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È scontato: non ci può essere una parità di genere se un uomo continua a guadagnare più di una donna. Di fronte a un divario salariale inspiegabile oggettivamente – nel privato le lavoratrici guadagano il 17,5% in meno dei colleghi – Unia chiede l'uguaglianza degli stipendi con controlli puntuali alle ditte e sanzioni.
“Stabilizzare”, “modernizzare”, “adeguare”: sono termini da cui diffidare quando vengono associati a progetti o decisioni di politica sociale, perché spesso vengono utilizzati per abbellire ciò che bello non è affatto. È la sensazione che abbiamo provato leggendo i “primi indirizzi generali” della riforma AVS 2030 presentati la scorsa settimana dal Consiglio federale, il quale, pur rinunciando per il momento a proporre un aumento dell’età pensionabile (e ci mancherebbe altro dopo il chiarissimo no popolare dell’anno scorso a un’iniziativa in questo senso), mira per altre vie a prolungare la vita professionale delle persone.
Negli scorsi giorni il sindacato Unia ha presentato un suo nuovo rapporto sui salari femminili, che conferma il persistere delle discriminazioni di genere e ribadisce la necessità di un rafforzamento della legislazione in materia di parità dei sessi e di salari minimi.
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