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Stabilisce la Legge federale sul lavoro: in Svizzera il lavoro domenicale è “vietato”. Salvo eccezioni. Eccezioni ovvie, come quelle che riguardano ospedali, farmacie, alberghi, aziende turistiche, redazioni dei giornali e altri soggetti che offrono servizi essenziali alla popolazione. Ed eccezioni un po’ meno ovvie e meno giustificabili, come quelle di cui godono i negozi. E che gli insaziabili liberisti nostrani vorrebbero sempre più ampie, come dimostra la nuova (ennesima) proposta del Consiglio federale tesa ad autorizzare l’impiego di personale la domenica nei commerci delle principali città svizzere, Lugano compresa.
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Chiasso è finita suo malgrado al centro della recente campagna elettorale vinta dalla destra. La città è stata definita “la Lampedusa della Svizzera” dal presidente dell’Udc Marco Chiesa secondo cui la situazione dei richiedenti l’asilo sarebbe “fuori controllo”. Una narrazione, fatta propria anche da alcuni organi di stampa, secondo cui Chiasso sarebbe invasa da un’orda di giovani molesti venuti qui con l’intento di delinquere. Ma è davvero così? Certo, complici anche alcuni rari fatti di cronaca, la convivenza tra una parte della popolazione e gli ospiti dei Centri federali d’asilo (Cfa) si è fatta più tesa. La situazione, però, è ben diversa da quella gridata per il tornaconto elettorale di alcuni politici. A preoccupare sono piuttosto le lacune del sistema di accoglienza. Lacune che alcune cittadine e cittadini chiedono di poter migliorare, per il bene non solo dei migranti, ma di tutta la popolazione.
Quando il lavoro, sotto la stecca del sole o un diluvio, diventa infernale, bisogna fermare i cantieri. Non è questione di capricci, ma di vita, quella degli edili, che viene messa in pericolo, perché costretti a sgobbare in situazioni climatiche estreme. Una petizione, sottoscritta da quasi 20mila persone attive nel settore, chiede una maggiore protezione della loro salute con norme precise definite a livello nazionale.
Non c’è pace sulle macerie del Molino, il centro sociale autogestito luganese che andò distrutto una notte di maggio di due anni fa durante un’operazione di polizia di sgombero su mandato dell’autorità cittadina. Bocciata la prima inchiesta, la seconda si scontra con l’annerimento della documentazione da parte della Polizia cantonale. «Non può farlo. La polizia è un collaboratore di giustizia, al servizio della Magistratura. Il suo è un atto di ostruzionismo all'inchiesta» commenta l'avvocato Paolo Bernasconi.
Non sono drammi passionali, ma un problema antico, non risolto, che deriva da relazioni diseguali di potere fra i sessi in una dinamica di controllo e di potere alimentata da stereotipi, aspettative di genere che portano alcuni uomini a mettersi in competizione con le donne e, nei casi peggiori, ad annientarle fisicamente, perché non possono sopportare, e soprattuttto non riescono ad accettare, la loro capacità di essere libere e indipendenti.
«Dica trentatré»: lo chiede il medico quando con lo stetoscopio ci controlla il torace per verificare lo stato di salute.Dite 22 novembre 2023, dite Svizzera e sanità: la diagnosi è grave. E oggi a Basilea, Berna, Delémont, Neuchâtel, Olten, San Gallo, Winterthur e Zurigo il personale sanitario, affiancato anche da Unia, è stata organizzata una giornata di sensibilizzazione per porre l’attenzione della popolazione su un problema, che richiama la società nel suo insieme, con azioni di flash mob nelle stazioni per chiedere a gran voce un sistema sanitario forte e di qualità.
Pagati al minuto, non retribuiti quando sono a disposizione dell'azienda, indennità irrisorie e chilometri mancanti. La testimonianza della dura vita del corriere di Divoora, oggi coordinato dall'Albania dopo esser stati licenziati quelli locali. «La latitanza delle autorità cantonali sul caso Divoora genera emuli in altri settori» denuncia il sindacato Unia.
Mercoledì 22 novembre ci sarà una manifestazione di protesta contro i tagli alla spesa pubblica di 134 milioni proposti dal governo cantonale nel Preventivo 2024. A metà dicembre invece, toccherà al Gran Consiglio dibatterne. In vista della discussione sui tagli, ne parliamo con Ivo Durisch, capogruppo del Partito socialista nel parlamento ticinese.
Il Parlamento, a cui la Costituzione affida il potere legislativo, è ridotto al silenzio da un governo aggressivo e decisionista che ne sostituisce le funzioni. E lo stesso governo è stato trasformato in un circolo di paria perché a decidere è sempre più spesso l’imperatore, anzi l’imperatrice, la donna sola al comando che sterilizza il dibattito parlamentare. Sono le prove generali per l’assalto alla Costituzione con l’introduzione del premierato.
Prosciolti entrambi gli agenti della polizia comunale di Lugano per il presunto pestaggio di un venditore di rose avvenuto alla stazione cittadina il primo agosto 2015. In assenza di prove oggettive, il giudice Simone Quattropani ha spiegato di non essere arrivato alla convinzione "oltre ogni ragionevole dubbio" della colpevolezza dei due imputati. Motivando la sentenza, il giudice ha espresso severe critiche all'operato del Ministero pubblico nelle fasi iniziali dell'inchiesta e rimarcato la mancata collaborazione del Comando della Polcomunale luganese nell'accertamento della verità.
Agli interinali, fra le tre e le quattrocento persone, è stato imposto di scegliere entro una decina di giorni se cessare il rapporto lavorativo entro fine novembre o accettare un nuovo contratto nel quale saranno garantite solo dodici ore al mese. Un trasloco annunciato quattro anni fa. Eppure, solo l'anno scorso dai vertici aziendali era arrivato il contrordine: “Fermi tutti, restiamo in Ticino". Ai più meritevoli fra gli interinali, era stata ventilata la sospirata assunzione diretta. Ora la doccia fredda.
Ancora increduli, rattristati e indignati per la decisione del Consiglio di Stato ticinese di negare al nostro fratello e compagno Arlind Lokaj il diritto di continuare a vivere nel paese dove è nato, dove ha la sua mamma, la sua ragazza e i suoi amici più fraterni e dove tra pochi mesi potrebbe incominciare un apprendistato, gli “Amici di Arlind” lanciano un accorato appello a tutta la popolazione ticinese affinché si mobiliti in favore di questo bravo ragazzo di soli 17 anni che non ha mai fatto del male a nessuno ma che il nostro Governo vorrebbe espellere dalla Svizzera e rispedire in Kosovo, nel suo paese di origine dove però non ha più alcun punto di riferimento.
Perché non dare ad Arlind la possibilità di vivere una vita normale in Ticino invece di cacciarlo in un tunnel di cui non si vede l'uscita? Solo perché secondo la legge la domanda per il ricongiungimento familiare è stata presentata tardivamente? Chiediamo umilmente ai cittadini ticinesi di rispondere a queste domande e di provare anche solo per qualche minuto a calarsi nei panni di un Arlind o in quelli del genitore di un Arlind. Tutti coloro che proveranno un sentimento d'indignazione per la decisione del Consiglio di Stato, sono invitati/e a partecipare ad una
Manifestazione di protesta
ARLIND È UNO DI NOI E CON NOI DEVE RESTARE!
martedì 15 aprile alle 17.30
a Bellinzona -Piazzale della Posta-
Abbonarsi alla versione cartacea di area costa solo 60 franchi!