Guerra e profitto

La teoria finanziaria, in questo caso egregiamente supportata dalla pratica quotidiana sui mercati, vuole la borsa sempre in anticipo rispetto ai grandi eventi mondiali. Teorema valido, almeno fino a che gli eventi in questione sono prevedibili con largo anticipo. Ora, dopo gli attentati dell’11 settembre e quel che ne è seguito, la borsa sta vivendo un periodo di navigazione a vista, dove è difficile prevedere quali saranno i settori emergenti in modo indipendente dalla stretta cronaca quotidiana. La parte del leone la stanno facendo i titoli legati alla difesa e alla produzione di armamenti,. Momento di «gloria» criticabile con centomila obiezioni etiche, ma non sempre la borsa va a braccetto con quello che sarebbe giusto e opportuno. Fatto sta che per il momento è questo il settore che sembra fornire buone prospettive, ed è proprio lì che gli investitori vanno a mettere i loro soldi, sperando di ricavarci di più, rispetto magari a un bell’investimento ecologico o a sostegno dello sviluppo. Potrà anche non piacere, ma il meccanismo è assolutamente innato, e non artificioso: per sua natura l’uomo va la dove potrà avere maggiori vantaggi. Il discorso sarebbe decisamente diverso, se si scoprisse che l’azione di guerra viene alimentata artificialmente, oltre il necessario, solo per incrementare la cifra d’affari di chi vende i missili. Lo scenario potrebbe anche sembrare fantapolitico e degno di un romanzo di fiction, ma sapendo come funziona il sistema delle lobbies a Washington, in realtà ci troviamo di fronte a un’ipotesi più che plausibile. Stesso discorso per il settore dei rilevatori di aggressivi chimici e biologici. Un settore assolutamente dimenticato, fino alla settimana scorsa, ammesso che qualcuno fosse a conoscenza della sua esistenza. Ora, di colpo, ecco che le aziende quotate in borsa e che si occupano di sviluppare prodotti che permettono il rilevamento di armi batteriologiche, vanno avanti a colpi del 10 per cento al giorno. Un movimento assolutamente innaturale, se considerato nel lungo periodo. Quando simili movimenti venivano dalla new economy, ecco che i santoni della finanza parlavano di bolla speculativa e gufavano alla grande. Ora si parla di effetto traino sull’intera economia, e si considerano gli effetti positivi della guerra sull’attuale momento congiunturale negativo negli Stati Uniti. È questo, il fatto che deve far riflettere. Quando la guerra diventa uno strumento di promovimento economico il problema è serio e merita ampia riflessione. Al di là dei vantaggi immediati che possono esserci nascosti dentro.

Pubblicato il

19.10.2001 13:30
Paolo Riva