È bastato che un comitato animato soprattutto da giovani socialisti organizzasse il 12 dicembre alla biblioteca cantonale di Bellinzona una serata su “Anti-proibizionismo... parliamone” perché il capogruppo Ppd Fabio Dadò e il granconsigliere leghista Michele Guerra si scatenassero sul solito GdP con argomentazioni futili e pretestuose. La durezza dell’attacco dei due politici che, a quanto mi consta, sul tema non hanno competenza alcuna, ha forse sorpreso qualche giovane socialista alle prime armi. Ma anche loro impareranno presto che tanto più reazionaria è la bandiera politica, tanto meno conta avere competenze in materia prima di aprire la bocca. Mi permetto quindi di riassumere i punti principali emersi durante la serata, seguita da un pubblico numeroso e interessato. Se da un punto di vista medico nuovi studi fanno pensare che perlomeno nei più giovani la marijuana può avere effetti negativi nello sviluppo delle capacità cognitive, rimane però evidente che il danno che può fare l’alcol è di gran lunga superiore anche a livello cerebrale. Globalmente, soprattutto l’alcol, ma anche il fumo, sono molto più pericolosi per la salute rispetto alle droghe anche pesanti (soprattutto degli oppiacei), purché queste ultime siano sostanze ben definite, cosa che purtroppo non è sempre possibile, in quanto la politica proibizionista impedisce spesso i necessari chiarimenti scientifici. Gran parte dei danni alla salute delle persone drogate, al di là che si tratti di droghe pesanti o leggere, sono dovute quasi esclusivamente all’esclusione sociale e alle sue conseguenze, e non alla sostanza in sé stessa. Tant’è vero che da quando in Svizzera c’è stato un allentamento del proibizionismo, grazie alla cosiddetta politica della riduzione del danno, non solo è diminuita la criminalità legata al consumo di droga, ma sono nettamente diminuiti i casi di infezioni gravi, comprese quelle al fegato (spesso cause di tumori) e sono spariti i casi mortali di overdose, salvo in quelle situazioni dove il drogato è obbligato dall’esclusione sociale a «farsi» in isolamento. Particolarmente utile è stata l’analisi presentata da Dick Marty, il quale come procuratore pubblico era partito da posizioni repressive, ma al quale l’esperienza quotidiana con i drogati aveva fatto cambiare atteggiamento. Siccome un mondo senza droghe non è mai esistito e non esisterà mai, egli si era poi convinto che la repressione peggiora solo la situazione. Questo vale sul piano individuale, ma anche a livello geopolitico. Se il proibizionismo dell’alcol aveva ampliato a dismisura negli anni ‘30 del secolo scorso la criminalità organizzata negli Stati Uniti, adesso la politica repressiva contro le droghe sta facendo esplodere la criminalità organizzata a livello mondiale. Dick Marty è arrivato a dire: «Oggi questa criminalità organizzata è a livello globale un pericolo probabilmente più grave di quello rappresentato dal terrorismo». Le cifre d’affari e di guadagni del narcotraffico sono stratosferiche, tant’è vero che una parte importante dei capitali usati nella crisi del 2008 per salvare le banche sembrerebbe essere proveniente dal narcotraffico: ciò spiegherebbe anche perché molti circoli politici dominanti continuino ad avere una linea proibizionista. Infatti con una regolamentazione statale del mercato della droga scomparirebbe gran parte del narcotraffico e della criminalità organizzata, ma anche dei superprofitti collegati a questo fenomeno. Da parte mia conosco bene la situazione centroamericana, dove il narcotraffico ha oramai provocato in Messico, in Salvador, Guatemala ed Honduras centinaia di migliaia di morti. Ciò spiega perché una serie di ex-presidenti latino-americani (quasi tutti conservatori!) abbiano pubblicato un appello, coordinato da Ruth Dreifuss, nel quale chiedono la fine della guerra contro la droga e il passaggio ad un approccio anti-proibizionista, regolando il mercato di queste sostanze con l’intervento dello Stato. A questi fatti potrei aggiungerne tanti altri, se ne avessi lo spazio. Mi pare però che bastino ed avanzino. Ma probabilmente i fatti a certi politici locali non interessano: l’importante è salvarsi il cadreghino in Gran Consiglio.
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