Pochi giorni fa l’Unione europea ha deciso di rinnovare per altri cinque anni l’autorizzazione all’impiego del controverso glifosato, potente erbicida alla base di uno dei prodotti di punta della multinazionale Monsanto in agricoltura, il Roundup. «Un regalo alle multinazionali agrochimiche, a scapito di salute e ambiente», protestano in coro le associazioni ambientaliste, che durante il voto di lunedì hanno fatto sentire la loro voce davanti al quartier generale della Commissione europea a Bruxelles.
La giornalista e documentarista francese (e figlia di agricoltori) Monique Robin (foto sopra) porta avanti già da molto tempo una battaglia contro i pesticidi di Monsanto, considerati una delle più grandi fonti di avvelenamento del nostro secolo. Già dieci anni fa, con il suo film choc “Il mondo secondo Monsanto”, rivelava al grande pubblico i comportamenti della multinazionale statunitense e da allora non ha mai smesso di indagare sull’agroindustria, sugli organismi geneticamente modificati (ogm), sui pesticidi e, in particolare, sul glifosato, principio attivo del Roundup. Mentre i suoi effetti drammatici sulla salute dell’uomo e degli animali, sulle piante e sul suolo sono stati confermati da numerosi studi scientifici e da testimonianze, i paesi membri dell’Ue, riuniti nel Comitato d’appello, hanno deciso a maggioranza, seguendo la raccomandazione della Commissione, di concedere una nuova licenzia quinquennale all’uso della sostanza. In Svizzera invece si è sempre in attesa che il Consiglio federale pubblichi un rapporto (chiesto dal Consiglio nazionale nel 2016) sui rischi del glifosato, il cui utilizzo è autorizzato ma sottoposto a condizioni più restrittive rispetto a quelle in vigore nell’Ue. Nel pieno del dibattito, il documentario di Monique Robin “Roundup face à ses juges” (Roundup davanti ai suoi giudici) e l’omonimo libro che l’accompagna giungono al momento opportuno. Diffuso a metà ottobre dal canale televisivo franco-tedesco Arte, il film torna sull’iniziativa del Tribunale Monsanto di cui Robin è stata promotrice ed illustra gli effetti devastanti del glifosato. Come l’autrice ricorda nel documentario, tanto istruttivo quanto inquietante, il glifosato è un cancerogeno, un perturbatore endocrino, un antibiotico e un chelante di metalli (ritiene i metalli presenti nel suolo) generando malattie renali, congenite, croniche... Subdolamente delle tracce del prodotto vanno a finire ovunque, fino dentro al nostro corpo. A Monique Robin, ormai riconosciuta come figura di punta della lotta contro Monsanto e per un’agricoltura rispettosa degli esseri viventi, abbiamo posto alcune domande.
Negli ultimi dieci anni che cosa è cambiato? C’è stata una presa di coscienza di una minoranza crescente che, di fronte all’avvelenamento collettivo cui siamo sottoposti, pretende di sapere cosa finisce nel suo piatto. Ciò richiede del tempo. I Monsanto papers hanno rivelato quello che io raccontavo già nel 2008 in “Il mondo secondo Monsanto”. Si sa da molto tempo che questa multinazionale pubblica dei falsi studi e paga degli scienziati per sottoscriverli. I Policlorobifenili, l’Agente arancio, il Lasso, l’Aspartame... Sono tanti gli scandali. Persino nei suoi stessi studi per l’omologazione del glifosato viene segnalato l’effetto cancerogeno e teratogeno [che altera lo sviluppo dell’embrione, ndr] della molecola. Che cosa si aspetta ancora per dire “basta”? Come si spiega che il Roundup è ancora in vendita nonostante le conclusioni del Centro internazionale di ricerca sul cancro, che classifica il glifosato come probabile cancerogeno? Dei residui di glifosato si trovano in ciascuno di noi. Ma risulta tuttora difficile uscire dall’ambito agricolo per farne un dibattito di salute pubblica. Certi agricoltori sostengono che esso è biodegradabile, ma per spanderlo nei campi usano tuta e mascherina... Che tristezza! In Francia la Federazione nazionale dei sindacati dei lavoratori agricoli (Fnsea) ritiene che gli agricoltori non possono farne a meno e che non vi è alcun legame tra i pesticidi e i tumori. Ma il linfoma, una delle malattie causate dal glifosato, in Francia è considerato una malattia professionale... Anche l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) dice che non ci sono problemi. Ma centinaia di studi indipendenti e migliaia di testimonianze provano il contrario. Come fanno i cittadini ad avere ancora fiducia nelle istituzioni europee? Nel suo film sul Tribunale Monsanto si dà la parola a numerose vittime del glifosato... Sì, questo incredibile evento ci ha permesso di riunire davanti a dei giudici internazionali sia vittime sia specialisti provenienti da ogni parte del mondo. Ascoltare le loro parole è stato estremamente toccante. È quello che fa la forza di questo processo popolare. Perché troppo spesso vi è una disumanizzazione del problema. Intanto l’Unione europea ha deciso di rinnovare l’autorizzazione di cinque anni... È scandaloso. Temo che si stia concedendo il tempo all’industria per trovare una molecola sostitutiva prima di bandire il glifosato. Come è successo in passato con l’amianto. Bisognerebbe uscire in fretta da questa logica agro-industriale legata agli ogm! Perché tutta la soia transgenica americana imbevuta di glifosato che viene importata è una fonte di contaminazione degli animali che gli europei mangiano. Il glifosato è l’emblema di un sistema dal quale dobbiamo uscire... E per farlo è necessaria una volontà politica.
* Pubblicato da l’Evénement syndical del 15 novembre 2017, traduzione e adattamento: Claudio Carrer
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