A leggere i giornali, uno spettro sembra aggirarsi per le strade di Ginevra. Dando seguito a informazioni comunicate dalla Cia, centinaia di agenti pattugliano le strade della città romanda alla caccia di quattro ragazzi sospettati di avere dei contatti con lo “Stato islamico in Siria e Iraq” (Isis o Daech), l’organizzazione dell’estrema destra salafita sviluppatasi sulle macerie lasciate dall’invasione occidentale dell’Iraq e della guerra civile in Siria.

 

Seguendo la scia lasciata dai bombardieri occidentali che giorno dopo giorno scaricano tonnellate di bombe sul Medio Oriente, Daech sembra avere raggiunto le metropoli d’Europa. Per pagare il soldo alle decine di migliaia di suoi miliziani e per acquistare l’equipaggiamento militare, Daech ricorre principalmente a tre fonti: le tasse che riscuote nei territori occupati, i ricchi doni versati da sceicchi sunniti dell’Arabia Saudita e del Qatar e la vendita del petrolio estratto nella provincia siriana di Deir Ezzor e del nord dell’Iraq. I ricavati di questo commercio coprirebbero un quarto del budget annuale di Daech, che si aggira attorno ai due miliardi di dollari.

 

Secondo le immagini satellitari rese pubbliche dal ministro della difesa russo Anatoly Antonov, l’oro nero verrebbe contrabbandato attraverso la frontiera turca con migliaia di camion fino al porto di Cehyan, sulle coste del Mediterraneo. Durante il tragitto, il petrolio verrebbe mischiato con del greggio proveniente dal Kurdistan iracheno prima di essere venduto alle grandi società occidentali che controllano il mercato mondiale. Come confermato dal settimanale Le Matin Dimanche (13 dicembre 2015, p. 29), molte delle società attive in questo commercio hanno sede a Ginevra. È proprio dalla città di Calvino che partono gli ordini d’acquisto di gran parte del petrolio di Cehyan, così come i pagamenti milionari verso i conti dei commercianti dell’oro nero.

 

A differenza delle banche, le imprese che fanno commercio di materie prime non sono soggette alla legge federale contro il riciclaggio. Queste società non hanno quindi nessun obbligo di assicurarsi che all’origine della transazione non vi sia un crimine, che il venditore non sia membro di un’organizzazione criminale o che i milioni versati non vadano a finanziare l’acquisto di kalashnikov o di cinture esplosive.


Proprio perché di dubbia provenienza, il petrolio nord-iracheno verrebbe inoltre venduto leggermente sotto-costo, garantendo così dei margini di guadagno ancora maggiori agli acquirenti. Interrogate dalla stampa domenicale, molte società ginevrine hanno rifiutato di dare dettagli sulla loro attività appellandosi al carattere “commercialmente sensibile” delle informazioni e alle “clausole di confidenzialità” che includono i contratti per il commercio del greggio. Un traffico proficuo e opaco che svela l’ipocrisia delle politiche anti-terroriste occidentali.

 

Mentre nel nome della lotta a Daech si approvano leggi che permettono un controllo assoluto delle comunicazioni dei cittadini e cittadine, la maggioranza del parlamento federale garantisce l’opacità totale alle società che commerciano con le organizzazioni criminali e contribuiscono così a finanziare i loro misfatti. Ha ragione la Cia quindi: a Ginevra ci sono persone in contatto con Daech. Ma mentre le camionette vanno a caccia di una barba troppo lunga o di una djellaba sospetta, i finanziatori dell’Isis le osservano dall’alto, attraverso i vetri blindati dei loro lussuosi uffici.

Pubblicato il 

16.12.15
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