Il reportage

Il sindaco di Riace Mimmo Lucano è diventato un simbolo globale di solidarietà per il suo modo unico di governare una città accogliendo i rifugiati. Il 2 novembre scorso è stato arrestato dalla Procura di Locri, in Italia. È accusato di facilitare l’immigrazione clandestina e affidamento illegale del servizio di raccolta dei rifiuti. La città italiana di Riace è divenuta negli anni un simbolo globale di solidarietà per il suo modo innovativo di accogliere i migranti che hanno ripopolato l’area facendola rinascere, anche economicamente. Il sindaco e la sua compagna, al quale hanno vietato la residenza nel paese, sono accusati di forzare le procedure per permettere ad alcune ragazze di rimanere in Italia attraverso matrimoni di convenienza. Alla luce dei recenti eventi, questa è la storia di una città che è stata salvata dall’estinzione aprendo le sue porte e accogliendo rifugiati.
Un colorato murale nel centro di Riace ricorda i millenni di migrazioni che hanno interessato questo piccolo paese della Calabria più profonda, nel Sud Italia, il quale fu parte dall’VIII secolo a.c. della Magna Grecia. Un luogo ben rappresentativo dell’Italia intera e della sua storia, da sempre, come centro del Mediterraneo, terra di arrivi e di partenze di uomini. Gli stessi antichi greci consideravano Italia soltanto la parte più estrema della penisola, ma a scapito di questa origine linguistica, oggi quest’area desolata e poco sviluppata che si affaccia sul Mar Ionio, ricca di cultura e di paesaggi bucolici, è vittima dello spopolamento, della speculazione edilizia sulla costa e dello strapotere della ’ndrangheta, la criminalità organizzata.
Solo camminando nell’intreccio di vicoli di questi agglomerati semi-abbandonati addossati alle montagne, edificati per fuggire dalla malaria e dalle scorrerie piratesche sulle coste, ci si accorge che la mentalità è differente da quella che nell’ultimo anno ha portato al potere in Italia la Lega di Matteo Salvini. Un partito di estrema destra, il quale ha costruito esclusivamente il proprio consenso sulla paura dell’immigrazione e degli sbarchi clandestini. Il primo sbarco qui avvenne nel 1998, quando sulla spiaggia di Riace Marina, la stessa dove furono ritrovate le famose statue in bronzo, si arenò una barca con un centinaio di persone di etnia curda. Da allora sono arrivati e hanno transitato altri migranti di diverse nazionalità, del Centro Africa e del Medio Oriente soprattutto, tanto che molti tra questi hanno scelto di restare e di diventare residenti a pieno titolo, divenendo parte inscindibile e ben integrata della zona. Nel 1999 Domenico Lucano, ex maestro elementare e attuale sindaco, ha fondato a Riace l’associazione “Città Futura” dando vita ad un progetto di accoglienza “diffusa” avente come scopo il coinvolgimento dei rifugiati all’interno di una comunità rurale che sarebbe stata destinata a scomparire. Le associazioni presenti nel paese insieme alla giunta attuale hanno ripulito e ristrutturato strade e case in rovina, realizzato laboratori artigianali che riprendono mestieri dimenticati, aperto botteghe, biblioteche e bar, mantenuto in vita asili e scuole, nonché creato fattorie didattiche, orti e frantoi, facendo rinascere il borgo, dando lavoro e nuove opportunità sia ai locali che ai migranti.
 
Un esempio per l’Europa
Un esempio divenuto virtuoso in tutta Europa, così da far affluire in questo luogo prima sconosciuto, visitatori, studiosi, artisti e personalità del mondo culturale.
L’esperienza di Riace rischia però ugualmente di esaurirsi, poiché a causa di presunte criticità nella rendicontazione delle spese, il Ministero degli interni ha bloccato da due anni i fondi europei per il mantenimento del progetto Sprar – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati –, e nel 2018 non è stata inclusa tra gli enti beneficiari dello stesso. A ciò si è aggiunta anche l’ostilità personale e politica del nuovo vicepremier Matteo Salvini, intenzionato ad affossare il “modello Riace”, cioè a mettere in strada i 165 richiedenti asilo presenti, almeno 50 bambini in gran parte nati nel comune, circa 80 operatori, e la chiusura di numerose attività commerciali. Per protesta i riacesi insieme all’amministrazione comunale hanno promosso uno sciopero della fame e dovuto sospendere le attività di tutti i laboratori e delle botteghe che prima producevano ricami, ceramiche, aquiloni e vetro.
Nella piazza centrale dove vengono organizzate assemblee e incontri aperti al pubblico, non è raro incontrare il sindaco Domenico Lucano, seduto da giorni in attesa sugli scalini della Taverna Donna Rosa: «Stanno distruggendo il paese, rischiamo che chiuda tutto, asilo compreso. Potremmo continuare anche senza i fondi europei come progetto indipendente che si auto sostiene, ma due anni sono troppi e abbiamo accumulato troppi debiti». Le medesime parole di ansia e terrore sono ripetute da tutti gli abitanti del paese, dagli ultimi venuti per esprimere solidarietà sino ai proprietari degli esercizi commerciali, i quali molto spesso hanno esposto in vetrina il cartello “Anch’io sostengo Riace”. Mimma, una donna di circa 50 anni che gestisce un alimentari, ripete che «il blocco dei finanziamenti, è pari ad aver subito un lutto» e aggiunge che «i migranti ci hanno insegnato a vivere. Quando ne arrivano di nuovi si sentono subito a casa, ed è come se avessero sempre abitato qui con noi». Sono le prefetture infatti che tramite il Ministero dell’interno smistano nei vari comuni i richiedenti asilo, e Riace si è spesso distinta per la richiesta di ospitare volontariamente le persone sbarcate con malridotti barconi sulle coste della Sicilia, dopo mesi di attraversamenti nel deserto e permanenza nei campi di prigionia della Libia, specie coloro più in difficoltà. Come nel caso di Mohamed, un signore iracheno di origine palestinese di 64 anni fuggito dopo la caduta di Saddam Hussein, con una disabilità accertata, in paese è un volto ben noto e come gli altri migranti ha a disposizione una casa indipendente e un bonus di 260 euro al mese che potrebbe a breve non ricevere più. Bayram, un curdo di 65 anni, invece è arrivato in Calabria dalla Turchia con il primo sbarco del 1998 da allora si è innamorato di questi luoghi che tanto ricordano le altre sponde dello Ionio e dopo aver svolto varie attività lavorative si è stabilito nel piccolo borgo. Negli anni ha contribuito a rimettere in sesto i terrazzamenti del Parco Sara – dedicato a una portatrice d’acqua vissuta nella metà del secolo scorso – ricoperti di vitigni, olivi, alveari per la produzione del miele e agrumeti, e attualmente oltre a lavorare il legno svolge servizio come autista per portare anziani o migranti alle visite ospedaliere o a fare la spesa.

Il Viminale all’attacco
Nel 2019 scadrà anche il secondo mandato di Domenico Lucano, il quale non si potrà candidare nuovamente per le elezioni amministrative. La Lega sta cercando di insediarsi anche in questo comune, come nel resto del Meridione, nonostante sia nato come un partito secessionista del Nord Italia che si identificava sovente nell’ostilità verso i meridionali che migravano nel Settentrione industrializzato per mancanza di lavoro. «Prima eravamo noi che partivamo per le città del Nord o per l’Australia, adesso sono loro che arrivano» ricorda Raffaele, un contadino locale che tutti i pomeriggi vende la frutta che raccoglie nel proprio appezzamento di terra. L’effetto di questo esodo è ben visibile nelle numerose case sfitte e fatiscenti di Riace alta, o in quelle incompiute e spesso abusive, costruite disordinatamente sul litorale, tanto da attribuire al fenomeno il nome di “architettura del non finito”. «Quelle costruzioni vengono tirate su il più delle volte da coloro che sono migrati in altri luoghi, nell’illusione di lasciarle alle generazioni future o da persone che speravano prima o dopo di tornare in vista di nuove prospettive di lavoro» racconta Rina, una giovane regista e antropologa calabrese ma anche lei romana di adozione, «con la partenza dei più giovani, sono mancate generazioni che potevano contrastare la criminalità organizzata e la classe politico-imprenditoriale ad essa correlata».
Specialmente agli inizi dell’attività di Lucano, anche le associazioni coinvolte nell’accoglienza dei migranti hanno ricevuto intimidazioni da parte della ’ndrangheta locale, come lettere contenenti minacce o raffiche di proiettili cui i fori sono ancora ben visibili sulle vetrine di alcune botteghe. Proprio davanti ad una di queste, Malang, un ragazzo mandingo di 34 anni, pulisce la strada con una scopa di paglia, insieme a Damiano, un altro addetto assunto dal comune.
Malang ha studiato Agricoltura all’Università del Gambia e da due anni è a Riace, oltre ad elogiare l’accoglienza dei calabresi racconta che la raccolta dei rifiuti porta a porta viene effettuata anche con l’ausilio degli asini «ne abbiamo soltanto uno per adesso ma ne dovevano arrivare altri».
A Camini, un altro borgo medievale a 3 chilometri da Riace è stato realizzato un sistema di accoglienza diffusa affine a quello del comune attiguo, che però a differenza di quest’ultimo continua a ricevere i finanziamenti Sprar. Ai 250 abitanti si sommano 120 richiedenti asilo, in gran parte siriani, seguiti per sei mesi in un percorso di inserimento gestito dall’Associazione Jungi Mundu di Rosario Zurzolo, attiva dal 2014. Un progetto aperto sia a locali che a migranti che si articola in botteghe e laboratori artigianali sparsi per tutto il paese. Anche qui la scuola elementare rischiava di chiudere per mancanza di alunni e molte abitazioni sono state ristrutturate per ospitare i rifugiati. «Quando termina il progetto, molti ragazzi vorrebbero restare, purtroppo non sempre è possibile, perché le case rimesse a nuovo sono ancora troppo poche» spiega Katia, un’operatrice che da Verona ha deciso di trasferirsi in questo piccolo comune. Vanessa, una neolaureata in legge, che oltre alle pratiche burocratiche per le richieste di asilo da presentare alle prefetture, si occupa anche dell’alfabetizzazione dei minori racconta invece che alcuni rifugiati sono restii ad imparare l’italiano, perché oltre alla difficoltà della lingua, si aggiunge la sicurezza di tornare in Siria al più presto, a guerra conclusa. Non è questa l’intenzione di Omar, un ragazzo di 30 anni della Costa d’Avorio qui da quattro, che insieme al muratore e falegname Pino ha imparato a restaurare con lo scalpello le vecchie case di pietra del paese.  
Tra questi luoghi immemori e dimenticati sembra che si stia costruendo una nuova umanità, così lontana dalla propaganda che dilaga in tivù e nei social network dove l’immigrazione è raccontata solo come fonte di conflittualità. Il loro futuro resta però incerto considerando il clima politico italiano e soprattutto la circolare del 9 ottobre scorso con cui il Viminale ha disposto il trasferimento dei migranti e la chiusura di tutte le attività legate al progetto. Si tratterebbe di una vera e propria deportazione, come hanno affermato i difensori di Domenico Lucano.
Ma questo probabilmente i bambini di origine “straniera” che si rincorrono nel nuovo campetto di calcio gridando parole in calabrese non lo sanno, e neppure i loro coetanei riacesi che negli interminabili pomeriggi prima scanditi soltanto dai rintocchi delle campane, hanno trovato finalmente qualcun altro con cui giocare a pallone.

Pubblicato il 

18.10.18
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