al momento non è loro intenzione introdurre l’obbligo di un Certificato Covid per recarsi al lavoro. La Posta è l’unica a essere entrata in merito alla questione rispondendo che «stiamo analizzando le nuove possibilità e decideremo in seguito in quale forma le impiegheremo», ma per ora anche per loro nessun Certificato richiesto.
Il portavoce della Posta, Stefan Dauner, precisa che: «I regolamenti per le aziende contengono vari aspetti, vogliamo esaminarli attentamente e valutare in quale forma li implementeremo alla Posta. In particolare, ci interessa la questione delle conseguenze che avrebbero sulla vita quotidiana nei vari settori lavorativi. In tutto questo, per noi è importante che la Posta possa adempiere alla sua responsabilità e al suo dovere di assistenza come datore di lavoro, accogliamo perciò con favore le misure che aiutano a contenere la pandemia in modo che tutti noi possiamo finalmente godere di nuovo delle nostre vite senza restrizioni. Saremmo quindi lieti se il maggior numero possibile di dipendenti venisse vaccinato il prima possibile, perché questo faciliterà il ritorno alla normale vita quotidiana. L’attenzione rimane sulle misure per proteggere il nostro personale e mantenere i servizi di base».
Il portavoce di Migros, Tristan Cerf, spiega invece che: «Dallo scoppio della pandemia, ad eccezione di un picco minore nel marzo 2020 e uno maggiore nel novembre 2020, non abbiamo registrato più congedi per malattia in tutta la Svizzera rispetto agli altri anni».

Il sindacato Unia
Tra le grandi aziende figura anche il sindacato Unia, che raccomanda a tutti i suoi dipendenti di vaccinarsi e per tutti coloro che vengono vaccinati durante l’orario di lavoro, questo tempo sarà considerato come orario di lavoro. Inoltre, dato che molti dipendenti di Unia sono tenuti a mostrare un Certificato Covid, sia che lavorino sul campo, sia che partecipino a trattative o altri incontri con datori di lavoro, istituzioni pubbliche o comitati congiunti ecc, i test necessari per ottenere un Certificato Covid saranno pagati dal datore di lavoro.

Ristorazione e alberghiero
Nel settore della ristorazione e alberghiero la questione del Certificato Covid è particolarmente sentita, visto che dal 13 settembre i clienti sono tenuti a esibirlo per entrare in bar e ristoranti, cosa succede quindi per i lavoratori? La conferenza professionale di Unia del settore ha approvato una risoluzione secondo la quale il Certificato Covid non è la soluzione a tutti i mali, ma è sicuramente meglio di un’ulteriore chiusura. Nella risoluzione il vaccino è ritenuto un valido strumento per combattere la pandemia, ma deve rimanere una scelta personale: “I datori di lavoro non possono comminare sanzioni nei confronti dei propri dipendenti solo perché questi non sono vaccinati”, si legge. Si rende attenti anche al fatto che pure i vaccinati possono trasmettere il virus, e che quindi le misure di protezione devono restare in vigore anche nel caso venga introdotto il Certificato Covid per i lavoratori. I test devono essere gratuiti per tutti, anche per i vaccinati e devono essere fatti durante l’orario di lavoro.
I lavoratori del ramo alberghiero e della ristorazione, inoltre, non vogliono fare i poliziotti e, pur contribuendo al controllo dei certificati dei clienti, chiedono che in caso di infrazioni evidenti da parte degli avventori, queste siano gestite dai gerenti dell’azienda. In ultimo, chiedono che se le realtà aziendali dovessero subire una diminuzione della clientela a causa dell’obbligo di Certificato Covid, il Consiglio federale e i Cantoni garantiscano un prolungamento delle misure di aiuto.
Per quanto riguarda l’utilizzo del Certificato Covid per i dipendenti, Mauro Moretto, responsabile del settore a livello nazionale per Unia, ci conferma che: «Ci sono datori di lavoro che chiedono il certificato ai dipendenti, anche se al momento non mi è possibile quantificarli. Rispetto a eventuali situazioni problematiche, non ne sono stato personalmente confrontato, ma non escludo che ve ne siano».

Socio-sanitario in Ticino
Durante l’estate, l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) ha esortato i Cantoni a rendere obbligatori i test ripetuti per i professionisti della salute non guariti e non vaccinati che prestano servizio in ospedali, strutture sociosanitarie e servizi di cura e assistenza a domicilio (28 luglio), nonché l’utilizzo dei Certificati Covid per i visitatori di tali strutture (27 agosto).
In seguito a questo invito, il Consiglio di Stato ticinese a inizio settembre ha scritto agli interessati: «(…) nelle strutture sanitarie e sociosanitarie per anziani e invalidi, nei centri diurni, nei servizi nel campo delle tossicomanie così come fra l’utenza dei servizi di assistenza e cura a domicilio sono presenti in misura accresciuta persone particolarmente vulnerabili che devono essere meglio protette, e perciò risolve che tali strutture debbano incoraggiare la vaccinazione dei propri collaboratori e che il personale a contatto stretto con i pazienti, residenti o utenti per esercitare l’attività è tenuto a esibire un Certificato Covid o a partecipare a un programma di test mirati e ripetuti organizzati in azienda in modo da disporre di un test con esito negativo risalente ad al massimo 96 ore». L’organizzazione dei test è compito delle singole aziende, le quali devono prevedere controlli a campione per verifica e sono responsabili del controllo dei certificati anche di tutte le persone di età superiore ai 16 anni che entrano in tali strutture (fatta eccezione degli utenti, che sottostanno ad altre disposizioni).
La risoluzione è entrata in vigore il 15 settembre e lo resta fino a nuovo avviso. Alle strutture è dato tempo fino al 1° ottobre per adeguarsi.

Pubblicato il

27.09.2021 10:23
Veronica Galster