Dopo ogni votazione contenti e scontenti dicono che così si è espressa la “sovranità” del popolo e va rispettata. A dire il vero, da diversi anni ormai, ci si accorge che la sovranità è cosa diversa dall’autarchia (autonomia assoluta, autosufficienza). Devi fare i conti anche con coloro che non rientrano sotto il tuo cappello. E allora puoi esprimere tutta la sovranità che vuoi, ma a un certo momento, o subisci o ti impantani o devi venire a patti. Ciò che fa anche supporre che la sovranità non è sempre sinonimo di razionalità o di coerenza.


Il discorso è delicato, si sa. Puoi subito essere accusato di arroganza intellettuale o antidemocraticità. Ci sono però esempi recenti che almeno qualche dubbio dovrebbero lasciare. Il popolo svizzero si è sempre espresso a suon di percentuali bulgare contro l’abolizione del segreto bancario, sia perché quel segreto era presentato come pilastro irrinunciabile dell’economia nazionale, sia perché sublimato di responsabilità etica individuale. Poi, nonostante la sovranità, ci hanno pensato gli altri a demolircelo, economicamente ed eticamente. Il popolo svizzero e in modo particolare quello ticinese si sono espressi contro la immigrazione, chiedendo di limitarla con dei tetti massimi di entrata degli stranieri (contingenti). Senza tener conto di accordi stipulati con l’Unione europea. La sovranità bolle in pentola da più di un anno l’esito di quella votazione e non sa come uscirne. Non solo perché l’altra parte (Ue) non capisce, non cede, ci condiziona con il tutto o niente, ma anche perché buona parte dell’economia nazionale prevede burocrazia, effetti deleteri, dislocazioni. Eppure gli accordi bilaterali con l’Ue erano stati accettati dal popolo: forse perché, con l’ormai classico atteggiamento elvetico del “cherry-picking” ben venduto (scegliamo solo le ciliegie buone, le politiche che ci piacciono e generano interesse e affari, abbandoniamole appena creano inconvenienti), non si vedevano ancora tutte le conseguenze possibili.
Sovranità da non confondere con sciocca autarchia, e sovranità che può essere irrazionalità o incoerenza si riscontrano anche in due ultime votazioni avvenute nel Ticino.


L’autarchia (o pretesa e assurda autonomia) si esprime nella solita opposizione a tutto ciò che viene da Berna. Anche se si traduce in una entrata netta di 240 milioni di franchi per la bilancia dei conti del Ticino, in un’occupazione di oltre mille persone, in un investimento di quasi 8 milioni di franchi in formazione professionale aziendale, in 105 milioni di massa salariale, in una decina di milioni di gettito fiscale per le persone fisiche. Questo è quanto significa la Rsinel Ticino. E il Ticino, massimo beneficiario nazionale, storce il naso opponendosi in un referendum a una legge che disturbava la destra più retriva.


La votazione cantonale sul salario minimo ha avuto il merito, un poco paradossale, di scoperchiare l’irrazionalità e l’incoerenza dominanti. Dalla parte contraria (l’ha ancora ribadito nel commento al voto il presidente dell’Aiti) si sostiene che si favoriranno i frontalieri, che ora pretenderanno anche… il salario minimo. Non ci si accorge di ammettere, senza vergogna, che il dumping salariale è quindi sistema. Il trucco dei frontalieri non ha funzionato perché il risultato delle urne fa presente che anche molte condizioni salariali dei residenti sono inaccettabili. La sovranità del popolo è allora subito messa in forse “dalla difficoltà tecnica e reale dell’applicazione dell’articolo costituzionale” (una vittoria dal sapore di sconfitta, ha titolato un giornale).

Pubblicato il 

17.06.15
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