Il Partito socialista svizzero si è messo l’elmetto della Nato

Contrariamente a quanto era stato il caso all’inizio della sua storia, dopo la Seconda Guerra Mondiale il Partito socialista svizzero (Pss) non si è mai molto interessato ai temi di politica estera. Di solito seguiva passivamente quanto faceva il ministro degli esteri, frequentemente un membro del Pss. Durante la Guerra fredda ha seguito, senza porsi troppi problemi, l’ondata occidentale. Dopo la caduta del Muro di Berlino l’interesse è ancora scemato avendo buona parte dei dirigenti introiettato, anche se non lo avrebbero mai riconosciuto, la leggenda della “fine della storia”.

 

Il Pss, nel quale da tempi memorabili non si conduce più un’analisi seria su cosa sia l’imperialismo, si è così trovato del tutto impreparato quando Washington, seguito a ruota dalla Nato (che di per sé, sciolto il Patto di Varsavia, a rigor di logica avrebbe anche dovuto scomparire), decise di imporre manu militari le sue regole ad un mondo che considerava ormai unipolare e che doveva essere diretto evidentemente dal complesso industrial-militare statunitense.

 

La successione delle varie guerre imperialistiche (dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Somalia) non provocarono grandi reazioni. Ci si scosse dal torpore solo in occasione della guerra in Jugoslavia, anche per la presenza da noi di grosse colonie balcaniche e soprattutto durante i mesi dei bombardamenti della Serbia da parte della Nato. Che le idee fossero però parecchio confuse lo si vide in una vivacissima Arena della Srf quando la presidente del Pss Ursula Koch, favorevole ai bombardamenti Nato, si scontrò con il sottoscritto: ero allora capogruppo Pss alle Camere federali e sostenevo la posizione contraria, essendo questo intervento contrario al diritto internazionale. Tutto è cambiato dopo l’aggressione putiniana all’Ucraina.

 

Seguendo le orme del cancelliere tedesco Olaf Scholz, che dopo una breve resistenza ha ceduto di schianto sotto l’enorme pressione mediatica internazionale, anche il Pss, che in tempi non troppo lontani era stato vicino alle posizioni pacifiste e di chi chiedeva l’abolizione del nostro esercito, ora si è messo l’elmetto, sostiene che l’unica soluzione è la sconfitta russa ed è stato il più deciso nel proporre che si potevano vendere o rivendere armi svizzere all’Ucraina. Posizione quindi ben diversa da quella di buona parte della Sinistra che, soprattutto nei paesi del Sud del mondo, difende la posizione “né con Putin né con la Nato”, come ha fatto anche il ForumAlternativo.

 

Gli artefici principali di queste posizioni sono il consigliere nazionale zurighese Fabian Molina e quello grigionese Jon Pult. Entrambi ultimamente si sono distinti anche nella campagna anticinese. Molina è addirittura co-presidente dell’Ipac (Inter-Parliamentary Alliance on China), un’organizzazione anticinese, dove tra i co-presidenti ci sono i due Senatori statunitensi di estrema destra Menendez e Rubio, tra l’altro i più accaniti sostenitori della politica di rafforzamento estremo del blocco economico contro Cuba al fine di sfruttare il Covid per affamare la popolazione dell’isola. Così Molina, facendo il verso alla Pelosi, dopo aver guidato una delegazione parlamentare svizzera a Taiwan, ha fatto accettare al Consiglio nazionale una mozione che richiede maggiori contatti con il parlamento taiwanese, erede, non dimentichiamolo, del regime fascistoide di Chiang Kai-shek.

 

Pult, per non essere da meno, si sta dando da fare, come richiesto da Washington, per mettere in difficoltà i prodotti di telefonia mobile di Huawei, con la scusa che potrebbero spionarci, come se non fossimo già costantemente sorvegliati dai telefonini made in Usa. Siccome il prossimo consigliere federale socialista sarà un uomo svizzero-tedesco, alcuni maligni sussurrano che Molina e Pult, tra l’altro, stiano cercando di ben posizionarsi.


A dimostrazione di questa svolta da “Guerra Fredda” del Pss, il mensile di riflessione Denknetz (gestito da Pss e Uss) ha recentemente rifiutato un mio articolo, scritto con un esperto della realtà cinese, nel quale cercavamo in modo anche critico di fare un bilancio, per quanto possibile, di come la Cina aveva gestito la pandemia da Covid salvando perlomeno un milione di vite.

Pubblicato il

11.05.2023 11:59
Franco Cavalli