Mentre a Roma il Cavaliere ballava il bunga bunga imparato a Tripoli sui carboni ardenti della sbrindellata politica italiana, il Colonnello sembrava solidamente ancorato a terra nel deserto libico dentro la sua tenda da beduino. Per l'Unto dal Signore il rais era un faro nella notte, un maestro da accogliere a braccia aperte: quel baciamani di Berlusconi a Gheddafi resterà a lungo nella storia degli orrori della politica italiana. E quella tenda piantata nel cuore di Roma a villa Doria Panfili, piantonata dalle Amazzoni (o escort?) al seguito del Colonnello, fu luogo di pellegrinaggio per mezzo governo, banchieri, industriali, affaristi d'ogni rango. Le scene da basso impero si sono ripetute una dopo l'altra, fino al caravanserraglio in piazza di Siena a Roma, con le giostre di cavalli e cavalieri italiani e arabi. Per il Cavaliere la democrazia è un lusso che non ci si può permettere. Nel libro degli amici del cuore, insieme al Colonnello, Berlusconi ha scritto i nomi di Putin – amato da Berlusconi per la radicalità con cui risolve i diverbi con la stampa critica verso il regime – e del dittatorello kazako Nazarbaye di cui il nostro è un po' geloso: «E' molto amato dal popolo». Il governo italiano è andato 27 volte a Tripoli, mai in India. Un rapporto solidissimo lega l'Italia alla Libia, basato sulla filosofia dei due rubinetti: quello del petrolio che deve restare aperto e quello dell'immigrazione che, al contrario, deve restare chiuso. Gli accordi siglati da Berlusconi con Gheddafi prevedono il pattugliamento della sponda meridionale del Mediterraneo, a ogni costo, dunque a costo della reclusione e del massacro di migliaia di poveracci africani in cerca di un brandello di vita in Europa. Dei diritti umani in Libia, come della sorte dei disperati migranti, Roma non si è mai preoccupata. Onore a chi svolge il lavoro sporco per noialtri. Per non parlare dei quei miliardi di euro di business che navigano tra le due sponde del mare nostrum targati Eni (25 miliardi), Enel, Finmeccanica (20 miliardi), Impregilo. Le prime due hanno a che fare con il petrolio e il gasdotto che ossigena la nostra economia, Finmeccanica esporta armi con cui Gheddafi massacra il popolo libico, l'Impregilo è capocordata del ciclopico progetto di autostrada che dovrebbe attraversare l'intero paese. E' il risarcimento italiano per i crimini compiuti in Libia nel periodo coloniale, questo sì un dovuto. Poi tutto è precipitato, la Libia è esplosa e l'Italia è stato l'ultimo paese a invocare "clemenza", dopo aver ostacolato prese di posizione dell'Ue e dell'Onu contro i massacri. «Non ho chiamato il Colonnello per non disturbarlo, a noi preoccupa solo il rischio di un'ondata migratoria». Solo martedì, ormai chiuso il rubinetto del gasdotto e aperto quello migratorio, il Cavaliere ha alzato la cornetta per dire al suo amico di non esagerare ma, soprattutto, per escludere qualsiasi fornitura di armi ai ribelli. Il Colonnello ha risposto quel che il Cavaliere voleva sentirsi dire: la pace regna in Libia, i media stranieri raccontano bugie mentre la tv di stato dice la verità. A Tripoli come a Roma. Chissà che il popolo italiano non impari qualcosa dal popolo libico.
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