I lavoratori arrivarono prima dei patrioti

“Il lavoro protegge dal freddo. È la fonte viva che sgorga dal deserto. Il bastone e la protezione di colui che è lontano. La migliore delle patrie! Sì, paese dei nostri padri, è qui la tua vittoria. Sei uguale alle altre nazioni […] la tua ricchezza verrà unicamente dal tuo lavoro”.
Gottfried Keller, “Canto solenne dell’esposizione di Zurigo, 1883 ”


Primo Maggio, esposizioni nazionali ed irrazionali atti di violenza: stiamo parlando della Svizzera e ci troviamo alla fine del XIX secolo.
Eric Hobsbawm considerava la storia come la materia prima delle ideologie nazionaliste, e gli storici come delle banche memoriali dell’esperienza, suscettibili di rielaborare la memoria collettiva del passato. Ogni narrazione della realtà nazionale poggia in questo senso su di una pluralità di miti, di racconti unitari concilianti e storicamente situati.


La stessa festa nazionale come espressione di un’identità patriottica è una tradizione relativamente recente che, rispetto alla storia del movimento operaio, assume un particolare interesse nel nostro paese.
Lo storico François Walter sottolinea come la celebrazione del “primo” Primo Maggio in Svizzera, nel 1890, fu vissuta come una provocazione intollerabile da parte del padronato elvetico. I lavoratori disponevano ormai di una propria “festa”, mentre i veri patrioti ne erano sprovvisti.


Fu in un contesto di emergenza dello spirito nazionale che il più antico documento a disposizione, denominato in seguito “Patto del Grütli”, venne arbitrariamente datato come risalente al 1291, in modo da farlo coincidere con le imminenti celebrazioni dell’agosto 1891.


In occasione del presunto seicentesimo compleanno della Confederazione si assistette alla celebrazione dell’incredibile unità elvetica, vera e propria Willensnation, capace di unire tre differenti culture in un comune ed interclassista progetto politico.
Come recitava un emblematico monito dell’esposizione nazionale tenutasi nel 1896 a Ginevra: “Qui non ci sono più operai e padroni, ma solo svizzeri”.


Il particolarismo svizzero, piccola oasi democratica situata nel cuore di un’Europa despotica, divenne uno dei fondamenti dell’identità nazionale.
Siamo pochi ma ci siamo, siamo uguali agli altri… forse un po’ meglio. La lotta di classe, intrinsecamente antipatriottica, non può che essere assimilata ad un pericoloso fenomeno d’importazione.


Un curioso aneddoto riportato in un dossier della polizia di Losanna può mostrarci i limiti di un’unità politica universale capace di trascendere le differenze culturali. Il 1° maggio 1893 un barista losannese viene ucciso da un operaio italiano; si scatena allora una caccia allo straniero. Uno spezzone del corteo operaio, italofono, è brutalmente attaccato dalla folla. Si trattava però di una fanfara ticinese. Probabilmente in Svizzera più che altrove è opportuno continuare a riflettere sulla “violenza invisibile” che ci circonda, così come su quello che resta il maggiore conflitto delle nostre società: quello fra capitale e lavoro.

Pubblicato il

06.05.2015 21:15
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