I massmedia e Frère Roger

Il mulino della cronaca incalzante macina le notizie e le riduce, talvolta, in polvere dispersa dal vento. Avvenimenti festosi o tragici, che siano, rischiano d’essere presto dimenticati, perché sorpassati da altri fatti divenuti nel frattempo di maggiore attualità. Le logiche (se mai ce ne sono) che regolano il travaso delle informazioni dalla fonte ai canali di diffusione (a cominciare dai giornali, passando per la radio, la televisione ed internet) attribuiscono importanze diverse agli eventi. A volte, questioni insignificanti o strampalate (come quella di un proprietario di un cane che ha morsicato un poliziotto, perché quest’ultimo gli ha intimato di non più picchiare il suo cane; è una notizia letta su un nostro quotidiano alcune settimane fa…) ricevono spazi spropositati sui media, mentre altre vicende ottengono scarsa attenzione, allorquando ne meriterebbero una più grande. È una simile che vorrei evocare in breve, ad oltre un mese dal suo accadimento. Nei giorni in cui la Germania si preparava ad accogliere il “suo” Papa, Benedetto XVI, la sera del 16 agosto, in un villaggio della Borgogna è deceduto Frère Roger Schutz. Il fondatore della Comunità monastica ecumenica di Taizé è morto a novant’anni in seguito ai colpi di coltello infertigli da una donna squilibrata. Il tutto è capitato in pochi istanti durante la preghiera serale nella chiesa della riconciliazione. La notizia è poi circolata rapidamente nel mondo intero, provocando ovunque meraviglia e smarrimento. Nell’immediato, è vero, l’emozione suscitata dal tragico gesto perpetrato dalla rumena Luminita Solcann è stata ovunque forte, ma è pure stata assai in fretta sopravvanzata da altre situazioni, come la Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia (20-21 agosto), la corsa al rialzo del prezzo del petrolio o le devastazioni dell’uragano Katrina. È inutile abbandonarsi a piagnistei per questo modo di trattare le informazioni. A mio avviso, vale però la pena rendersi conto che le cose vanno anche così, contribuendo a volte ad aumentare la confusione tra le persone e a diffondere la superficialità. E che dire, allora, di Frère Roger? Anzitutto che la sua fine violenta si pone all’esatto opposto del senso che lui ha dato alla sua intera esistenza. È stato barbaramente ucciso colui che era diventato l’emblema del dialogo tra le differenti confessioni cristiane, il simbolo della riconciliazione tra popoli diversi per cultura e religione, il promotore di una pace fondata sul riconoscimento reciproco gli uni degli altri. La morte drammatica di questo vegliardo, ammirato ed ascoltato da centinaia di migliaia di giovani del mondo intero mostra quanto urgente sia il lavoro di ricomporre i dissidi che lacerano l’umanità contemporanea, a qualunque livello. L’impegno indefesso di Frère Roger di tendere la mano a chiunque, senza preclusioni, ci dice l’importanza di unire le forze, superando gli steccati ideologici e gli interessi di parte. Ed è un compito che può accomunare tutti gli esseri umani, credenti e no.

Pubblicato il

23.09.2005 14:00
Martino Dotta