I ticinesi, artigiani del cinema

Castellinaria, il Festival internazionale del cinema giovane di Bellinzona, che si svolgerà all’Espocentro da domani, sabato 15 novembre, fino al 22 novembre, dedica una retrospettiva ai cineasti e tecnici del cinema nati in Ticino che hanno raggiunto una notorietà internazionale. La produzione di cinema in Ticino si iscrive, come molte attività del passato recente e del presente del nostro cantone, nella nota e radicata vicenda dell’emigrazione. Chi vuole fare cinema, gli conviene emigrare, è un fatto. Il limitato sviluppo di un’industria cinematografica nazionale, i contributi ridotti e perciò molto selettivi dell’Ufficio federale della cultura, sono solo alcuni degli aspetti che condizionano la produzione cinematografica in Svizzera e di conseguenza in Ticino. A queste si aggiungono la difficoltà di formare co-produzioni con l’estero e di ricorrere ai contributi della Comunità Europea – malgrado gli accordi bilaterali esistenti –, la ristrettezza del mercato interno cantonale e nazionale, e l’assenza, in parte conseguente, di una scuola di livello europeo che formi ai mestieri dell’audiovisivo. In queste condizioni, e con l’aggravante dell’appartenenza a una minoranza linguistica, acquista un ruolo di primo piano la Televisione Svizzera di lingua Italiana, sia per la produzione, sia per la formazione dei professionisti; la Tsi finisce per costituire la principale fonte di finanziamento e il principale datore di lavoro di chi intende operare nell’audiovisivo, con il conseguente ridimensionarsi delle ambizioni artistiche sugli standard e le aspettative del pubblico televisivo. Ma se queste sono alcune delle condizioni che limitano le ambizioni di chi vuole lavorare nel cinema in Ticino, chi parte cosa trova? E se trova quello che cerca, taglia completamente i ponti con la sua terra natale? I percorsi di alcuni tecnici presenti in retrospettiva possono costituire un termine di confronto per chi pensa di intraprendere il cinema come mestiere. Il direttore della fotografia e operatore Renato Berta è forse il più famoso dei ticinesi attivi nel cinema all’estero. Nato a Bellinzona nel 1945, dopo una formazione da meccanico frequenta il Centro Sperimentale di cinematografia a Roma. A partire dalla fine degli anni sessanta dà un importante contributo alla vitalità del cinema elvetico, come operatore e direttore della fotografia sui film di Alain Tanner, Claude Goretta, Daniel Schmid, Thomas Koerfer e Michel Soutter. Negli anni successivi inizia a collaborare con la coppia Straub/Huillet, si fa conoscere e apprezzare al di fuori dei confini nazionali per una fotografia realista, non enfatica, a volte cruda di dettagli; raccoglie i primi premi importanti in patria (il Pardo di bronzo al Festival del Film di Locarno nel 1976 e il Premio della città di Zurigo nel 1979). A partire dagli anni ottanta intensifica i rapporti col cinema francese e si stabilisce a Parigi. Diventa cittadino francese. Collabora con André Techiné, Alain Resnais e Louis Malle, tra gli altri, con cui affina il suo stile e firma opere memorabili come Au revoir les enfants, del 1987 (sabato 15 novembre alle 18). Continua a lavorare in Svizzera, in particolare con Daniel Schmid, fino al recente Beresina (1998). La sua fama varca i confini e lo porta a lavorare con il portoghese Manoel De Oliveira e con l’israeliano Amos Gitaï, di cui ha firmato la fotografia di quasi tutti i film. Con questi, in particolare nella “trilogia delle città” (1998-99) e in Kippur (2000), sviluppa l’uso fluido e rigoroso della camera a spalla, in piani sequenza dalla durata sostenuta. La fotografia sembra una professione che porta fortuna agli emigranti. Dopo Renato Berta ha trovato successo in Francia anche Carlo Varini, direttore della fotografia di alcuni film di Luc Besson (Subway, 1985 e Le grand bleu, 1988) e di Olivier Schatzki (L’élève 1996; giovedì 20 novembre alle 18); negli Stati Uniti si sta facendo conoscere il più giovane Pietro Zürcher, nato a Castel San Pietro. Esmé Sciaroni, nata a Biasca nel 1962 e diplomata in trucco cinematografico e teatrale a Parigi nel 1981, pratica da parte sua una professione poco rappresentata nel cantone. Dopo alcuni lavori come assistente e alcuni cortometraggi in Ticino e a Milano, firma nel 1985 il suo primo lungometraggio come capo trucco: Innocenza di Villi Hermann (sabato 22 novembre alle 18). Nello stesso anno lavora con Silvio Soldini, con cui stringerà una collaborazione che dura tuttora. La nazionalità svizzera di Sciaroni limita le sua possibilità di impiego a film in cui la Svizzera sia coproduttrice, anche minoritaria. Negli anni seguenti lavora infatti su coproduzioni europee con, tra gli altri, Alessandro D’Alatri, Alain Resnais e Gianni Amelio (Il ladro di bambini, 1992; venerdì 21 novembre alle 18). Il suo lavoro si caratterizza per un trucco discreto e naturale, che contribuisce a dare spessore realistico ai film cui partecipa. Tra una pausa di lavorazione e l’altra, ottiene la laurea in architettura all’Accademia di Mendrisio nel 2003. Petra Barchi, nata nel 1965 a Bellinzona, dopo il liceo artistico si diploma in scenografia all’Accademia di Brera a Milano. Fa le sue prime esperienze sui set cinematografici con Jean-François Amiguet e Gianni Amelio. Si trasferisce in seguito a New York, dove sbarca il lunario lavorando fra pubblicità, video musicali, teatro e cinema. The Irreversible Years, diretto da Steven Olivieri, è il suo primo film da scenografa, cui segue Hurricane Streets, del giovane regista indipendente Morgan J. Freeman. Firma in seguito le scenografie di alcuni film indipendenti ambientati nelle comunità etniche minoritarie di New York; questa sensibilità agli influssi culturali di Paesi lontani, soprattutto orientali, la pone all’attenzione dei produttori europei, in particolare della Pandora film di Colonia, con cui realizza nel 2000 le scenografie di Samsara (mercoledì 19 novembre alle 18) in Ladakh (India) e, quest’anno, di The Stratosphere Girl, girato in studio a Colonia e in esterni a Tokyo. Altri scenografi hanno preso invece la strada dell’Italia. Sonia Peng, coetanea di Petra Barchi e come lei nata a Bellinzona, ha la nazionalità italiana, vive a Roma e ha legato il suo nome a alcune commedie italiane recenti (Ovosodo, 1997 e Caterina va in città, 2003, entrambe di Paolo Virzì). Non lavora nel cinema la luganese Margherita Palli, scenografa di teatro e lirica. Attualmente sta preparando lo spettacolo d’apertura del Lirico di Cagliari, Alfonso und Estrella di Franz Schubert, regia di Luca Ronconi.

Pubblicato il

14.11.2003 05:00
Gregory Catella