Si sono chiuse le urne nel Kurdistan iracheno per le elezioni parlamentari di domenica 20 ottobre. I curdi sono andati a votare per eleggere cento nuovi deputati che poi saranno chiamati a nominare il presidente del parlamento e il premier del Governo regionale del Kurdistan iracheno (Krg) che ha accresciuto la sua autonomia da Baghdad sin dal 1991. Nelle 1.200 sezioni l'affluenza si è attestata al 72%, nel 2018 aveva raggiunto solo il 59% degli aventi diritto al voto. Secondo i risultati preliminari, il partito democratico del Kurdistan (Pdk), guidato dalla famiglia Barzani, ha ottenuto 40 seggi su 100 mentre il partito dell'unione Democratica (Puk), della famiglia Talabani, 20.

 

Lo scontro politico

Le seste elezioni parlamentari nella storia del Krg dovevano tenersi nel 2022 ma sono state più volte posticipate per il continuo disaccordo politico tra i due principali partiti locali. “Speriamo che un governo regionale unito si formerà appena possible per migliorare la situazione dei cittadini”, aveva detto Nechirvan Barzani, presidente del Kurdistan iracheno, dopo aver votato nel capoluogo di Erbil.

Sono stati 2,9 milioni i curdi chiamati alle urne su una popolazione di sei milioni di persone. Oltre mille sono i candidati che hanno partecipato al voto, incluse 368 donne. Il Kurdistan iracheno è molto ricco di petrolio e il controllo sui terminal petroliferi ha accordato al governo regionale una significativa prosperità economica negli ultimi anni.

 

Tuttavia, durante la campagna elettorale, i politici di opposizione, in relazione al malcontento dell'elettorato giovanile spesso escluso dall'apparato amministrativo pubblico, hanno parlato di corruzione, tagli ai trasferimenti di budget da Baghdad, incapacità gestionale dei politici locali, repressione politica, crisi economica e clientelismo, come i mali che affliggono di più i curdi di Erbil così come milioni di iracheni. Il Pdk negli ultimi anni ha mantenuto una maggioranza significativa in parlamento con 45 seggi contro i 21 del Puk. Ma in questa tornata elettorale anche partiti di opposizione, fuorisciti dal Puk di Talabani, come Nuova generazione, guidato da Lahur Sheikh Jangi, e il movimento di sinistra Gorran, hanno ottenuto un maggior peso elettorale. In particolare Nuova generazione ha conquistato 17 seggi.

 

Con il Referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno del settembre 2017, il 92% degli elettori si espresse a favore dell’indipendenza del governo regionale (Krg) da Baghdad. Fortemente voluto dal Pdk di Massoud Barzani, il referendum avrebbe dovuto aver luogo già nel 2014. Tuttavia, le autorità turche e quelle iraniane insieme al governo centrale di Baghdad si sono rifiutate di riconoscere la legalità della tornata elettorale. In un clima di tensione crescente vennero chiusi gli aeroporti di Erbil e Sulaymaniyah. Non solo, l’avanzata dell’esercito regolare iracheno verso Kirkuk portò prima al congelamento del risultato del referendum e poi alle dimissioni di Barzani dopo dodici anni al potere. La Corte suprema federale irachena ha espresso parere contrario alla possibilità che le province curde possano decidere la secessione da Baghdad. 

 

Una regione off limits per i giornalisti

Come se non bastasse, il Kurdistan iracheno continua ad essere colpito, con il disco verde del Pdk di Barzani, dai raid turchi contro il partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) i cui combattenti si trovano nelle montagne di Qandil in Iraq. E anche i giornalisti curdi ne pagano le conseguenze. Lo scorso 23 agosto due reporter curde, Hero Bahaden e Gulistan Tara, della Sterk TV  parte della compagnia di produzione Chatr, sono state uccise in un raid che ha colpito il loro veicolo nella periferia della città di Sulaimaniya. In un altro attacco, un drone ha ucciso lo scorso 8 luglio il giornalista curdo, Murad Mirza Ibrahim. Le autorità turche hanno negato la loro responsabilità nei raid. “Con tre giornalisti uccisi in due mesi, la regione autonoma del Kurdistan iracheno sta diventando una delle più pericolose al mondo per i reporter. Condanniamo l'attacco e chiediamo alle autorità curde di fare luce su un crimine che è avvenuto sul loro territorio. Le autorità turche devono rispondere del loro operato”, ha commentato, Jonathan Dagher, guida della sezione Medio Oriente di Reporters Without Borders.  

 

Gulistan Tara, della città del Kurdistan del Nord di Batman in Turchia, ha lavorato come giornalista per vari media indipendenti dal 2000. Nata a Sulaimaniya, aveva 31 anni ed ha lavorato come editor per Chatr per vari anni. Tra due mesi avrebbe cominciato il suo Master a Dortmund. La Turchia ha ucciso le due giornaliste perché hanno raccontato la sua guerra e le sue politiche espansionistiche nel Kurdistan del Sud. La guerra ha causato la morte di civili, l'evacuazione di villaggi, gli incendi di foreste, e la crisi economica. È chiaro che colpire donne giornaliste che stanno documentando queste verità è un tentativo di nascondere queste atrocità. L'uccisione di civili e non combattenti, semplicemente perché sono presunti attivisti per la libertà del Kurdistan a centinaia di chilometri dalla vera zona di battaglia, è un'esecuzione illegale e un crimine di guerra”, si legge in un comunicato di Rojin, Associazione delle donne giornaliste in Kurdistan.

 

Dieci anni dal genocidio yazida

Il 2024 segna anche il decimo anniversario del genocidio yazida che ha avuto luogo nella città irachena di Sinjar per mano dello Stato islamico (Isis) nel 2014. Sarebbero tra 5mila e 6,5 mila i componenti della minoranza yazida uccisi dai jihadisti, tra il 2014 e il 2017, e 250mila ancora oggi sono gli sfollati nei campi profughi. Migliaia sono gli episodi di spostamenti forzati e di donne costrette in schiavitù sessuale, come racconta Andrea Deaglio nel suo ultimo documentario “Un milione di granelli di sabbia” (2024).

Con l’avvio delle operazioni anti-Isis della coalizione internazionale, le Unità di protezione maschili e femminili (Ypg/Ypj) e il Pkk hanno aperto un corridoio umanitario a Sinjar per mettere in sicurezza almeno 500mila rifugiati, molti dei quali yazidi. Considerati come eretici, gli yazidi avevano già subìto persecuzioni in epoca ottomana e durante la presidenza di Saddam Hussein in Iraq. La storia simbolica di Nadia Murad, rapita a Kocho e tenuta in schiavitù per tre mesi da Isis, le ha permesso di ottenere il premio Nobel per la pace nel 2018 e di diventare un simbolo dell’oppressione subìta dalle minoranze per mano dei jihadisti in Siria e in Iraq per “il suo sforzo di mettere fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra”.

 

Il governo regionale del Kurdistan iracheno (Krg) ha dato ancora una volta, e dopo una lunga attesa, prova di autonomia politica da Baghdad con le elezioni del 20 ottobre scorso. Sebbene su posizioni conservatrici, spesso favorevoli alle interferenze turche in Iraq in funzione anti-Pkk, il Pdk ha saputo costruire la sua longevità politica sul controllo del fiorente mercato petrolifero locale. Tuttavia, la completa indipendenza del Krg continua ad essere osteggiata dalla comunità internazionale con lo scopo di contenere le rivendicazioni autonomiste del Rojava e delle province curde iraniane e turche, radicate nel confederalismo democratico di Abdullah Öcalan che continua ad essere detenuto in isolamento nel carcere turco di Imrali. In questo contesto, è sempre più difficile per i giornalisti curdi documentare gli abusi dell'esercito turco, in Siria e in Iraq, come confermano ancora una volta purtroppo le storie commoventi delle uccisioni di Hero Bahaden e Gulistan Tara.

Pubblicato il 

21.10.24
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