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Hybris

La nobile famiglia da cui proveniva e le grandi qualità del marito, re di Tebe, erano sì motivo di vanto per Niobe, ma non quanto l’essere madre felice di sette figli e sette figlie, tutti sani e belli. Questo suscitava in lei un immenso orgoglio, spingendola a considerarsi la miglior madre al mondo, superiore persino alle dee dell’Olimpo. Una veggente, intravedendo il pericolo oscuro a cui sarebbe andata incontro la regina a causa della sua superbia, aveva esortato le donne della città a innalzare preghiere e a bruciare incenso sull’altare della dea Latona. Sopraggiunge Niobe “bella quanto lo concede il furore” e grida: “Siete pazze a tributare incenso e preghiere a una statua inanimata e non a me che discendo da stirpe divina, posseggo ricchezze immense e soprattutto sono madre fortunata di tanti figli e figlie, in numero ben maggiore di quei due che ha messo al mondo con fatica Latona; andatevene, lasciate a mezzo il rito”. Sul monte Cinto a Delo, dove abitava, Latona si offese e chiese ai suoi due figli di vendicarla. E la vendetta fu atroce: tutti i figli di Niobe vennero sterminati a colpi di frecce, il padre si uccise per il dolore, la madre piangente fu trasformata in pietra “e ancora oggi dal masso marmoreo stillano lacrime”.


Se il mito – come si affermava già nell’antichità – è il racconto di cose che non sono mai accadute ma che esistono sempre, la vicenda di Niobe racconta non tanto il comportamento superbo o arrogante in genere, ma qualcosa di più profondo: l’abisso tragico che si apre con il “sentirsi forti sopra” tanto da poter distruggere le regole minime che permettono una convivenza ragionevole fra tutti.


Per esempio quando gli impresari costruttori ticinesi che hanno riempito di case, casette, palazzi e capannoni ogni pezzetto di prato da Chiasso a Biasca (quasi più gru che alberi) si accorgono che la pacchia sta per finire e chiedono aiuto al Cantone, alla Confederazione e ai Comuni: servono opere pubbliche! Dunque raddoppio del tunnel del San Gottardo, copertura dell’autostrada, terza corsia da Lugano a Chiasso, rinnovo delle sottostrutture stradali in ogni Comune, svincoli e rotonde dappertutto. Dopo aver condotto per quarant’anni una battaglia culturale virulenta contro l’intervento dello Stato nell’economia ti diventano improvvisamente keynesiani.


Ma veniamo ai pomodori e alla loro coltivazione. Ogni anno il prezzo dei pomodori viene fissato in gennaio-febbraio con una trattativa fra le organizzazioni dei produttori e quelle delle industrie di trasformazione: quest’anno 79,75 euro a tonnellata nel Norditalia e 87-97 euro a tonnellata nel Centro-Sud, una media dunque di 9 centesimi al chilo. Di questi 9 centesimi, 8 se li terrà l’imprenditore agricolo che deve pagare l’affitto del terreno, la sua preparazione, le piantine e l’irrigazione, e 1 centesimo va al raccoglitore. Se il raccoglitore in un giorno riesce a riempire 4 cassoni da 3 quintali ciascuno, guadagna 12 euro, da cui deve detrarre la spesa per il caporale che lo porta sul campo. Allora come si fa a dare la colpa dell’illegalità e del lavoro nero nelle campagne ai cosiddetti caporali e all’inefficienza dei controlli e non invece all’irresponsabilità di chi sta portando avanti lucidamente il progetto di far diventare normale il lavoro schiavile?


E quale folletto avrà suggerito di corredare un servizio televisivo di questi giorni sulle Officine di Bellinzona con una panoramica dall’alto dell’intera area? Come a dire: “Quest’area così pregiata è purtroppo ancora occupata da macchinari vetusti e da quattro straccioni il cui apporto al Pil cantonale è la birretta che bevono a fine turno nell’osteria di fronte all’uscita”. È questa la hybris che scatenava l’ira degli dei greci. Ma oggi non ci sono più divinità che possano intervenire a ristabilire la giustizia fra gli umani.

Pubblicato il

08.11.2018 16:29
Giuseppe Dunghi
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