I frontalieri

Ci può essere lavoro senza diritti? Certamente, ma in un contesto linguistico in cui il falso prenda il posto del vero e viceversa, come aveva immaginato George Orwell nell'appendice del suo romanzo 1984, oppure nel linguaggio del presidente Napolitano quando spiega che l'articolo 11 della Costituzione ("L'Italia ripudia la guerra…") significa che l'Italia ha il dovere di bombardare la Libia. Per fortuna esiste il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, quello che sarà terminato fra cent'anni, ma non importa: forse riuscirà a salvare la possibilità di dire che il lavoro senza diritti è la schiavitù.
Il lavoro si sta separando dai diritti. L'avvocato Filippo Celio su laRegione del 19 aprile scorso ha invitato il partito socialista a non occuparsi soltanto della difesa del lavoro, ma anche di sviluppo economico, fiscalità e sicurezza, come se i socialisti avessero bisogno di consigli per occuparsi di tutti, i giovani, le donne, gli anziani, gli artigiani, gli inquilini, le piccole e medie imprese (vanno aiutate a diventare medio-grandi), i risparmiatori ingannati dalle banche, i ceti medi impoveriti dalla crisi (bisogna dargli una mano per farli ritornare ceti medi normali) e intanto dimenticarsi dei salariati. Anche l'onorevole Laura Sadis considera l'economia come un insieme di associazioni di negozianti del centro, imprenditori in perenne attesa di amnistie fiscali, enti del turismo intenti a promuovere i prodotti locali e direttori di grandi magazzini. Le commesse e il loro diritto a una vita decente non fanno parte dell'economia. Enzo Marchionne poi affronta la questione in maniera brutale: se volete i diritti dovete rinunciare al lavoro.
La separazione sta avvenendo anche a un livello profondo, sostanziale. In quest'epoca in cui non ci si vergogna più di essere razzisti, si torna a parlare di ius sanguinis, la cittadinanza etnica, e di ius soli, la cittadinanza che si acquista nascendo o abitando per un periodo più meno lungo in un dato paese. Da tempo in Italia interi settori economici come l'agricoltura, l'edilizia, i servizi domestici e l'assistenza agli anziani si reggono sui lavoratori stranieri. Il loro contributo all'economia è così importante che non se ne potrebbe più fare a meno. Allora si dovrebbe finalmente parlare di cittadinanza acquisita iure laboris: sarebbero da considerare italiani a tutti gli effetti. E in realtà lo sono già, ma con uno statuto particolare: italiani di serie B, cittadini senza diritti, cioè non-cittadini. Ma lavorano. Esattamente come i frontalieri in Ticino: arrivano il mattino presto, passano otto ore o più nei cantieri, nei supermercati, negli ospedali, e la sera tornano a casa. Sono indispensabili all'economia ma devono dormire all'estero, in modo da poterli pagare con stipendi che equivalgono alla metà di uno stipendio medio svizzero. Loro stessi hanno interiorizzato che per lavorare occorre lasciar perdere i diritti.
Il cittadino si pensa ormai soltanto come consumatore. Lavoratore e cittadino sono diventati due termini antitetici, il lavoratore non coincide più con il cittadino. Era stata la grande conquista dell'era moderna. Ora stiamo percorrendo all'indietro il cammino dell'emancipazione dalla schiavitù.

Pubblicato il

06.05.2011 12:30
Giuseppe Dunghi