Era una giornata fredda e piovosa del mese di ottobre. Una giornata “ideale” per visitare la prigione della Stasi a Berlino, il luogo dove erano detenuti i prigionieri politici che si opponevano al regime comunista in Germania Est. Coloro che accompagnano i visitatori di questo memoriale non sono delle normali guide: sono loro stessi ex detenuti.


La guida del nostro gruppo ci ha raccontato il suo percorso, tipico dell’ex Ddr. All’inizio degli anni ’80 decide di fuggire con un amico: non credono nel sistema comunista che governa il loro paese. Fingono una vacanza in Bulgaria per poi tentare di superare la frontiera con la Grecia, e raggiungere così il “mondo libero”. Ma la frontiera è ben custodita e i due amici si fanno prendere.


La polizia politica, la Stasi (abbreviazione di Staatsicherheit) viene in Bulgaria a prenderli, li rimpatria a Berlino per poi rinchiuderli nella prigione di Hohenschönenhausen. La mia guida trascorre cinque mesi in questo luogo lugubre, dove migliaia di persone sono state torturate e sono morte. Persone che, proprio come lui, non avevano commesso alcun reato, a parte voler fuggire. In seguito lo trasferiscono in un altro carcere per due anni, prima di venir venduto alla Germania Ovest in cambio di valuta, indispensabile al governo della Germania Est per procurarsi beni introvabili nel mondo comunista.


Mentre ascoltavo la sua storia ho avuto un’illuminazione: i tedeschi hanno un atteggiamento diverso rispetto a noi svizzeri nei confronti dei rifugiati perché capiscono cosa li spinge a fuggire. Sanno che si può trovare la repressione insopportabile al punto di voler abbandonare tutto, la famiglia, la rassicurante routine quotidiana, per affrontare l’ignoto con la speranza di una vita migliore. I tedeschi capiscono che i rifugiati non sono degli esseri umani diversi da noi: a volte sono talmente simili a noi che parlano la nostra stessa lingua e la loro unica colpa è vivere dal lato sbagliato della frontiera.


Sono rimasta colpita nel vedere, a Berlino, numerosi luoghi dove volontari raccolgono cibo, vestiti e soldi in favore dei rifugiati. Gran parte della popolazione s’impegna concretamente in questo sforzo di solidarietà, anche se naturalmente la politica di accoglienza suscita pure delle critiche.
Ciò che molti tedeschi hanno capito, noi svizzeri non lo abbiamo ancora realizzato. Non abbiamo vissuto la Seconda Guerra Mondiale e nemmeno il comunismo. Non abbiamo dovuto, nella storia recente del nostro paese, tentare la fuga per raggiungere “il mondo libero”. Fortunatamente. Ma questo ci deve impedire di essere accoglienti e mostrare umanità nei confronti dei rifugiati?

Pubblicato il 

05.11.15
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