Di quel sanguinamento, che colpisce le donne in età fertile dai tre ai cinque giorni al mese, tutti ne sanno, ma in pochi ne parlano. Si sa che è una questione fisiologica, ma non la si nomina, si fanno battute sessiste al riguardo e non si tutela chi soffre fisicamente per le mestruazioni. Dopo secoli di silenzio, il dibattito si è aperto e anche Unia ha affrontato la questione con una posizione, che il sindacato, definisce “sfumata”: sì al principio di unamaggiore tutela, ma con la consapevolezza delle sfide che si pongono a livello di legiferazione. Un mese dopo l’altro per circa 40 anni: le donne sanguinano dall’antichità in silenzio. Perché non c’è, forse, nell’ambito della salute argomento più nascosto delle mestruazioni. La rivoluzione sessuale è riuscita a far accettare il sesso fuori dal matrimonio e ha portato alla normalizzazione della contraccezione e della pillola. Poi è stata la volta della legalizzazione dell’aborto, mentre si iniziava a parlare senza pudore, ma con un’ostentazione provocatrice, della parte più intima del corpo femminile. Esultanza, gaudio, acclamazione della vagina con i monologhi a essa intitolata attraverso l’opera teatrale di Eve Ensler, che dal 1996 è stata rappresentata nei teatri di mezzo mondo. Evviva la vagina, «strumento di emancipazione, che ha subito troppe sessualizzazioni nell’arco di interi secoli». Già, però le donne hanno continuato a sanguinare in silenzio, dal momento che il ciclo delle donne non è quasi mai stato affrontato nelle discussioni pubbliche e politiche. Le mestruazioni, legate anche al concetto di fertilità e di vita, restano un “fatto privato”, da nascondere, da nominare in modi fantasiosi, negandogli pure il nome. Taciute, eppure così presenti – e a volte invalidanti – nella vita delle donne. Se gli spot televisivi ci mostrano ragazze che giocano sorridenti proprio “in quei giorni” con la gonnellina bianca, la realtà è ben diversa. Occorre prenotare le vacanze al mare con il calendario alla mano per essere sicure di arrivare in spiaggia (e in costume da bagno...) nelle settimane lontane dal flusso; chi si sposa ha il terrore che il ciclo faccia le bizze e si presenti sotto il candido abito nuziale; al lavoro si corre di continuo in bagno per controllare che i vestiti non siano macchiati di sangue. No, non è una tragedia, d’accordo, ma un disagio vissuto fra i tre e i cinque giorni al mese per 40 anni. Questo l’aspetto pratico, ma ne esiste un secondo più problematico: molte donne durante il ciclo stanno male fisicamente in modo invalidante. Se le mestruazioni sono un tabù, di riflesso le donne non possono esplicitare il malessere a esse collegate e continuano le loto attività, tacendo. Crampi, tachicardia, difficoltà a concentrarsi, insonnia, mal di testa, ansia, depressione: sintomi fisici e psicologici associati che possono turbare temporaneamente la vita di una donna. Temporaneamente, che non è poi così provvisorio, trattandosi di tre, quattro, cinque giorni al mese per 40 anni. In silenzio. E, ribadiamolo, sempre in silenzio, cercando di evitare commenti sibillini e sessisti di uomini che se la ridono sotto i baffi. In Questo è il mio sangue. Manifesto contro il tabù delle mestruazioni, un saggio uscito in Francia e pubblicato nel 2018 da Einaudi in italiano, la giornalista Élise Thiébaut parla letteralmente di “diseguaglianza mestruale”. «Siccome le donne hanno le mestruazioni che sono oggetto di tabù, le donne subiscono una forma di oppressione che nessun uomo conoscerà mai» scrive la giornalista. Riprendendo questo aspetto, l’endocrinologa spagnola Carmen Valls, autrice del volume Mujeres invisibles, per le edizioni Capitàn swing, rivendica la necessità di affrontare la medicina da una prospettiva di genere. Nel suo libro spiega come «la medicina e la scienza hanno preso il maschile come riferimento senza considerare gli eventi fisiologici e ormonali legati al ciclo mestruale. Matte, isteriche, le donne sotto stress durante il ciclo mestruale: tanto che alcune sono state mandate in manicomio in modo che il marito potesse divorziare e liberarsi della moglie non più gradita». Questione di potere, dove la scienza è stata usata per delegittimare una presunta inferiorità delle donne, facendo leva proprio sul loro funzionamento fisiologico. Quel sanguinamento, diavolo di un diavolo!, doveva far pensare male! Nel 1869 l’antropologo James McGrigor Allan alla Anthropological Society di Londra si gonfiò tutte le vene del collo per spiegare il motivo per cui non andasse concesso il voto alle donne. Il grande “pensatore”, descrivendo il flusso mestruale come un fenomeno che rendeva le donne non solo fragili, ma emotivamente instabili e depresse, arrivò ad affermare che la popolazione femminile avesse una minor capacità di giudizio rispetto a quella dell’uomo. Per «l’ovvia ragione che la natura non interrompe periodicamente il suo pensiero e il suo impegno». Un mezzo meschino per rinforzare la diseguaglianza di genere, per usurpare i diritti alle donne. Per fare un esempio, che ha dell’incredibile, fino al 1963, per la legge italiana le avvocate non potevano accedere alla magistratura perché, scritto, nero su bianco, «fisiologicamente tra un uomo e una donna ci sono differenze nella funzione intellettuale, e questo specie in determinati periodi della vita femminile». Insomma, quel sangue pericoloso doveva restare nel segreto assoluto, nell’area più profonda dell’intimità femminile, da far vivere come uno stigma. Il tabù e la mancanza di riconoscimento sociale hanno portato a imporre l’idea che il dolore fosse “normale” e da sopportare. Nessuna tutela, costringendo le donne a lavorare senza tregua dentro e fuori casa. Monologo sulla vagina dopo monologo, qualcosa si è smosso. È iniziata la rivoluzione... mestruale! Un’onda che chiede di iniziare a considerare le mestruazioni tali quali sono: non solo un avvenimento biologico, bensì un fenomeno sociale. Un cambiamento di mentalità che intende smantellare diverse ingiustizie economiche, politiche, mediche e sociali legate al ciclo. Un movimento che chiede di trovare soluzioni per la sindrome premestruale, che fino a oggi ognuna si è più o meno trovata a gestire da sola. Nei fatti concreti tenere conto dei dolori invalidanti con cui alcune donne convivono, introducendo congedi mestruali e rendere accessibili gli assorbenti (ci sono donne, in determinate condizioni economiche, che usano carta igienica e pezze, mettendo a rischio la propria salute). In Europa a fare il primo passo è stato il governo scozzese: con le idee in chiaro si è prefissato di creare una società più equa e più egualitaria. Nell’agosto 2022, la Scozia ha compiuto lo storico passo per diventare il primo paese al mondo a fornire prodotti mestruali gratuiti per le persone indigenti: per una questione di dignità, uguaglianza e diritti umani. Nel 2023 la Spagna, paese dalle forti radici machiste, ha fatto un ulteriore balzo in avanti: lo scorso febbraio è stato il primo governo occidentale a introdurre un congedo mestruale di tre giorni sovvenzionato dallo Stato. Un congedo che non assicura un “privilegio” e non prevede l’assegnazione automatica di giorni di malattia a ogni mestruazione: offre piuttosto una copertura di cui è possibile avvalersi quando se ne ha bisogno, sfruttando anche la possibilità di ricorrere al lavoro da remoto. Niente di trascendentale, solo il ribaltamento culturale dell’idea diffusa dell’esperienza femminile in cui la sofferenza è parte dell’essere donna. Uomini, la pacchia sta per finire: vediamo chi sono le isteriche e chi, invece, gli approfittatori. Il congedo mestruale di Zurigo Dopo che il Parlamento della città di Zurigo ha votato negli scorsi mesi a favore dell’introduzione di un congedo mestruale, anche il sindacato Unia ha deciso di occuparsi in profondità del tema. Il risultato è una presa di posizione sfumata frutto di una discussione aperta e assai partecipata su un tema che finora è stato poco trattato. Aude Spang, segretaria nazionale per la parità, ricostruisce ciò che è accaduto: «L’esperimento della città di Zurigo ha suscitato un dibattito molto acceso. La regione Unia Zurigo-Sciaffusa è stata più volte interpellata sul tema dai media e per questo abbiamo deciso di prendere ufficialmente una posizione come organizzazione». Un esperimento discusso Negli scorsi mesi, su proposta della consigliera verde Anna-Béatrice Schmaltz, il Parlamento di Zurigo ha approvato un postulato per chiedere al governo di introdurre un congedo mestruale sperimentale per quelle donne che soffrono di dolori durante i giorni del ciclo. La decisione ha creato un vivace dibattito attorno al tema con prese di posizioni pubbliche piuttosto discordanti tra loro. C’è chi ha salutato con favore la decisione, ma non sono mancate le voci critiche, e non solo tra le fila delle parlamentari borghesi. Un esempio su tutti è quello di Jacqueline Schneider, della Frauenzentrale St. Gallen, che ha sottolineato il rischio di vittimizzazione delle donne. Sui media della Svizzera tedesca sono stati a decine gli articoli che hanno riportato storie di donne alle prese con dolori fortemente invalidanti. Anche la politica nazionale si è mossa per promuovere campagne e ricerche specifiche dedicate ai dolori mestruali. Il sindacato Vpod osserverà con attenzione l’esperimento della città di Zurigo, ma al momento non ha preso ancora una posizione chiara. Mattia Mandaglio, segretario Vpod, sindacato che difende il personale del settore pubblico, chiarisce: «L’idea di un congedo mestruale è arrivata dalla politica. Noi siamo ovviamente interessati a questo tema e abbiamo cominciato una discussione al nostro interno. Al momento non abbiamo rivendicazioni specifiche e aspettiamo anche di vedere i primi risultati dell’esperimento». Primi risultati che non arriveranno però molto presto, come dichiara Alina Wohlt, responsabile risorse umane della città di Zurigo: «Il postulato approvato dal Parlamento è ora nelle mani del governo cittadino che ha tempo fino a due anni per rispondere».
Un tema sentito È stata la Commissione delle donne di Unia che ha elaborato un documento sul tema del congedo mestruale. Per Aude Spang, «si è trattato di un dibattito molto partecipato e aperto, in cui sono emerse posizioni molto differenti tra loro, ma tutte concordi nel sostenere che sia giunta l’ora di parlare di mestruazioni senza tabù anche in relazione al mondo del lavoro». Un discorso senza tabù che però non deve tradursi in un controllo del corpo femminile: «Il congedo mestruale comporta dei rischi e la nostra discussione interna li ha fatti emergere. Un congedo ad hoc potrebbe infatti rivelarsi un boomerang per le lavoratrici perché sottopone i loro corpi a un controllo indesiderato da parte dei superiori e inoltre le espone al rischio di molestie sessuali; il mestruo è nella società patriarcale purtroppo ancora un tema scabroso». I contratti come soluzione Sottolineare le criticità del congedo mestruale non significa trascurare il problema dei dolori mestruali. Si tratta di una realtà per milioni di donne nel mondo causata soprattutto dall’endometriosi, malattia ginecologica dovuta alla presenza anomala all’esterno dell’utero di cellule della parete interna, in particolare su ovaie, tube e peritoneo. Le donne di Unia hanno posto l’attenzione sugli ostacoli strutturali che contribuiscono alla discriminazione delle lavoratrici: «Il problema più grande è quello del periodo d’attesa senza diritto di retribuzione in caso di malattia. Se fosse abolito in caso di dolori mestruali, le donne non sarebbero costrette a richiedere un certificato medico o a subire decurtazioni del salario. Accanto a questo è importante anche rafforzare la protezione contro il licenziamento. Chi ha forti dolori durante il ciclo in caso di assenze regolari rischia molto. È importante portare questi temi nell’ambito delle trattative per i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro». Le prime ad accogliere questo suggerimento sono state le lavoratrici dell’industria orologiera del sindacato Unia che, nell’ambito delle attuali trattative per il rinnovo del loro contratto, hanno chiesto di affrontare il tema dei problemi mestruali rivendicando l’abolizione dei giorni d’attesa in caso di malattie. |