Ha vinto Blocher, ha perso la Svizzera

Presi sottogamba. I due oggetti in votazione sulla naturalizzazione degli stranieri di seconda e terza generazione sono stati bocciati clamorosamente dando ragione alla campagna xenofoba, razzista e demagogica dell’Unione democratica di centro (Udc) che ha profuso mezzi e forze per boicottarli. All’indomani della votazione, la Svizzera rivela la sua vera natura, quella di un riccio chiuso e ingrato nei confronti di chi, nato e cresciuto sul suo suolo, ha contribuito alla crescita del suo tessuto sociale, politico ed economico. Una bocciatura che brucia ai partiti storici, accusati da più parti di aver dato per scontato un risultato positivo che di scontato, alla prova dei fatti, non aveva niente. E a Palazzo federale si discute del ruolo in governo dell’Udc Christoph Blocher che, con buona pace della collegialità, non ha speso una parola a sostegno delle posizioni del Consiglio federale favorevole alle naturalizzazioni. In queste due pagine presentiamo riflessioni ed analisi sull’esito di questa votazione. Altre reazioni a caldo si trovano nello spazio dedicato alla posta dei lettori (pag. 2 ). Ma intanto qualcosa si sta muovendo: molte organizzazioni giovanili non ci stanno e hanno già indetto per domani, sabato 2 ottobre a Berna, una manifestazione nazionale contro il razzismo (cfr. pag. 5). Le reazioni più significative si sono avute direttamente in parlamento. Il presidente del Consiglio nazionale, Max Binder (Udc, Zurigo), dopo aver relativizzato l’evidente “Röstigraben” (cioè la divergenza d’opinioni tra la Svizzera tedesca e quella francese) riprodottosi anche in questa votazione, se l’è presa con una vignetta satirica del “Tages-Anzeiger”, dove un personaggio dell’Udc (un Maurer-Blocher) cuoce uno straniero allo spiedo e dice: «Non è vero che non ci piacciono gli stranieri, solo che devono essere ben conditi». A Binder è mancata l’onestà intellettuale di riconoscere che una tale vignetta satirica è molto meno grave degli insulti ai musulmani e della parificazione degli immigrati ai terroristi nell’imminenza della votazione. Applaudite, invece, le parole del presidente del Consiglio degli Stati, Fritz Schiesser (Prd, Glarona), che ha condannato, senza fare nomi, le affermazioni del consigliere federale Christoph Blocher che ha definito «manipolazioni» il sostegno dato dal governo ad un oggetto in votazione. Chi lo dice, ha sottolineato Schiesser, «non ha capito la nostra democrazia, o non vuole che essa funzioni quale libero e corretto confronto tra opinioni diverse». E un consigliere federale che dice queste cose in conferenza stampa «mostra di non avere la necessaria statura per una così alta carica». Parole colte al volo dal gruppo dei verdi, che subito hanno chiesto le dimissioni di Christoph Blocher dal Consiglio federale. Sul piano dell’analisi la riflessione è andata certamente più a fondo. Gli osservatori si sono posti domande numerose e molto diverse. Il “Blick” s’è chiesto se non siano stati gli stessi “Jugos” (i giovani socialisti) responsabili del doppio no alla naturalizzazione. Altri giornali, in particolare “Der Bund” e “Basler Zeitung”, si sono interrogati sulla reale incidenza della divergenza d’opinioni tra svizzeri tedeschi e romandi. Quasi tutti hanno posto la questione di quanto abbia influito sul voto il comportamento di Christoph Blocher piuttosto che l’aggressiva campagna dell’Udc. Ma tali quesiti forse non troveranno mai una risposta certa, dal momento che il comportamento degli elettori, oltre ad essere influenzato da tutti questi fattori esterni, viene anche determinato da posizioni ideologiche (o di partito) personalmente assunte in precedenza e dall’attaccamento individuale e collettivo ai valori tradizionali. La conferma indiretta viene da una prima analisi statistica del voto. Accanto alla puntuale spaccatura del “Röstigraben”, è risaltata con grande evidenza in tutta la Svizzera la diversità di decisioni tra campagna e città, o meglio tra agglomerati urbani e regioni meno urbanizzate. Una differenza, questa, che non può emergere dalla lettura dei risultati per cantoni. Tutte le maggiori città della Svizzera tedesca, quali Zurigo, Basilea, Berna, San Gallo, Lucerna e Soletta, hanno votato come la Svizzera francese che ha approvato le due proposte sulla naturalizzazione. Soltanto Sciaffusa, Lugano e Coira hanno respinto la cittadinanza alla nascita per gli stranieri di terza generazione. Specularmente, e al contrario, anche le zone meno urbanizzate della Svizzera francese hanno approvato la naturalizzazione agevolata per la seconda generazione. In particolare, si sono schierati per il sì i cantoni di Giura, Neuchâtel e Vaud che riconoscono agli stranieri il diritto di voto a livello comunale. Interessanti, poi, le interpretazioni fornite dagli esperti. Secondo il politologo Claude Longchamp dell’istituto Gfs di Berna, questa volta non c’è correlazione tra bassa percentuale di approvazione ed alto tasso di stranieri. C’è però uno stretto rapporto tra la quota di no in certi cantoni o regioni e la rispettiva percentuale di immigrati dall’ex-Jugoslavia. Si sarebbe tentati di spiegare con tale correlazione l’intera maggioranza dei no, ma un confronto con le votazioni precedenti conferma che il rifiuto è tipico delle regioni in cui c’è stata un’immigrazione recente. Nel 1983, per esempio, Ginevra guidava la classifica dei cantoni che si erano opposti alla naturalizzazione agevolata, mentre Sciaffusa, Grigioni ed altri cinque cantoni erano favorevoli. Ora sono le agglomerazioni della Svizzera orientale e dell’altopiano ad essere più toccate dall’immigrazione. Anche nel 1994 alla naturalizzazione mancò la maggioranza dei cantoni; ma la lista dei cantoni che oggi hanno votato no è sorprendentemente simile a quella di allora. Infine, è interessante l’interpretazione fornita dalla politologa ginevrina Thanh-Huyen Ballmer-Cao: l’Udc ha vinto perché ha ridotto il tema ad una questione d’identità nazionale. I favorevoli hanno commesso l’errore di non avviare molto prima un dibattito sull’apertura del paese, e di non aver affrontato la campagna più uniti e con maggiore aggressività. Lugano ha sbarrato le porte «Provo sentimenti di rabbia, di dolore per questo doppio “no” alle naturalizzazioni registrato in Ticino». È l’amarezza la nota dominante nelle parole di Nenad Stojanovic, giornalista e consigliere comunale e vice capogruppo Ps di Lugano. «È la prima volta che provo sentimenti simili dopo una votazione. Come non provare una profonda delusione nel pensare che 6 concittadini su dieci, nel mio Cantone e nella mia città, hanno seguito le parole d’ordine cariche di menzogna dell’Udc e della Lega?». Si sente «un po’ meno a casa», Stojanovic nella grande Lugano che, diventata la nona città svizzera, è stata l’unica a bocciare in toto i due oggetti sulla naturalizzazione agevolata. Giunto da Sarajevo in Ticino nel 1992, all’età di 16 anni, Nenad Stojanovic vanta un curriculum di studi e professionale come pochi altri. Parla correntemente sei lingue (di cui tre nazionali perfettamente), ha un dottorato in scienze politiche ed è stato, tra l’altro, collaboratore di Moritz Leuenberger. È svizzero non della seconda ma della prima generazione e, a dispetto del suo cognome, nessuno dubiterebbe della sua “svizzeritudine”. All’indomani della votazione, si chiede dove siano finiti tutti coloro che in teoria si dicevano propensi a dare un segnale di apertura verso quei concittadini che, nati e/o cresciuti nella Confederazione, sono svizzeri di fatto. Un segnale che Stojanovic si aspettava dalla sua città e che invece non è arrivato: al suo posto sono giunti quei due “no”, come uno schiaffo dato a tradimento. «Mi ha ferito personalmente constatare che la maggioranza dei luganesi – dice – ha votato contro la naturalizzazione. Quel voto è anche un’espressione di sfiducia in coloro che hanno origini straniere, e a sua volta alimenta la sfiducia di quest’ultimi nella popolazione svizzera. Per la prima volta da quando vivo qui, io stesso, pur essendo cittadino elvetico, mi sento parte in causa e sento la necessità di difendere la mia identità non svizzera. Quando i politici puntano il dito accusatore contro i cittadini della ex-Jugoslavia asserendo che, per la loro natura e cultura, non sono idonei all’integrazione in questo paese, pongo loro davanti la mia personale esperienza a smentire quel cumulo di pregiudizi». Sono tanti gli interrogativi che affollano i pensieri del consigliere comunale Stojanovic, soprattutto sulla sua Lugano che con questo voto ha dato prova di becera intolleranza. «Trovo inoltre grave e irresponsabile la dichiarazione espressa lunedì dal Sindaco di Lugano secondo cui l’esito della votazione è stata determinata dalla presenza dei richiedenti l’asilo. Si approfitta così di questo voto per rincarare ancora la dose chiedendo che la politica d’asilo venga riveduta e corretta. Osservo anche che città come Losanna, Zurigo o Lucerna hanno un problema in materia d’asilo molto più acuto rispetto a Lugano ma ciò non ha impedito ai loro politici di impegnarsi, con successo, a favore di un doppio sì». Ci sono responsabilità politiche che vanno denunciate e Stojanovic lo fa senza mezzi termini. «Siamo di fronte a una capitolazione totale della classe politica dei partiti storici. È deludente constatare come quegli stessi partiti, solerti nell’essere onnipresenti quando sono in causa votazioni popolari concernenti soldi (ricevere o dare non conta), abbiano abdicato al loro impegno nei confronti di due oggetti così importanti e che a parole dicevano di sostenere. È venuto a mancare un impegno della società civile e liberale». Già prima delle votazioni, Stojanovic aveva sollecitato il Municipio di Lugano (che si è espresso contro l’iniziativa della Posta o a favore del raddoppio del Gottardo) per una presa di posizione ufficiale sulla naturalizzazione. «Pur avendo una maggioranza a favore di tre liberali, due socialisti e un pipidino contro un leghista, il Municipio non ha avuto il coraggio di esprimersi. Adesso non venga per favore a dare la colpa ai richiedenti l’asilo. Questa votazione è stata una cartina di tornasole, rivelatrice della debolezza dei partiti storici di fronte alle menzogne profuse a piene mani dalla destra nazionalista». Seppur attonito per quest’amara sorpresa, il consigliere comunale non cede alla tentazione di ammainare le vele: presto proporrà in Consiglio comunale a Lugano una mozione per abbreviare i tempi di naturalizzazione nella Città. E al momento opportuno, nessuno potrà nascondere la testa sotto la sabbia. Un'occasione mancata «Sono profondamente deluso del risultato emerso in Ticino. Non mi aspettavo una percentuale così massiccia dei no; evidentemente anche qui è prevalsa la paura e insieme ad essa una campagna razzista, squallida quale quella dell’Udc (stigmatizzata dalla Commissione negli scorsi giorni con un comunicato stampa) che basandosi su dati assolutamente falsi ha prodotto, a mio parere, un effetto devastante». Così, si è espresso a caldo Ermete Gauro, delegato cantonale all’integrazione degli stranieri. «Eppure non si può dire che il Ticino sia tout court egoista o razzista. Proprio in questi giorni la popolazione di Carasso si sta mobilitando per far ottenere il permesso di soggiorno ad un giocatore africano altrimenti costretto tra breve a lasciare la Svizzera. Quando la gente è confrontata con un caso particolare, spesso manifesta la propria solidarietà, se poi invece è chiamata ad un gesto di apertura attraverso il voto, ecco che si rivela vittima di stereotipi, di generalizzazioni quali la paura dei musulmani». Paura, rileva il delegato, strumentalizzata demagogicamente ad arte nella campagna dell’Udc. «Si è gettato fumo negli occhi – prosegue Gauro – facendo intendere che si stava votando su una naturalizzazione di massa, ben sapendo in realtà che si trattava di concedere la cittadinanza elvetica a persone che sono qui da una vita, talvolta più svizzeri di noi. Viviamo ancora una chiusura a riccio, e questi no denotano un peggioramento della crisi identitaria. È preoccupante constatare poi come questi segnali di chiusura siano ancora più evidenti nei grandi centri quali Lugano, Chiasso, Locarno (a Bellinzona lo stacco non era così marcato)». Già in diverse occasioni Gauro aveva fatto notare che in Ticino «esiste un razzismo latente, nascosto»: che il voto di domenica sia stata l’occasione per manifestarsi nell’anonimato dell’urna? «L’impressione è che alla base – riflette Gauro – di questo pesante rifiuto dei due oggetti sulla naturalizzazione agevolata, ci sia stata una mancanza d’informazione adeguata. La campagna a tappeto della destra ha sommerso le ragioni del buon senso e dell’apertura che non hanno avuto un supporto adeguato a fronteggiare l’attacco xenofobo che voleva combatterle. Bisognava investire di più finanziariamente e con più forze in campo e non dare per scontato un risultato che di scontato aveva ben poco». Di certo il doppio no alle naturalizzazioni agevolate evidenziano una preoccupante tendenza verso la chiusura e la discriminazione. «Sì, e proprio per questo motivo bisognerà moltiplicare gli sforzi per favorire l’integrazione, per educare all’apertura, alla conoscenza degli altri. Il no alla naturalizzazione ci fa capire quanto ancora siamo lontani da un processo d’integrazione. Ed è significativa e dispiace, in questo contesto, la distanza che separa il Ticino e il Vallese dagli altri cantoni romandi dove invece i sì hanno prevalso. In Svizzera romanda l’apertura verso gli stranieri è un processo assimilato, nel canton Neuchâtel esiste il diritto di voto per gli stranieri, il canton Vaud l’ha appena concesso ma stiamo parlando di realtà molto più dinamiche, mentre noi viviamo in un cantone in crisi identitaria che da una parte se la prende con gli svizzeri tedeschi che ci occupano il territorio e dall’altra coltiva un sentimento ostile nei confronti di chi sta fuori dalla frontiera. Ma non potremo continuare a vivere da soli in eterno. Il fatto poi che il Ticino abbia registrato la più bassa percentuale di votanti, il 45,1 per cento, mi porta a pensare che i nostri bravi concittadini così bravi non sono se da una parte si dicono contrari alla concessione della naturalizzazione agevolata a coloro che non ritengono abbastanza integrati e dall’altra snobbano l’atto del votare, denotando uno scarso senso civico e di appartenenza alla comunità. Cosa dovremmo fare con oltre la metà dei ticinesi che si sono sottratti a questo dovere, togliere loro il passaporto svizzero?». "Nessuno ha voluto sporcarsi le mani" Rosita Fibbi è dottore in scienze politiche, docente all’Università di Neuchâtel e membro della direzione del Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione (Fsm). Specialista in questioni legate alla naturalizzazione e all’integrazione degli stranieri, è co-autrice di uno studio sull’integrazione dei second@s e di una ricerca sulle discriminazioni nei confronti di giovani stranieri alla ricerca di un posto di lavoro o di tirocinio.(1) La scorsa settimana 150 suoi colleghi – professori di scienze politiche, di sociologia e di scienze dell’educazione, soprattutto romandi – hanno firmato un appello nel quale denunciano il divario esistente fra i risultati della ricerca scientifica e le politiche pubbliche in materia di immigrazione e asilo. Pur condividendone le preoccupazioni, Rosita Fibbi non lo ha sottoscritto perché «quello delle naturalizzazioni è l’unico tema in materia di migrazioni nel quale le proposte delle autorità sono assolutamente coerenti con i risultati delle ricerche scientifiche», spiega ad area. Con lei torniamo sulla doppia bocciatura di domenica, un voto che ha sconfessato sia la proposta del Consiglio federale sia le conclusioni di non pochi studi condotti sotto l’egida del Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione di Neuchâtel. Rosita Fibbi, come legge il rifiuto dei due progetti riguardanti la naturalizzazione? Non è stata capita la portata della proposta. I sindacati si sono impegnati nella campagna. I partiti invece – compreso lo stesso Partito socialista svizzero – non hanno considerato la posta in gioco degna di una vera campagna. I sondaggi che davano vincente il sì li hanno indotti a credere che la vittoria fosse già acquisita. Oggi fanno autocritica, ma ormai è troppo tardi. Quanto si è perso domenica scorsa? I partiti non hanno spiegato che in pratica la proposta riguardante la seconda generazione era quella di estendere all’insieme della Svizzera una cosa che esiste già in metà del paese: in poche parole, non hanno detto che per la seconda generazione in sostanza non si proponeva niente. La novità era il cambiamento che avrebbe toccato gli stranieri di terza generazione. Ma nessuno ha insistito particolarmente su questo oggetto. Ho l’impressione che nessuno abbia voluto sporcarsi le mani con gli stranieri. È stato un vero pasticcio. Invece è risultato penetrante uno degli argomenti principali dell’Udc: che in fondo la politica delle naturalizzazioni in Svizzera è già oggi molto generosa. A me non sembra che la Svizzera sia particolarmente generosa.(2) Il voto del 26 settembre è stato interpretato come un segnale di chiusura nei confronti delle persone provenienti dall’ex Jugoslavia. Lei è d’accordo? Vivendo nella Svizzera romanda non riesco a percepire con chiarezza il clima nella Svizzera tedesca o in Ticino. Posso dire però che esiste una confusione terribile: si fa un amalgama fra ex jugoslavi, albanesi, musulmani, ecc. A mio avviso va compiuto un grosso lavoro di chiarimento sugli ex jugoslavi, perché fra di loro ci sono ad esempio ragazzi di seconda generazione che ottengono risultati scolastici migliori rispetto ai loro coetanei svizzeri. Da dove proviene allora questo astio? La polarizzazione attuale è in parte legata al fatto che negli ultimi anni ci si è scagliati contro gli ex jugoslavi in quanto richiedenti l’asilo, persone che non lavoravano e sfruttavano lo Stato sociale. In quest’argomentazione populistica si sono tirate tutte le corde possibili per gettare discredito, e fra i mass media a mia conoscenza nessuno – salvo un approfondimento apparso due settimane fa su L’Hebdo – ha rimesso in discussione quest’immagine così negativa. (1) Rosita Fibbi, Rosita, Bülent Kaya ed Etienne Piguet, “Le passeport ou le diplôme? Etude des discriminations à l’embauche des jeunes issus de la migration”, Neuchâtel, Forum suisse pour l'étude des migrations et de la population, 2003; Claudio Bolzman, Rosita Fibbi e Marie Vial. “Secondas - Secondos: le processus d'intégration des jeunes issus de la migration espagnole et italienne en Suisse”, Zurich, Seismo, 2003. (2) Uno studio realizzato nel 2001 da Gianni D’Amato dell’Fsm dimostra che le condizioni necessarie alla naturalizzazione sono fra le più restrittive in Europa, ciò che determina una proporzione di stranieri molto elevata rispetto ad altri paesi europei.

Pubblicato il

01.10.2004 03:00
Maria Pirisi
Silvano De Pietro
Stefano Guerra