I giganti fuorilegge e la mela avvelenata

Per mesi Migros e Coop hanno aperto illegalmente le filiali di Maggia fino alle 19 invece delle 18.30. Unia è intervenuta, costringendoli a rientrare nella legalità. Una mezz'ora di lavoro in più può apparire poca cosa, invece pone questioni di fondo sul modello di società imposta o voluta.

«Una mezz'oretta in più? Quisquilie» e ancora «Non muore nessuno per questo». Sono alcune delle considerazioni apparse sui blog dei siti online, redatti dai soliti commentatori professionisti (i quali probabilmente dispongono di molto tempo libero vista la costanza con cui intervengono).
La mezz'ora in più di lavoro a cui si riferiscono riguarda le aperture illegali delle filiali di Migros e Coop a Maggia, prolungate nei mesi estivi senza base legale dalle 18.30 alle 19. Il sindacato Unia ha denunciato pubblicamente e alle autorità competenti il fatto che i due giganti della grande distribuzione elvetica abbiano eluso per mesi nelle filiali citate le norme vigenti sugli orari di apertura dei negozi. Al di là della banalizzazione dell'illegalità dell'azione commessa, è proprio il rapporto tra il tempo di vita e il tempo di lavoro a essere al centro del problema. Nello specifico, la venditrice di Maggia, dopo aver abbassato le serrande e sbrigato le normali mansioni del dopo chiusura, rientrerà a casa alle 20, invece delle sette e mezza. E nel caso utilizzi i mezzi pubblici, o lascia le cose a metà o il tempo d'attesa si allunga di un'ora. Se ha dei figli, questi avranno già cenato, e se in tenera età, saranno pronti a un veloce bacio alla mamma prima di andare a letto.
Quisquilie? Certamente per chi non le deve subire. E si noti che la venditrice di Maggia da questo prolungamento degli orari d'apertura non trae nessun beneficio, anzi. La sua paga rimane invariata, mentre il suo tempo di lavoro viene spalmato nell'arco della giornata, andando a erodere il tempo della sua vita personale. Altro che creazione d'impieghi grazie agli orari prolungati. A guadagnarci invece sarà il grande magazzino, e aumenta il suo margine di profitto a costi di personale invariato. Nulla di nuovo, è il classico conflitto tra capitale e lavoro, che nei recenti periodi ha fatto segnare non pochi punti a favore del primo. Negli ultimi decenni si è assistito a una lenta ma costante erosione del tempo libero a vantaggio del tempo di lavoro, mentre la ricchezza prodotta ha continuato a crescere, concentrandosi sempre più in poche mani, diminuendo la fetta di torta prodotta destinata alla gran parte della popolazione che vive di salario. Alcuni attenti osservatori sociali parlano di un capitalismo che si è appropriato dell'intera esistenza delle persone (tra questi, citiamo il professor Christian Marazzi e il suo concetto di biocapitalismo).
Nel dibattito sugli orari di apertura dei negozi è questo il tema di fondo, di società. A quale prezzo siamo disposti a regalare tempo di lavoro sacrificando quello della nostra vita per il profitto di altri? E se è vero che la vita, nella sua interezza, non ha prezzo, la risposta può essere una sola.

Pubblicato il

31.08.2012 02:30
Francesco Bonsaver