Dopo Payerne la linea ferroviaria diventa ad un solo binario, si dondola attraverso un paesaggio collinare dal verde molto intenso, da qualche parte fra i cantoni Friburgo e Vaud, e dopo un po’ eccoti una casetta da giardino con il cartello di una stazione: Henniez – ma allora esiste davvero. In casa nostra quel nome indicava sempre l’acqua minerale: «non dimenticare la Henniez», gridavamo al papà pur sapendo che andava a fare la spesa alla Migros e che dunque avrebbe portato a casa un’altra acqua. A un tiro di sasso dalla stazioncina a forma di casetta da giardino c’è una fabbrica moderna a due piani. Niente di spettacolare. Nemmeno l’interno lo è. Molti tubi e serbatoi e nastri trasportatori, le bottigliette scorrono a velocità impressionante dalle stazioni di riempimento, fino a centomila all’ora, tutto gorgoglia, sprizza e tintinna un po’, le pompe succhiano, l’aria sotto pressione sibila e ogni tanto qualche bottiglia di vetro si rompe. Non sembra succedere granché in questa fabbrica. Non si producono grossi manufatti, non si salda e non si fonde metallo, non c’è alcuna lavorazione industriale. Acqua nella bottiglia, su il coperchietto, là l’etichetta, finito. Ma l’apparenza inganna. Henniez è un pezzo esemplare di storia industriale svizzera. L’impresa prospera da cent’anni. Numerose innovazioni (come il riempimento sterile a freddo) sono state sviluppate qui (in collaborazione con Tetra Pak). E su un mercato mondiale nel quale è esplosa la guerra per l’acqua, dove le multinazionali globali come Nestlé, Danone, Unilever e Coca Cola si contendono le ultime sorgenti (Coca Cola s’è appena aggiudicata l’acqua di Vals), la ditta di famiglia Henniez è rimasta indipendente. Un piccolo miracolo capitalista. Come funzioni, lo spiegano direttamente le lavoratrici e i lavoratori. «Una buona impresa», dice Pascal Gaschen. «Qui sei rispettato, qui se c’è qualcosa che non va lo puoi ancora dire». Gaschen lavora da 21 anni alla Henniez. Nulla di eccezionale, dice: la durata media del rapporto di lavoro nella fabbrica è di 18 anni. Gaschen è occupato ai grossi serbatoi in cui si prepara lo “sciroppo”, cioè i concentrati che servono ad esempio alla produzione di the freddo. «I capi e il management sanno di cosa parlano. Conoscono il lavoro», dice Gaschen, che presiede la commissione interna del personale. «Loro hanno bisogno di noi, noi abbiamo bisogno di loro. Se ad esempio è necessario un turno di lavoro al sabato, ci chiedono se vogliamo lavorare. Se uno non può o non vuole non è un problema. E se un giorno qualcosa non va, ognuno può andare nell’ufficio di Nicolas o di Pascal Rouge, i padroni». «Senza lamentarci», dice Pierre, «abbiamo organizzato il lavoro su tre turni» quando la canicola dell’estate 2003 fece esplodere le vendite di acqua. Pierre lavora all’imbottigliamento. «A un certo punto Nicolas Rouge mi chiese se non fossi troppo stanco. Gli ho detto: abbiamo le ordinazioni. Dobbiamo lasciare l’affare agli altri? Lavoreremo fino all’ultima bottiglia». I supplementi per il lavoro a turni sono corretti, per i turni di notte c’è dal 50 al 100 per cento di paga in più, per un sesto turno di lavoro settimanale si ricevono 100 franchi di bonus. Alla fine dell’anno il Ceo Nicolas Rouge ha organizzato una festa e ha consegnato a tutti un premio di 500 franchi. «Forse tutto questo le sembrerà paternalistico», dice sorridendo Marie, impiegata all’ufficio vendite. Ma per lei, dice, non è un problema «fintanto che le paghe e il clima sono buoni». Oggi sono i fratelli Rouge, della terza generazione, a farsene garanti. Quando Nicolas attraversa i capannoni della fabbrica si rivolge a tutti i collaboratori chiamandoli per nome. Ad alcuni dei più anziani si rivolge con un rispettoso Monsieur, loro gli rispondono dandogli del tu. Lo conoscono da quando era un bambino. Il papà di Nicolas e vero patriarca della ditta, Edgar Rouge, lo portava in fabbrica, dove giocava con il figlio di un autista di Henniez. Ogni tanto Nicolas poteva fare il giro delle consegne con lui. Il padre gli ha insegnato il rispetto sociale. Se c’erano conflitti con i lavoratori, Edgar Rouge si sedeva nell’ufficio del delegato sindacale e ne discuteva con lui, oppure andava al sindacato a Losanna. Era un liberale, per 28 anni sindaco del villaggio, finché non gli è succeduto uno dei suoi quadri. «Corretto, duro negli affari e molto umano»: così era il patriarca nel ricordo di Henri Rolle, dal 1980 delegato sindacale della Fcta, oggi Unia, alla Henniez. Rolle lavora su in paese, nella vecchia fabbrica, dove si producono e si imbottigliano i succhi Granini. Per le bottiglie di pet sono state messe in piedi a Henniez e a Saxon (in Vallese) delle unità di produzione proprie. Henniez detiene il 49 per cento di Eckes-Granini Svizzera. Quando il vecchio Rouge cercava un nuovo capo del personale, mise a concorso il posto per “un uomo di cuore”. Chiese al sindacalista Rolle di tenere la sua orazione funebre nell’ottobre del 2000. Rolle allora disse: «per lui gli obiettivi economici e il rispetto delle persone non si contrapponevano mai». Il Ceo di Henniez Nicolas Rouge, 42 anni, si mantiene fedele agli insegnamenti del padre Edgar Rouge, che tenne le redini della fabbrica fino agli anni ‘90: «voglio poter guardare negli occhi i 322 collaboratori. Qui viviamo assieme. Condividiamo non poche responsabilità. Voglio che guadagnino bene e che vivano bene». 18 anni di fedeltà media all’azienda lo rendono «fiero», e anche che i lavoratori dicano «noi di Henniez». Molti dei suoi coetanei hanno seguito i loro padri in fabbrica. Il fratello Pascal annuisce. Strani fratelli, come se fossero stati tirati su per garantire una successione dinastica: Nicolas, spigliato, eloquente, intellettuale, un buon venditore. Pascal, il più vecchio, più portato per la tecnica, preciso, cerca le soluzioni ai problemi. Il papà Edgar chiese prima a lui che cosa volesse fare da grande. Responsabile tecnico, disse Pascal. Così si risolsero una volta per tutte le future lotte di concorrenza, che il Ceo sia Nicolas non si discute. Lui considera l’aspetto sociale una sua responsabilità personale. Questa è la sua idea di imprenditore. Rouge non capisce i nuovi manager, quelli che parlano soltanto di corsi di borsa, di redditività a breve termine, di delocalizzazione, di mercati globali. Alla Henniez nessuno ha capito come Coca Cola in Svizzera abbia potuto abbassare gli stipendi e aumentare l’orario di lavoro. Rouge pensa ancora in termini di economia politica, di vecchio capitalismo: «se diminuiamo i salari si riduce anche il potere d’acquisto. E allora chi comprerà ancora i nostri prodotti?». Per lui il sociale è un valore, ma anche un affare. Sa che la grande disponibilità al lavoro dei dipendenti di Henniez, il loro sapere accumulato da anni di fedeltà al gruppo, il basso grado di assenteismo e la flessibilità dei dipendenti sono la base della sopravvivenza economica dell’impresa. La concorrenza sempre più serrata, i margini sempre più ridotti, le nuove catene di distribuzione discount: tutte queste sono sfide impegnative. «Troveremo assieme le soluzioni che ci permetteranno di farvi fronte anche in futuro». Andando verso il paese, quando il capo del personale di Henniez Francis Dufresne, “l’uomo di cuore” cercato a suo tempo dal vecchio Edgar Rouge, parla di alloggi a buon mercato per i lavoratori, della cassa pensione conveniente e solida, dei 720 giorni di copertura completa in caso di malattia e della nuova mensa con cuoco, gli sfugge anche il concetto di “marketing sociale”. L’uomo, burbero e gioviale al contempo («io ascolto, sono il giudice di pace»), è la prova vivente che questo concetto in apparenza contraddittorio può esistere anche nella realtà. Quando cambiarono i regimi di cassa malati e di cassa pensione Dufresne ottenne soluzioni convenienti, mise le assicurazioni una contro l’altra, scrisse per tutti i collaboratori le disdette dall’assicurazione e se ne assunse i costi. «Era inaccettabile che alla fine del mese la nostra gente avesse meno soldi in tasca», dice Dufresne. Spesso è già in ditta alle 6 del mattino, «perché forse quelli del turno di notte hanno una questione da discutere». E capita che Dufresne allestisca un dossier per l’acquisto e per l’accensione di un mutuo ipotecario per i collaboratori che vogliono metter su casa. È su persone di questa pasta che punta Rouge. Il management di Henniez è ridotto al minimo necessario, la via gerarchica è breve. Molto viene regolato oralmente. «Abbiamo una cultura orale», dice Dufresne. È sempre una questione di qualità. Quando il contenuto di nitrati nell’acqua causava problemi, la ditta acquistò alcune aziende agricole nei dintorni della sorgente di Henniez, le smantellò e fece piantare un grande bosco. Quelli che prima erano contadini ora sono impiegati come giardinieri paesaggisti nel “Jardin d’Henniez”. Per Dufresne è in atti come questo che sta la chiave dei futuri successi: «la nostra immagine deve riflettere il prodotto. Henniez vive se siamo ecologici, sociali e innovativi nei prodotti». Su questa strategia dell’impresa di famiglia in lotta contro le grosse multinazionali si può costruire qualcosa di solido, dice un sindacalista e tipografo (etichette, giornale interno e prospetti vengono stampati nella tipografia di casa): «i proprietari sono solidi. La paga è okay. Posso pianificare il mio futuro. Da Henniez puoi passarci la tua vita».

Pubblicato il 

24.06.05

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