I costi che ammalano

Il Partito socialista svizzero (Pss), dopo la scoppola del 18 maggio, quando la sua iniziativa per premi di cassa malati proporzionali al reddito è stata nettamente sconfitta alle urne, ha ormai paura ad affrontare il tema dei costi della salute. E pur di evitarlo preferisce che, addirittura in campagna elettorale, siano gli altri partiti a poterlo cavalcare, primo fra tutti l’Udc. Questo almeno è uno dei modi in cui si può interpretare la decisione dell’assemblea dei delegati del Pss di sabato di rinviare a dicembre, dopo le elezioni, la decisione se sostenere l’iniziativa appena lanciata dal Movimento popolare delle famiglie (Mpf) che chiede una cassa malati unica a livello federale con premi proporzionali al reddito (cfr. box a fondo pagina). Eppure proprio il tema dei costi della salute avrebbe dovuto essere per il Pss uno dei migliori cavalli di battaglia da gettare nella mischia in vista delle elezioni di ottobre: e questo a maggior ragione da quando alla testa del Dipartimento dell’interno non c’è più la socialista Ruth Dreifuss, ciò che obbligava il partito a pesare le parole e le azioni per non mettere in difficoltà la sua consigliera federale. Ma non se ne farà nulla: per la presidente del Pss Christiane Brunner infatti «i tempi non sono ancora maturi» per una decisione sull’iniziativa dell’Mpf, in quanto «bisogna prima aspettare come termina in settembre la revisione della Legge sull’assicurazione malattia (Lamal) in parlamento», contro la quale, assicura Brunner, il Pss lancerà se del caso il referendum. Ma non maturi i tempi sono soprattutto per il Pss stesso: entrando nel merito dell’iniziativa dell’Mpf infatti troppo grosso sarebbe stato il rischio di accentuare, proprio in campagna elettorale, la frattura fra romandi e svizzero-tedeschi nel partito, un “Röstigraben” che sulla questione dei costi della salute è particolarmente profondo. All’assemblea dei delegati i Giovani socialisti, forti dell’appoggio certo delle sezioni romande, avevano chiesto che il Pss si schierasse a sostegno dell’iniziativa, mentre è dalla maggioranza germanofona più moderata che fin dal 18 maggio vengono continui inviti alla prudenza prima di gettarsi in «nuove avventure». Come giudicare la revisione in corso della Lamal? È utile aderire all’iniziativa per una cassa malati unica federale? Cosa si può fare per bloccare finalmente la spirale dei costi della salute che, con i premi di cassa malati uguali per tutti, sta per strozzare i ceti bassi e medi? E come deve muoversi nei prossimi mesi la sinistra, in particolare il Pss? A queste e ad altre domande rispondiamo facendo il punto della situazione nel complesso dossier sanitario con tre esponenti di spicco del Pss che quel dossier lo conoscono molto bene: il consigliere nazionale e oncologo Franco Cavalli, la direttrice del Dipartimento della sanità e della socialità del Canton Ticino Patrizia Pesenti e il segretario del Pss Reto Gamma. Questo è un periodo nero per gli assicurati malattia: dal no del 18 maggio all’iniziativa per premi di cassa malati proporzionali al reddito all’aumento della franchigia e della partecipazione ai costi, fino al confuso dibattito al Consiglio nazionale sulla revisione della Lamal. Come valuta il consigliere nazionale socialista Franco Cavalli, “padre” di quell’iniziativa, quest’ultimo mese e mezzo? Il chiaro no del 18 maggio ha portato con sé conseguenze immediate. Quella era la nostra ultima occasione per raddrizzare la barca sia nel senso di un’assicurazione malattia più sociale, sia in quello di una struttura sanitaria più razionale. Ora tutto quello che potremo fare sarà cercare di limitare i danni. Così, dapprima c’è stato l’aumento della franchigia minima e della partecipazione ai costi deciso da Couchepin, che porta ad un prelievo supplementare di 200 o 300 milioni dalle tasche degli ammalati. Poi c’è stato il dibattito al Nazionale, confuso sia perché i borghesi volevano concludere la discussione ad ogni costo, sia perché dopo il 18 maggio la maggioranza mostrava solo la protervia del vincitore senza alcuna volontà di discutere. Ne è risultata una revisione della Lamal che apre le porte ad un’ampia privatizzazione del settore sanitario, che non porta nulla di pocitivo ai pazienti e che non prevede nessuna misura concreta di risparmio. E che valutazione dà della seconda revisione della Lamal, che dovrebbe concludere il suo iter parlamentare a settembre? Questa seconda revisione, se andrà in porto come si sta delineando adesso, sfocerà in una serie di decisioni abbastanza confuse che non meritano il termine di riforma. Già la cosiddetta abolizione dell’obbligo di contrarre per i medici si sta riducendo ad una formula tanto altisonante quanto vuota. L’unico vero cambiamento di fondo che si prospetta, e che spiega anche la fretta dei borghesi nel chiudere la discussione il più presto possibile, è l’allargamento dei sussidi statali alle cliniche private, con un conseguente allargamento del consumo di prestazioni, dunque delle spese. Questo e una serie di paletti messi nella Lamal nel corso di questa revisione preparano quella che fra qualche anno, alla prossima revisione della legge, sarà la completa privatizzazione del settore. Il finanziamento delle cliniche private non contraddice, almeno nello spirito, gli sforzi di pianificazione fatti dai cantoni negli anni passati? In teoria no, perché i cantoni dovranno comunque allestire delle liste, ma in pratica sì. Basta vedere quanto capitato in Ticino, dove la pianificazione è stata semplicemente un elenco telefonico di quanto esisteva. Tenuto conto del potere politico delle cliniche private non vedo chi possa avere la forza nei cantoni per contrastarle efficacemente. Lei ha detto che attualmente il Partito socialista svizzero (Pss) non ha la forza per lanciare autonomamente un referendum contro questa revisione della Lamal: non è una constatazione inquietante per il Pss? L’ho detto tenendo presenti tre cose: che la votazione del 18 maggio ha dimostrato una notevole debolezza del Pss nel mobilizzare le sue truppe; che per raccogliere le firme per l’iniziativa sui premi di cassa malati facemmo un’enorme fatica; che l’attuale direzione del Pss non ha nessuna voglia di considerare prioritari i temi sanitari. Manca dunque la necessaria determinazione nei vertici del partito per un referendum, per cui ci si può aspettare solo una disponibilità ridotta della base nel sostenerlo. Col rischio che il Pss lasci libero ad altri il campo per rappresentare gli interessi degli assicurati malattia e dei pazienti. In Romandia il rischio (se si può chiamarlo rischio) è di lasciare alle forze alla sinistra del Pss (Partito del lavoro, Solidarités, Verdi) questo tema centrale. In Svizzera tedesca invece si rischia di abbandonare uno dei pochi temi con i quali si poteva contrapporsi efficacemente all’avanzata dell’Udc, smascherandone il populismo. In questo senso la posizione della direzione del Pss è perdente. In questo senso avrebbe potuto risultare utile al Pss l’iniziativa del Movimento popolare delle famiglie (Mpf) per una cassa malati unica federale con premi proporzionali al reddito. Sì. Questa iniziativa nella sua grande semplicità ha il pregio di non aver più alcune debolezze dell’iniziativa sconfitta il 18 maggio. Ed è sentita molto sia in Romandia che in Ticino. Il Comitato che lancia questa iniziativa è ricco di personalità di spicco della sinistra del Pss quasi tutte della Svizzera latina, fra cui lei. In materia di politica sanitaria, e il rinvio "tattico" della decisione sull’iniziativa dell’Mpf lo dimostra, il Pss ha il suo bel Röstigraben. Il Röstigraben nel Pss indubbiamente c’è, anche se è stato un po’ nascosto negli ultimi tempi da un lato dalla presidenza romanda di Brunner, che dà l’impressione che siano i latini a comandare, e dall’altro dalla vittoria nel referendum sulla Legge sul mercato dell’energia elettrica che, strappata coi denti dalla sinistra del partito, ha fatto ammutolire per qualche mese i settori più moderati che sono molto forti nella Svizzera tedesca. Col passare del tempo però e anche dopo il 18 maggio questi settori si stanno rinfrancando, avanzando anche alcune candidature potenzialmente di successo per l’elezione al Consiglio degli Stati (Estermann a Zurigo, Fetz a Basilea, Sommaruga a Berna). La parte più moderata del partito si sta preparando per il momento in cui, nel 2004, partirà Christiane Brunner: sarà a quel momento lo scontro decisivo. È stata avanzata la proposta di una tavola rotonda nazionale degli assicurati per formulare soluzioni innovative e uscire dall’impasse. Lei come la vede? A breve scadenza sono pessimista. Con i comitati dell’iniziativa del 18 maggio e dell’attuale iniziativa, più altre forze progressiste, stiamo organizzando in autunno una sorta di stati generali sulla salute per creare un movimento di sinistra, perché lo spazio di discussione su questi argomenti sia nel Pss che nei sindacati al momento è molto ridotto. Il fatto è che con Couchepin una discussione è possibile solo quando sente di avere di fronte una forte opposizione. Attualmente questa non c’è, per cui lui andrà avanti tranquillo per la sua strada. Una nuova discussione potrà esserci solo quando, nel 2005-2006, entrerà in funzione la seconda revisione della Lamal, che secondo i miei calcoli da sola dovrebbe portare ad un aumento del 10 per cento dei premi di cassa malati: quella crisi soltanto potrebbe riaprire un vero spazio di confronto. Quindi per i prossimi dieci anni gli assicurati devono aspettarsi continui aumenti dei premi compresi fra il 5 e il 10 per cento all’anno? È una prospettiva realistica. A meno che non si trovino dei sotterfugi, come l’aumento della franchigia inventato da Couchepin che porterà probabilmente ad un aumento più contenuto dei premi per il 2004. Prima o poi anche gli svizzeri saranno stufi: una grossa mobilitazione popolare su questo tema non è ipotizzabile? Penso che sia ipotizzabile, specie se messo in relazione allo smantellamento della previdenza professionale. Non so quando si arriverà al punto di rottura, anche perché gli svizzeri sono abbastanza masochisti e hanno una grossa capacità di sopportazione. Ma penso che su questi temi bisogna approntare fin da ora delle strutture di massa al di fuori del partito e dei sindacati, perché è solo così che possiamo sperare di avere al momento buono la forza per imporre un reale cambiamento di sistema. “È ora che i pazienti imparino a difendere i loro interessi” Patrizia Pesenti, direttrice del Dipartimento della sanità e della socialità del Canton Ticino, che cosa ha determinato a suo avviso la secca sconfitta del 18 maggio dell’iniziativa per premi proporzionali al reddito? La proposta di finanziare l’assicurazione malattia in modo più equo, tenendo conto della forza finanziaria di ognuno, resta giusta. Questo avviene in quasi tutti i paesi occidentali, dove la sanità è finanziata in gran parte dalle risorse fiscali dello Stato. Non condividevo personalmente la proposta di aumentare il prelievo dell’Iva, una imposta che tocca tutti, indipendentemente dalla loro forza finanziaria, una imposta quindi per nulla sociale. Inoltre, l’incertezza e la guerra di cifre che ha dominato la discussione, è stata servita agli avversari su un piatto d’oro proprio dagli autori dell’iniziativa. Quale dev’essere ora la strategia della sinistra per difendere efficacemente gli interessi degli assicurati? In tutti questi anni, in cui il Parlamento federale sta esaminando la revisione della Lamal, poche sono state le proposte per frenare la formazione dei costi sanitari. Ad esempio, con la seconda revisione della Lamal, si è deciso di trasferire la metà dei costi delle degenze nelle cliniche private dalle assicurazioni ai cantoni. Ma ai cantoni, che dovranno sopportare una fattura salata con i soldi dei contribuenti, mancheranno gli strumenti per frenare questi costi. Io credo che la sinistra debba continuare a battersi per una ripartizione più sociale della spesa sanitaria. Un obiettivo che va perseguito senza però dimenticare che il problema principale da affrontare resta quello del costante e preoccupante aumento dei costi sanitari. Cosa ne pensa dell’iniziativa del Movimento popolare per le famiglie per una cassa malati unica federale con premi proporzionali al reddito? Una cassa malati unica federale non risolverà il problema principale che resta quello dell’aumento dei costi. È però altrettanto vero che la concorrenza tra gli assicuratori malattia privati non ha raggiunto l’obiettivo declamato di controllare l’aumento dei premi. Il tema merita ad ogni modo di essere approfondito: lo stiamo facendo assieme ai colleghi responsabili della sanità nei cantoni romandi. Nella questione ci sono molti aspetti ai quali prestare attenzione. Penso anche solo ai posti di lavoro: una cassa unica a livello federale sarebbe più efficiente e richiederebbe probabilmente meno personale con l’effetto negativo di sopprimere posti di lavoro, soprattutto nelle periferie. Questo per dire che, al di là delle questioni sanitarie assai complesse, vi sono anche altri aspetti da considerare. Come valuta la direttrice di un Dipartimento cantonale della sanità i primi sei mesi al Dipartimento dell’interno di Couchepin? Non spetta a me formulare delle valutazioni. Forse solo alcune considerazioni puntuali. Ho apprezzato molto il modo in cui il Dipartimento dell’interno, e in particolare l’Ufficio federale della sanità, ha affrontato l’emergenza Sars. Quanto al finanziamento del sistema sanitario, credo che il consigliere federale sappia di trovarsi nelle mani un dossier tra i più complessi, di non facile soluzione. Per contro non sono assolutamente d’accordo con la proposta di trasferire il finanziamento dei costi sul paziente stesso, facendogli pagare una partecipazione maggiore alle spese, aumentando ad esempio la franchigia minima. Queste proposte minano il principio di solidarietà tra sani e malati che sorregge l’assicurazione malattia. Che giudizio dà su un sistema assicurativo obbligatorio che in Ticino un assicurato su tre non è in grado di pagarsi autonomamente, se non facendo ricorso ai sussidi? Nella maggior parte dei paesi occidentali a economia di mercato la popolazione non contribuisce, se non in minima parte, ai costi della sanità di base. La sanità è finanziata pubblicamente. Da noi un terzo della popolazione viene aiutato dallo Stato a pagare i premi e i costi degli ospedali sono sopportati per la metà dai cantoni. Quando sarà in vigore la revisione della Legge sull’assicurazione malattia, anche gli ospedali privati saranno finanziati in ragione di circa la metà e verrà allargata la cerchia di chi avrà diritto ai sussidi. A questo punto mi chiedo perché certi politici si ostinano a parlare di concorrenza e di sistema sanitario privato. In effetti assistiamo ad un trasferimento continuo degli oneri dai premi alla fiscalità. Penso sarebbe buona cosa fare più chiarezza e dire ai cittadini che in un modo o nell’altro pagano l’intera fattura della sanità o come contribuenti o come assicurati. Cosa ci guadagnano i pazienti-assicurati dall’abolizione dell’obbligo di contrarre, previsto nella seconda revisione della Lamal? L’abolizione dell’obbligo per gli assicuratori di rimborsare qualsiasi prestazione medica di qualunque medico è un passo nella giusta direzione per contenere i costi. Dobbiamo riuscire a diminuire o almeno a mantenere costante il numero di medici. La domanda da porci è se abbiamo bisogno di così tanti medici. Non vi è infatti nessuna correlazione tra la spesa per la medicina ambulatoriale e lo stato di salute della popolazione, misurato in termini di mortalità evitabile grazie ad un intervento medico (un indicatore che raggruppa le patologie che possono condurre al decesso e sulle quali la medicina può avere un influsso). All’interno della Svizzera tra la regione con la più alta densità medica e quella con la più bassa non ci sono praticamente differenze. Nei cantoni di Ginevra e Basilea, con una disponibilità tre volte superiore di medici ogni 10 mila abitanti rispetto ai cantoni della Svizzera nord-orientale, corrisponde una spesa di oltre due volte superiore. Ma questo non ha nessun influsso sulla mortalità e la soddisfazione dei cittadini. Il nuovo sistema di finanziamento degli ospedali previsto dalla revisione della Lamal, con le casse che decideranno quale istituto finanziare, non vanifica il lavoro di pianificazione svolto finora dai cantoni, in particolare in Ticino? Continueremo nel lavoro di pianificazione ospedaliera fino a quando non ci avvicineremo ad una densità di ospedali acuti paragonabile al resto della Svizzera. Si può tenere conto di certe particolarità del Ticino: penso alla posizione geografica che non favorisce le ospedalizzazioni fuori cantone e alla percentuale di popolazione anziana, ma questo non giustifica l’esubero di offerta ospedaliera nel nostro cantone, né il maggior ricorso alle ospedalizzazioni. Se il cantone dovrà finanziare anche le cliniche private sarà maggiormente attento alla pianificazione, perché inciderà notevolmente sul bilancio dello Stato e sulla quota di spesa pubblica. La revisione della Lamal sembra farsi ora a spese esclusivamente dei pazienti: dobbiamo augurarci che i medici lancino un referendum, o questo sarebbe solo espressione degli interessi di categoria di fronte all’abolizione dell’obbligo di contrarre? Non direi che la revisione della Lamal avvenga a scapito dei pazienti. La proposta di contenere il numero di ospedali o di medici non avviene a scapito dei pazienti. L’introduzione di incentivi finanziari affinché la cura di un paziente avvenga nell’ambito di una rete di medici e ospedali che forniscono in modo coordinato le cure non è negativo per il paziente, anzi. Dobbiamo essere in chiaro che più costi non significano necessariamente una migliore speranza di vita, né una più grande soddisfazione da parte dei pazienti. Questo lo si vede bene confrontando i cantoni svizzeri tra loro. Gli alti costi della Lamal sono in parte dovuti alla sovrabbondanza di offerta. In Ticino, dove pure si pagano premi fra i più alti in Svizzera, il Consiglio di Stato propone però che la moratoria di tre anni sulle autorizzazioni a esercitare a carico della Lamal non sia applicata a tutte le categorie di fornitori di prestazioni. Come mai? Le categorie principali di fornitori sono state sottoposte alla moratoria, il numero di studi medici, di farmacie, di dentisti, di fisioterapisti e di laboratori non potrà aumentare. Un nuovo studio potrà aprire solo quando un altro chiuderà. Le categorie escluse dal decreto sono meno determinanti nella formazione dei costi sanitari e, soprattutto, non sono in esubero nel nostro cantone. Deve rimanere un tabù il mantenimento ai livelli attuali del catalogo di prestazioni coperte dall’assicurazione di base, o è ipotizzabile una sua riduzione? La questione non è ridurre il catalogo di prestazioni che comunque dovrebbe essere lo stesso per tutti. La questione è un’altra: abbiamo bisogno di così tanta medicina ? Nel confronto europeo la Svizzera ha la più elevata spesa sanitaria per abitante (3’222 dollari per abitante). Prendo a confronto la Svezia, nazione che spendeva nel 2000 per la sanità circa 1’400 dollari per abitante in meno del nostro paese. La disponibilità di letti ospedalieri acuti è da noi superiore del 70 per cento, in Svizzera un paziente rimane in media 9,3 giorni in ospedale acuto cioè l’86 per cento in più che in Svezia mentre la nostra densità di medici è del 20 per cento superiore. Altro fattore che spiega la nostra spesa sono i prezzi, di tutto riguardo, pagati per le prestazioni dei medici, che ricordo sono remunerati all’atto, cioè con il sistema sicuramente più inflazionistico. Fra la lobby dei medici (e in genere dei fornitori di prestazioni) e quella degli assicuratori, chi tutela con altrettanta efficacia gli interessi dei cittadini-pazienti? Sarebbe buona cosa se i pazienti, rispettivamente gli assicurati, fossero più attivi nel difendere i propri interessi. Può indicare una misura che andrebbe presa urgentemente per contenere efficacemente l’aumento dei costi? Certo, più di una. Per inibire la crescita dei costi occorre ridurre i fornitori di prestazioni ospedaliere acute; congelare e gestire differentemente l’offerta ambulatoriale; rivedere i prezzi e tariffe nonché i meccanismi di remunerazione dell’attività sanitaria che creano inflazione; superare il federalismo che spinge all’autarchia cantonale dell’offerta e quindi alle sovracapacità ed ai doppioni; promuovere l’offerta di managed care (medico di famiglia, Hmo) e introdurre incentivi per favorire la scelta di queste ultime forme di assicurazioni che hanno dimostrato di costare fino al 40 per cento di meno delle forme tradizionali.

Pubblicato il

04.07.2003 01:30
Gianfranco Helbling