Hanno diritto a un riconoscimento

Il personale sociosanitario, ancora provato, è già chiamato ad affrontare la seconda ondata pandemica. Questa volta non si accontenta degli applausi

Non hanno ancora ricevuto il dovuto riconoscimento per il grande sforzo fatto durante la prima ondata pandemica, e già sono chiamati ad affrontare la seconda, con gli ospedali che in alcuni Cantoni sono già vicini al collasso. Stiamo parlando del personale sociosanitario, per il quale gli applausi non bastano più: per continuare a far fronte a questa pandemia e alle future crisi sanitarie bisogna urgentemente migliorare le loro condizioni di lavoro e rendere più attrattive tutte le professioni del settore.

Con la crisi sanitaria scatenata dalla pandemia ci siamo resi conto di quanto il servizio pubblico sia fondamentale per il sistema sanitario e quanto sia importante che questo sia forte ed efficace, in controtendenza con quanto invece si è fatto negli ultimi anni smantellandolo e spingendo verso una privatizzazione sempre più generalizzata, e condizioni di lavoro difficili, che inducono molti a lasciare la professione. Perciò, i mestieri del settore sociosanitario vanno rivalorizzati al più presto e le condizioni di lavoro migliorate, lo si attende da tempo e alla luce di quanto vissuto la scorsa primavera e ci apprestiamo purtroppo a rivivere, non è ammissibile aspettare oltre.
Quindi, il sindacato dei servizi pubblici Vpod-Ssp, con l’Associazione infermiere/i, il sindacato Syna e un’alleanza di sindacati e organizzazioni, di cui fa parte anche Unia, stanno in questi giorni portando avanti una settimana di manifestazioni in sostegno del personale sociosanitario. Settimana che dovrebbe concludersi con una mobilitazione nazionale a Berna sabato 31 ottobre, restrizioni anti-Covid permettendo.
La crisi legata al Covid-19, tutt’altro che terminata, ha visto e sta vedendo il personale sanitario fortemente sotto pressione, sia dal punto di vista fisico che psichico. Personale che ha dovuto far fronte a turni di lavoro massacranti, giornate e settimane interminabili e un’estrema flessibilità, il tutto con l’angoscia di essere contagiati e/o far ammalare i propri cari, senza quasi sentirsi in diritto di essere stanchi, estenuati. Un enorme sforzo che, soprattutto nella fase più acuta, è stato ampiamente riconosciuto dalla popolazione, la quale ha espresso il proprio sostegno con lunghi ed accorati applausi dai balconi di casa. In Ticino, dove la situazione era particolarmente drammatica, sono stati anche raccolti dei soldi: oltre cinque milioni e mezzo di franchi per il personale sanitario, che però l’Ente ospedaliero cantonale ha deciso di impiegare in un concorso di idee (vedi area n.15 del 9 ottobre scorso). Per il momento però, da questa solidarietà e riconoscenza i lavoratori “al fronte” non ne hanno tratto vantaggio se non a livello umano. Nessun riconoscimento è infatti arrivato, fino ad ora, a livello remunerativo o di miglioramento delle condizioni di lavoro (salvo rare eccezioni nel Canton Friburgo).
Una situazione che non aiuta a risollevare il morale a chi, ancora stremato dagli sforzi della prima ondata, si appresta a viverne una seconda: «Sicuramente oggi gli ospedali sono più organizzati rispetto a quanto non lo fossero la scorsa primavera e il personale più tutelato, ma percepiamo una grossa preoccupazione oltre alla stanchezza. Il ricordo di quanto appena vissuto tra marzo e aprile lascia il personale un o’demoralizzato all’idea della nuova ondata», spiega Fausto Calabretta, sindacalista di Vpod Ticino, responsabile del settore ospedaliero.
Altrove in Europa le cose sono andate diversamente: Francia, Italia, Spagna, Quebec e Regno Unito hanno ad esempio concesso premi o bonus straordinari al personale sanitario attivo durante la prima ondata pandemica, riconoscendo che la loro esposizione fisica e psichica è stata sufficientemente estrema e pericolosa da meritare una compensazione. In Svizzera no. Eppure anche La Posta svizzera e le Ffs hanno distribuito un premio al proprio personale “in prima linea”. Negli ospedali invece niente, anzi: sono già stati annunciati deficit importanti per il 2020 e la minaccia di piani di risparmio a spese del personale aleggia un po’ in tutti i cantoni, dove le autorità si sono mostrate in gran parte sorde alle rivendicazioni del settore sanitario.
«Adesso bisogna veramente dare una svolta per rendere attrattive le professioni infermieristiche - prosegue Calabretta - Questo per due motivi: da un lato fare in modo che più giovani si avvicinino a questa professione e dall’altro per cercare di mantenere attive il più a lungo possibile le persone formate». Questo, secondo il sindacalista, deve passare da un miglior finanziamento pubblico agli enti sociosanitari, senza il quale è impensabile migliorare le condizioni di lavoro. «I miglioramenti non devono essere solo a livello salariale, ma occorre intervenire anche con misure specifiche a favore della conciliabilità tra lavoro e famiglia, non solo per le professioni infermieristiche, ma per tutti i mestieri del settore sociosanitario», conclude.
Al momento è ancora pendente l’iniziativa federale «Per cure infermieristiche forti», promossa dall’Associazione Svizzera infermieri (Asi), ma dal dibattito alle camere sta uscendo un controprogetto che non convince: tiene infatti conto della formazione e dell’autonomia degli infermieri, ma non del miglioramento delle condizioni del personale. Secondo l’Asi, è fondamentale intervenire per migliorare la formazione e le condizioni di lavoro nel settore sanitario, questo per combattere la penuria cronica di personale infermieristico. Le Svizzera, infatti, forma meno della metà di quella che è la domanda di infermieri, e una grossa percentuale di personale qualificato lascia la professione. Per l’alleanza che sostiene la manifestazione nazionale del 31 ottobre, delle cure affidabili e sicure dipendono direttamente dal personale in dotazione e dalla sua formazione, inoltre, affinché le persone formate restino in questo settore, le condizioni di lavoro devono essere migliorate, perciò rivendica:

  • Un premio per l’impegno profuso durante l’emergenza coronavirus pari a un salario mensile e finalmente un aumento salariale;
  • Più diritti sul posto di lavoro, più partecipazione e una migliore tutela;
  • Migliori condizioni di lavoro, occorre applicare la legislazione sul lavoro e porre fine al minutaglie delle cure;
  • Più protezione garantita da contratti collettivi di lavoro.

Giovedì della scorsa settimana Amnesty International ha inoltre consegnato al Consiglio federale una lettera aperta per chiedere una valutazione indipendente dell’impatto della crisi del coronavirus per il personale sanitario.

Pubblicato il

28.10.2020 14:19
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