Chi abita e frequenta Zurigo sa che nelle giornate di sole una delle attrazioni più popolari è il Letten, area sulla riva destra della Limmat, appena sotto la stazione centrale. È una meta obbligata durante le giornate più calde dell’anno per chi vuole rinfrescarsi in acque pulite, divertirsi e incontrare amici. Non tutti sono però consapevoli di frequentare un luogo che in passato ha goduto di fama internazionale per ben altri motivi, ovvero per le vicende tragiche che lo hanno caratterizzato. Negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, infatti, il Letten e il vicino Platzspitz, il parco alle spalle del Museo Nazionale Svizzero, sono stati teatro di una delle più gravi crisi legate al consumo di eroina. Questi luoghi sono stati un vero e proprio inferno a cielo aperto, frequentato da migliaia di tossicodipendenti e spacciatori provenienti da tutta Europa. Una situazione che ha messo in crisi la città e si è protratta fino al 14 febbraio del 1995, quando le autorità decisero di intervenire con un ultimo e decisivo sgombero, accompagnato però anche dalla nuova politica della Confederazione in materia di gestione della tossicodipendenza fondata su quattro pilastri: prevenzione, terapia, riduzione del danno e repressione. L’introduzione dei programmi di distribuzione controllata di eroina e delle stanze del consumo sicuro segnò un punto di svolta nella gestione della tossicodipendenza. Questa politica si è rivelata efficace nel ridurre i danni collaterali della droga, come la diffusione dell’Aids e la criminalità legata allo spaccio, contribuendo alla riqualificazione del Letten e alla trasformazione della città. Una comunità abbandonata a sé stessa Nel frattempo, le vicende del Platzspitz e del Letten sono entrate nell’immaginario zurighese e la città ha cominciato a rielaborare, a bocce ferme, un pezzo della sua storia attraverso diverse iniziative di carattere culturale. Qualche anno fa il film Platzspitzbaby (2020), basato su una storia vera, aveva fatto scalpore in città. Oggi una mostra, al Photobastei di Zurigo, ci restituisce alcune delle immagini più crude di allora. Die offene Drogenszene in Zürich (la scena aperta della droga a Zurigo), così s’intitola la mostra conclusasi il 9 marzo, ci restituisce alcuni degli straordinari scatti di Gertrud Vogler (1936-2018), storica fotoreporter della Woz, che ha documentato privatamente per anni la vita quotidiana nei luoghi simbolo della crisi, catturando il degrado e la sofferenza, ma anche i piccoli gesti di umanità e solidarietà tra i tossicodipendenti. Ma non solo: Vogler ha prestato attenzione a tutta quella schiera di professionisti e volontari – tra cui medici, infermieri, operatori sociali, volontari, operatori ecologici, poliziotti – che ruotava attorno alla scena della droga zurighese. Una vera e propria industria. Le sue immagini restituiscono un quadro complesso di una situazione che andava ben oltre il semplice problema della droga: raccontano una comunità all’inizio invisibile, abbandonata e lasciata a sé stessa dalle istituzioni per troppo tempo, diventata poi un fenomeno mediatico e politico. Curatore e protagonista Accanto alle fotografie, il curatore Heinz Nigg, etnologo e videomaker, ha selezionato per la mostra alcuni dei migliori reportage d’epoca: «La SRF ha fatto allora un grande lavoro giornalistico attorno al Platzspitz e al Letten, con serietà e spirito critico, mentre la stampa borghese e popolare si è soffermata soprattutto sugli aspetti più voyeuristici del fenomeno». Nigg non ha però fatto solo lavoro d’archivio, ma è partito dalla sua stessa esperienza per allestire questa mostra: «Innanzitutto, come giovane padre che viveva e lavorava a ridosso della scena della droga, ero molto preoccupato per il futuro di mio figlio, allora ancora molto giovane. Come etnologo mi sono occupato del movimento giovanile degli anni Ottanta fin dalla sua nascita e mi sono ritrovato così vicino al mondo della tossicodipendenza. Il movimento giovanile zurighese di allora, infatti, ha sofferto molto per il clima di ostilità dell’autorità. Secondo me è stata la disillusione a portare molti a scegliere la strada della droga». Questa vicinanza portò Nigg nel 1995, subito dopo lo sgombero del Letten, ad allestire una mostra “a caldo” intitolata Letten it be, con numerose testimonianze video, riprese dallo stesso Nigg, delle persone che avevano attraversato la tragedia del Letten. Anche una parte di questo materiale è stata presentata al Photobastei. «La Svizzera ha saputo imparare da questa tragedia» Nel 1992 la polizia era già intervenuta per liberare il Platzspitz, causando semplicemente lo spostamento della scena della droga verso la stazione dismessa Zürich-Letten, 500 metri più a nord. Per Nigg il motivo è chiaro: «Lo sgombero del Letten non è stato un intervento di mera repressione come nel 1992. La Confederazione e lo Stato avevano preparato tutto affrontando il problema attraverso l’istituzione di luoghi di assistenza terapeutica un po’ in tutto il Paese. Le persone tossicodipendenti non sono state semplicemente allontanate ma inviate nel proprio Cantone di attinenza per essere curate secondo nuovi principi che hanno mostrato la loro efficacia». Per Nigg il confronto con gli Stati Uniti dimostra la bontà della svolta: «Le politiche repressive degli Stati Uniti nell’ambito delle tossicodipendenze sono state un vero fallimento. Lo si è visto in passato e lo si può vedere ancora oggi nelle grandi città statunitensi». La Svizzera, sempre secondo Nigg, ha saputo imparare da una delle sue più grandi tragedie. L’etnologo, prima di chiudere il nostro colloquio, ci tiene a esprimere un desiderio: «Sarebbe bello e opportuno vedere, nei luoghi della scena della droga, un monumento che ricordi tutte le persone che sono passate da quell’inferno». |