Guai a chi lo tocca

Partiamo dall’antefatto. È noto ma diciamolo: l’Unione europea (Ue) sta facendo pressione sulla Svizzera per l’abolizione del segreto bancario. All’Unione democratica di centro (Udc) quando sente parlare di Europa viene l’orticaria. Anche questa non è una novità. Lo stesso Gianfranco Soldati, presidente dell’Udc ticinese nonché latore di un’iniziativa per agganciare il segreto bancario alla Costituzione federale, dichiara di temere l’Ue come Lacoonte diffidava dei greci. Difendendo la sua iniziativa ha esordito citando Virgilio «timeo danaos et dona ferentes» (ossia «temo i greci anche quando recano dei doni»). D’altra parte la lunghissima discussione di questa settimana in Gran consiglio sull’iniziativa Soldati è stata un saggio della più varia retorica. Diversi granconsiglieri scuotevano la testa di fronte alla messe infinita di interventi (oltre venti) su un oggetto che è di portata simbolica più che concreta. Si avvicinano le elezioni politiche, diceva qualcuno. L’iniziativa comunque è stata accettata: Udc, Lega dei ticinesi e Partito popolare democratico (Ppd) l’hanno approvata, il Partito liberale radicale si è spaccato e i socialisti l’hanno bocciata. Cosa succederà ora? Si presume che il cantone Ticino dovrà portare avanti l’istanza a Berna. E poniamo che un giorno effettivamente il segreto bancario verrà inserito nella Costituzione allora avremo lanciato un “segnale forte”, come i politici dicono volentieri, all’Unione europea: signori, su questo punto non intendiamo patteggiare. Ma andiamo subito a vedere quali obiezioni sono state sollevate sul fronte degli scettici. Il gruppo del Partito socialista (Ps) ha rifiutato compatto l’iniziativa con una sola astensione. Per il Ps è intervenuto Werner Carobbio, con cui ci siamo intrattenuti dopo il voto. Una lunga discussione, l’abbiamo detto, tuttavia «una discussione che ha eluso i veri problemi». Carobbio spiega che ci si è accapigliati soprattutto sul sì o no al segreto bancario. «La questione era un’altra: è giusto o no ancorare il segreto bancario alla Costituzione?» Per quanto concerne i rapporti con l’Ue quest’ultima «è in trattativa con la Svizzera perché si arrivi ad uno scambio automatico di informazioni, mentre la Svizzera preferisce andare verso una tassazione alla fonte, dove le imposte prelevate sui capitali esteri verrebbero ristornate ai paesi di provenienza dei capitali». È chiaro che il fatto di agganciare il segreto bancario alla Costituzione «bloccherà le trattative in corso con l’Ue e addirittura potrebbe avere l’effetto di produrre delle misure di ritorsione ai danni della Svizzera», spiega Carobbio. La valenza dell’iniziativa è soprattutto politica. È emerso in diversi interventi: il segreto bancario è percepito come un pilastro fondamentale su cui poggia la nostra forza finanziaria. Carobbio è scettico: «attualmente il segreto bancario è ancora in vigore eppure la piazza finanziaria è in crisi a causa, ad esempio, del cattivo andamento della borsa o della concorrenza estera». E aggiunge: «bisognerà puntare su ben altro per salvaguardare la piazza finanziaria, ossia sulla qualità e professionalità delle sue prestazioni». Gli chiediamo se il Partito socialista appoggia il principio del segreto bancario? «I socialisti evidentemente intendono combattere l’evasione fiscale – che arreca danni anche al nostro paese – e non è una novità che il segreto bancario è anche servito per coprire capitali di dubbia provenienza». C’è da dire che comunque le banche si sono date una legislazione più severa per esempio in materia di riciclaggio di denaro sporco. Ma per il Ps la conclusione è chiara: «sì al sostegno della piazza finanziaria purché non viva e prosperi sui capitali in fuga per ragioni fiscali». E della nutrita messe di interventi in Gran consiglio che ne pensa Carobbio? «Stiamo assistendo ad una paurosa deriva politica: anche in questo caso molti hanno inseguito la destra su argomenti a lei cari solo per paura di perdere terreno». Abbiamo sentito anche l’unica voce fuori dal coro nel gruppo socialista. Iris Canonica si è astenuta dal votare l’iniziativa Soldati e dichiarandosi socialdemocratica ha parlato in difesa del segreto bancario. A noi ha spiegato che «il cosiddetto segreto bancario non serve per coprire reati e comunque la Svizzera rimane uno dei paesi che applica le norme più rigorose». È ovvia la difesa della piazza finanziaria e di chi ci lavora ma «l’iniziativa Soldati non serve a nulla, è una pura e semplice operazione di marketing». Quindi un voto favorevole si sarebbe rivelato alquanto effimero. D’altra parte non possiamo ignorare che la «piazza finanziaria ticinese stia andando verso una crisi verosimilmente profonda», spiega Canonica. I cui effetti negativi peseranno anche sulle spalle di chi in questo settore ci lavora. «Un settore dove si comincia a licenziare o a mandare gli impiegati in pensionamento anticipato». E il voto negativo? «Verrebbe interpretato come un “no” alla piazza finanziaria», risponde Canonica. E aggiunge ancora che, d’altro canto, «sarebbe concettualmente assurdo ancorare un principio di interesse settoriale alla Costituzione federale che rappresenta la carta dei principi generali e fondamentali di una nazione». Senza contare, precisa Canonica che l’iniziativa votata «rischia di inficiare i rapporti con l’Ue che sta paventando misure di ritorsione serie». Queste le conseguenze possibili dell’ennesima iniziativa di marca populista promossa dall’Udc. Riprendiamo un attimo Virgilio: capiterà un giorno che il popolo diffiderà dei demagoghi anche quando sembrano recare doni? Si nasconde sempre qualche insidia nella pancia del cavallo di legno. Attacco alla Piazza di Generoso Chiaradonna Giulio Tremonti ci riprova. Visto il parziale successo della prima edizione del “famigerato”, per la piazza finanziaria ticinese, “Scudo fiscale” ecco pronto nella finanziaria 2003 del governo Berlusconi lo “Scudo fiscale 2”. Il meccanismo e l’intento sono gli stessi: recuperare i capitali italiani fuggiti all’estero da un fisco giudicato avido. La multa da pagare è però leggermente più alta (il 4,5 per cento, rispetto al 2,5 dell’anno scorso). Con lo “Scudo” tornano, oltre alle ridicole telecamere alla frontiera italo-svizzera, i timori di un settore bancario in subbuglio da ipotesi di tagli occupazionali. Infatti, secondo la Camera di commercio e industria del Canton Ticino, sono mille i posti di lavoro a rischio nel settore. Settore che occupa direttamente più di 10 mila addetti. Le colpe di queste previsioni catastrofiste non sono dovute solo alla sanatoria Tremonti. I capricci dei mercati finanziari e il rallentamento dell’economia mondiale sono l’accoppiata “perdente” che ha fatto il resto. Ma è l’accanimento contro un roccaforte bancaria che spaventa i banchieri nostrani. Per la prima volta, da quando esiste la piazza finanziaria cantonale, i capitali esteri invece di entrarvi, fuoriescono dai forzieri svizzeri. Segno dei tempi che cambiano e che bisogna finirla di contare sulle disgrazie “politiche e valutarie” altrui. Sono finiti i tempi del “pericolo” comunista e delle svalutazioni “competitive” della lira nella vicina Italia che spaventavano i benpensanti. Benpensanti che trovavano accoglienza, con i loro danari, nei salotti delle banche luganesi. Parzialmente questi capitali sono stati recuperati in fretta e furia dalle filiali italiane delle banche svizzere ma il segnale è negativo. Levata di Scudi fiscali di Loris Campetti In Italia si torna a parlare di una riedizione a breve dello “scudo fiscale”, la contestata normativa che nella prima metà del 2002 ha consentito il rientro nel paese di capitali illegalmente trasferiti all’estero nei decenni passati. Il governo Berlusconi, pressato da ogni parte per lo stato davvero poco brillante dei conti pubblici e per le misure escogitate per farvi fronte, coltiva infatti la speranza di poter rapidamente “fare cassa”, senza dover metter mano a provvedimenti e tagli che agiterebbero ancora di più il nervosissimo panorama politico nazionale. In Svizzera, invece, si teme che un nuovo periodo di “rientri agevolati” si traduca in una emorragia di capitali dalle banche della Confederazione. Quanto è reale questo pericolo? La prima edizione dello “scudo fiscale” era stata varata alla fine del 2001, su proposta del ministro dell’economia Giulio Tremonti. Prevedeva che i possessori di capitali investiti o depositati all’estero, ma non dichiarati per evadere completamente il fisco, potessero riportarli in Italia in modo assolutamente anonimo, pagando una tassa una tantum pari al 2,5 percento del valore. Un prezzo davvero minimo per sanare situazioni che esponevano i “pirati della lira” – secondo la definizione dello scomparso Ugo La Malfa – al rischio di finire in galera o di dover pagare tasse e multe di proporzioni infinitamente più alte, se scoperti. Aveva sollevato perplessità e indignazione soprattutto la garanzia dell’anonimato, che faceva pensare alla possibilità di “riciclare” facilmente anche denaro “sporco” in mano alla malavita organizzata. Il possessore di capitali all’estero, infatti, secondo questa normativa non era affatto obbligato a denunciare i propri averi, ma doveva limitarsi a fare una “dichiarazione riservata” a un intermediario privato – banche, società di intermediazione o di gestione patrimoniale, agenti di cambio, ecc. – che si incaricava poi di versare la “tassa” senza rivelare il nome del cliente. Ma quanto ha reso la prima operazione? Secondo i dati dell’Ufficio italiano cambi, sono rientrati quasi 59 miliardi di euro (poco meno di 90 miliardi di franchi), che rappresenterebbero però circa il 10 percento delle ricchezze italiane in giro per il mondo. L’erario ha così incassato quasi 1,5 miliardi di euro. Non molto, si direbbe. Ma in tempi di dissesto finanziario anche queste cifre sembrano far comodo al governo in carica. Ecco perciò spuntare l’idea di una seconda puntata, con l’una tantum – stavolta – elevata al 4,5 percento. Dalla Svizzera è ripartito per l’Italia il 61 percento delle somme rientrate. Il 70 percento dell’intero ammontare ha avuto come destinazione la Lombardia. Sembra così confermato il sospetto, avanzato a suo tempo, che tutta l’operazione sia stata concordata in realtà tra Tremonti – fiscalista di grido, con base in Valtellina, prima di diventare ministro – e Umberto Bossi, capo carismatico e umorale della Lega Nord, con roccaforte originaria proprio in Lombardia. Quanto ci ha rimesso la Svizzera? In realtà assai poco, dicono i conoscitori del mondo finanziario. Gran parte di questi capitali non si è mai mossa da dove si trovava: i proprietari si sono limitati a farne registrare l’esistenza. Gli altri sono già tornati nel circuito internazionale, nei luoghi dove si fanno gli affari “veri”, visto che il mercato finanziario italiano resta ancora una piazza tutto sommato minore. A riprova, viene citata la relazione trimestrale della Ubs relativa al periodo di chiusura del primo “scudo fiscale”: migliore del previsto, anche se con un utile netto leggermente in calo. Ma sembra che tale calo vada attribuito alla grave crisi dei mercati finanziari, anziché allo “scudo”. Il quale avrebbe inciso negativamente sui conti del private banking, nel suo complesso, per 3 miliardi di euro appena. Anche il secondo “scudo”, insomma, se mai si farà, non sembra in grado di spaventare il sistema bancario della Confederazione. Né di aggiustare i conti devastati dello Stato italiano.

Pubblicato il

11.10.2002 04:00
Sabina Zanini