I nuovi binari del fisco

Tira decisamente un’altra aria fra i partiti di centrodestra da quando è scoppiato il “fiscogate”, e non soltanto perché è primavera. Prima timidamente, poi sempre più esplicitamente Luigi Pedrazzini, Gabriele Gendotti ma anche il presidente cantonale del Plr Giovanni Merlini si sono espressi a favore di un’amministrazione delle contribuzioni più attenta agli interessi dello Stato e meno “alleata delle fiduciarie”. O almeno così è sembrato. Si è perlomeno ricominciato a parlare di entrate dopo che la parola d’ordine era da anni “ridurre le uscite”. E questo non solo dopo la sonora bocciatura del 12 marzo sui tagli nel sociale, ma anche da quando la morsa ideologica di Marina Masoni si è allentata a seguito dello scandalo che l’ha investita. Insomma il “menostato” non tira più politicamente. Ora, cioè dopo che la direzione politica della Divisione delle contribuzioni (Ddc) è stata affidata a Gabriele Gendotti, si è ripreso pure a parlare di come dovrebbe essere gestito il fisco ticinese perché, come ha detto Luigi Pedrazzini durante la conferenza stampa che ha “dimezzato la Marina”, «da oggi il fisco ricomincerà a mettersi sui giusti binari». Ma quali sono? E dove si era deragliato? «Le modalità di gestione della Divisione delle Contribuzioni sono state, e non soltanto con riferimento al caso citato precedentemente, contrarie al principio di collegialità voluto dal Consiglio di Stato. I rapporti personali fra i membri della direzione sono oggi da considerare compromessi in modo insanabile. La responsabilità primaria di questa situazione, che concerne anche altri livelli della DdC, è (in base a quanto emerge dal rapporto) del direttore Stefano Pelli e del vice direttore Pietro Dell’Era. Al di là del caso Monn, il rapporto indica altre situazioni problematiche dal profilo dell’adeguatezza della gestione dei casi da parte, soprattutto, del vice direttore Dell’Era». Sono sostanzialmente queste le conclusioni – riferite da Luigi Pedrazzini durante la conferenza stampa di mercoledì – alle quali il Consiglio di Stato (Marina Masoni esclusa) è giunto sul funzionamento della Ddc dopo aver ricevuto il rapporto sul fiscogate ticinese. Che la posizione degli ormai ex funzionari Stefano Pelli e Pietro Dell’Era, rispettivamente ex direttore ed ex vice direttore della Ddc, non fosse più sostenibile era ormai chiaro. Ma come spesso accade, ciò che non viene espresso può rivelarsi altrettanto importante di quanto viene invece riferito. “I problemi nella conduzione del fisco ticinese erano presenti già prima del caso Monn”, è stato detto. Cosa vuol dire? Luigi Pedrazzini ha messo l’accento più volte durante il suo discorso sull’assenza di chiare direttive, di regole e procedure a salvaguardia della legalità delle decisioni. Insomma di strumenti che permettono ad un tassatore di prendere una decisione chiara su particolari incarti senza che questi debbano essere avocati dai vertici. Il rapporto di 123 pagine redatto in meno di due mesi di lavoro dalla commissione d’inchiesta contiene infatti altri casi “alla Monn”. Tanto che per il momento non è stato possibile rendere pubblico il voluminoso incarto (le uniche copie esistenti sono state consegnate ai consiglieri di stato, numerate e successivamente tenute sotto chiave). «Ve lo daremo quando sarà “anonimizzato”», ha detto il Consigliere di stato ai giornalisti presenti nella sala del Gran Consiglio. Ma c’è di più oltre agli insanabili rapporti fra i membri della direzione alla Ddc e sulla mancanza di collegialità fra quest’ultimi: area lo ha documentato le scorse settimane attraverso le denunce di chi tutti i giorni lavora per il fisco. Di chi dal basso aveva già annusato che le cose erano cambiate, e sicuramente non a favore delle casse cantonali. Sono stati gli stessi impiegati dell’erario ticinese a spiegarci che la situazione alle contribuzioni era diventata da tempo insostenibile. Impiegati sommersi dalle dichiarazioni fiscali dopo il passaggio dalla tassazione biennale a quella annuale. Senza contare che si sono spesi milioni di franchi per un programma informatico che ancora oggi non funziona come dovrebbe. Uno di loro ci aveva detto «il malumore fra di noi cresce di giorno in giorno. Il numero degli incarti da sbrigare è aumentato del 50 per cento. La qualità dell’accertamento è decisamente scaduta, ci sono pratiche di contribuenti importanti che sono lì a prendere polvere da troppo tempo. Prima o poi anche questo bubbone scoppierà». E il bubbone è ormai scoppiato. Meno tempo, meno controlli per un fisco meno invadente e conforme all’ideologia del “menostato”. Lo stesso Pelli e Dell’Era erano stati presi – col beneplacito del Consiglio di Stato – direttamente dalle fiduciarie e messi a capo di una delle divisioni più importanti del cantone quando una volta solo chi, dopo aver lavorato una vita al fisco difendendone gli interessi, veniva promosso ai vertici. Ora si è finalmente scoperto che questo tipo di conduzione privatizzata del fisco non è più plausibile, non è conforme agli interessi del Cantone. Il compito che spetta ora a Gabriele Gendotti – al quale abbiamo girato ancora a caldo subito dopo la conferenza stampa alcune domande (si veda il box sotto) – non è solo quello difficile di ristabilire il rapporto di fiducia fra il cittadino e il fisco ticinese e non si tratta neppure semplicemente di sostituire chi al vertice ha deluso. Gendotti dovrà ora chinarsi sull’intera organizzazione della Divisione delle contribuzioni, sui problemi concreti di un fisco che è stato spogliato in questi anni del suo mandato. Cioè quello di fare gli interessi dello Stato, tassando equamente i contribuenti senza mostrare, come è successo con il fiscogate, di essere forte con i deboli e debole con i forti. "Ritrovare rigore e correttezza" Gabriele Gendotti durante la conferenza stampa avete posto l’accento sul cattivo operato di Stefano Pelli e di Pietro Dell’Era. Li accusate di non aver saputo prendere decisioni in maniera collegiale, ma anche di essere in conflitto di interesse (specialmente per Dell’Era). Non avete però detto nulla sulla salute della Divisione delle contribuzioni. Quali sono i correttivi che applicherà ora che le è stato affidato il compito di “rimettere il fisco sui giusti binari”? Non siamo noi ad aver accusato Pelli e Dell’Era, le decisioni che abbiamo preso (cioè di licenziarli, ndr) sono la logica conseguenza del contenuto del rapporto della commissione d’inchiesta. A livello di operatività posso dire che in questo mese e mezzo di lavoro ho avuto l’impressione che il nostro organico funziona bene, siamo sani. Il problema ora è riguadagnare la fiducia del cittadino. Rimprovera alla Ddc di aver fatto perdere delle entrate al Cantone in questi anni? Non posso dare una valutazione del genere così su due piedi. Certo che si deve fare di tutto per operare con rigore e correttezza. L’accertamento fiscale deve tornare ad essere equilibrato, non si possono perdere preziose entrate solo perché le risorse umane attribuite alle contribuzioni non è sufficiente. Dobbiamo ricominciare a lavorare come si deve senza trattamenti preferenziali per nessuno. Tutte le bugie della Marina «Le gravi decisioni assunte dal Governo all’unanimità dovrebbero indurre Marina Masoni a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi delle dimissioni. Non vedo come potrebbe d’altronde, rimanendo al suo posto, riuscire a tamponare la sua perdita di credibilità di fronte all’opinione pubblica: l’aver taciuto che alla sua uscita dalla Fondazione Villalta si è avvicendato suo marito ha dato il colpo di grazia alla sua già traballante posizione». Il giudizio, espresso mercoledì dal presidente socialista Manuele Bertoli, è chiaro e riassume la posizione dei vertici del Ps. Ma il Ps aveva chiesto anche l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta (Cpi), richiesta poi bocciata dal Gran Consiglio. Ed è su quella richiesta che torna il deputato socialista Werner Carobbio, presidente del parlamento: «Quando chiedemmo l’istituzione di una Cpi sul fiscogate sollevammo tutta una serie di questioni – sul funzionamento della Divisione delle contribuzioni, sul conflitto d’interessi di certi funzionari [Pietro Dell’Era, ndr], sulla gestione politica da parte del Dfe, ecc. – che oggi trovano conferma nel rapporto degli esperti. Inoltre oggi trovano conferma altri due elementi importanti che secondo noi avrebbero giustificato l’istituzione di una Cpi. In primo luogo ora si sa che il Consiglio di Stato è venuto a conoscenza dei fatti solo dopo le rivelazioni della stampa. In secondo luogo, e in merito alla Fondazione Villalta, Marina Masoni disse che aveva dato le dimissioni dal consiglio di fondazione del ’95, mentre oggi si scopre che venne sostituita dal marito senza che lei informasse il parlamento né il Consiglio di Stato. Come si fa a credere, come ad un certo punto lei ha preteso, che non sapesse nulla di questa Fondazione?». A questo punto, Carobbio, si giustifica ancora l’istituzione di una Cpi? Il Ps insisterà nella sua richiesta? «Se la Commissione della gestione assume fino in fondo il suo compito di vigilanza chiedendo al Consiglio di Stato il rapporto in versione integrale per approfondire gli elementi emersi, allora si può discutere se una Cip è davvero necessaria. Alcuni aspetti, in particolare relativi alla Fondazione Villalta, richiedono altri approfondimenti. Il rapporto è chiaro: la Fondazione è illegale. Ora spetta alla Ddc andare avanti: se la Fondazione è illegale allora questi famosi 14 milioni finiti a Svitto lì non dovevano andarci e potrebbero quindi venir tassati». Ma Werner Carobbio pone pure l’accento su un altro punto importante, le nomine alla Divisione delle contribuzioni: con la partenza di Norberto Bernardoni la sinistra non è più rappresentata ai vertici della Ddc. «Con lui probabilmente queste cose non sarebbero capitate». Carobbio in definitiva è soddisfatto delle decisioni del governo? «Il licenziamento di Pelli e Dell’Era era inevitabile. Ma il Consiglio di Stato ha scelto di andare oltre, bisogna riconoscerlo, prendendo una decisione politica che crea un problema a Marina Masoni. Sta a lei decidere se restare o meno, ma ciò che è sicuro è che la sua situazione attuale è abbastanza delicata. Basti pensare alla Fondazione Villalta: prima afferma che sono affari privati, poi il giorno dopo si scopre che ha ricevuto 15 mila franchi per la sua campagna elettorale. Non ha certo dato prova di trasparenza, in questo e in altri frangenti». Alla capogruppo socialista in Gran Consiglio Marina Carobbio Guscetti abbiamo chiesto infine se ora si è arrivati all’auspicato rovesciamento di maggioranze in governo e parlamento, con una maggior assunzione di responsabilità da parte del centro: «Difficile dirlo. Spero che adesso, anche alla luce del voto del 12 marzo, anche la maggioranza del parlamento e del governo si renda conto che non si può continuare a voler tagliare nella socialità e nella sanità senza considerare nuove entrate. Spero che la popolazione abbia capito che non si può portare avanti nei prossimi mesi e anni una politica che svuota le casse dello Stato con sgravi fiscali a favore dei più ricchi mentre si chiedono importanti sacrifici ai ceti medio e basso. Questo lo deve ancora capire la maggioranza delle forze politiche. Ma le recenti dichiarazioni di Gendotti e Pedrazzini lasciano intendere che anche per i loro partiti è giunto il momento di tornare a discutere di entrate».

Pubblicato il

24.03.2006 03:00
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