Hasta la victoria, molinari

Mi è stato chiesto il perché del nome della rubrica di cui mi occupo. Ogni tanto bisogna allora precisarne il significato. Pedagogie di classe, dunque al plurale, perché: 1) molti sono i luoghi deputati all’educazione. Non solo la scuola è un luogo dove educare, oltre che istruire le giovani generazioni. Ci sono pure l’esercito (e così detto fra parentesi non vi siete mai chiesti perché lo stesso verbo “istruire” viene utilizzato per la scuola e per l’esercito?), i mass-media (radio, Tv, giornali,...), la pubblicità, le piazze, le strade, il parlamento, ecc. Questi sono vari luoghi dove si mostra ai cittadini quali sono i modi di comportarsi, sono i luoghi che definiscono e costruiscono la socializzazione, vale a dire sono i luoghi che dicono, che mostrano e insegnano come comportarsi con gli altri. 2) Molti sono i “programmi educativi”. Per semplificare diciamo che vari sono i modi di considerare i giovani e l’educazione. Ci sono modi più o meno rispettosi della loro sete di crescere e ci sono modi più o meno assoggettati alle esigenze di mercato. I programmi scolastici appaiono (apparire = avere l’apparenza) fra quelli meno inquietanti e i più neutri. Eppure... Ecco, oggi, in occasione della attualissima fine delle vacanze ho una occasione per parlare di scuola. C’è un fatto in particolare che mi spinge a farlo: la sospensione, da parte delle autorità pubbliche, del Molino, il centro autogestito situato nelle vicinanze di Lugano. Cosa c’entra con la scuola? C’entra, c’entra anche se è solo un esempio! E poco importa cosa sia per davvero la sospensione. C’entra perché è un luogo (certamente non l’unico) dove malgrado anni di nozionismo, competizione e individualismo i giovani partecipanti del Molino hanno saputo sviluppare attività alternative, critiche, sociali, solidali, culturali. Tutto questo al di fuori dei circuiti commerciali, che si sa, del denaro sono sudditi. Il tentativo assolutistico di uniformare la gioventù e di assoggettarla definitivamente alle regole del mercato é assolutamente reale. E la scuola non sa contrastarlo. Abbiamo forse visto i nostri figli, apprendisti e studenti, messi in guardia dalla pericolosità che l’egemonia crescente del mercato e della globalizzazione hanno avuto nei licenziamenti? La scuola ha già messo in guardia i suoi studenti dai tranelli che la pubblicità pone quotidianamente sulle loro piste? Dice forse che le merendine e le pubblicità fanno male? O che la MacDonald avvelena i bambini proponendo ad ogni hamburger una nuova favola? Che la maggior parte delle cose che studiano le dimenticheranno? Che la liberalizzazione e la privatizzazione sono nemici delle libertà collettive, come pure dell’autonomia della scuola rispetto il dio mercato. C’entra perché competizione, nozionismo e individualismo governano una cinica prassi scolastica che si dipana dietro le classiche materie (italiano, inglese – per meglio navigare in rete – mate, fisica, ecc.). Chi deve alzare la guardia, se la scuola non insegna ai ragazzi a guardarsi dai tranelli del “mercato libero”, anzi non lascia che sedimentare tutte quelle fandonie come uno strato (humus) che tutto ammanta? Volevo scrivere queste poche righe per rivolgere un plauso a tutti i genitori ed esporre un augurio: che sappiano alzare la guardia se vogliono avere figli liberi, critici e solidali, nonché felici della loro autonomia di pensiero.

Pubblicato il

06.09.2002 14:00
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