La distribuzione del reddito in Svizzera è peggiorata a partire dagli anni Settanta fino agli inizi degli anni Novanta per poi stabilizzarsi nel decennio successivo. Lo mostra uno studio dell’economista Fabio Rossera. Nel 2000 il quarto più povero delle economie domestiche poteva contare solo sul 10 per cento della ricchezza prodotta, all’estremo il quarto più benestante deteneva il 45 per cento delle risorse prodotte nell’anno. Nel 2002 il reddito lordo mensile percepito dai salariati in Svizzera ammontava a un valore mediano di 5 mila 417 franchi: metà dei lavoratori percepiva una retribuzione mensile che superava questa cifra mentre l’altra metà si doveva accontentare di un salario inferiore ai 5 mila 417 franchi. È un dato che preso da solo non può fornire sufficienti informazioni riguardo la distribuzione del reddito fra le varie classi di lavoratori. Supponiamo infatti che la statistica venga fatta su 3 lavoratori e che essi guadagnino rispettivamente 2, 10 e 15 mila franchi mensili. Il valore mediano sarebbe quel 10 mila franchi che divide in parti numericamente uguali la classe formata dai 3 lavoratori: la metà (cioè il più povero) guadagna meno di 10 mila franchi mentre l’altra metà (il più abbiente) si trova sopra tale soglia. Si tratta chiaramente di una misura insoddisfacente se si vuole indagare sull’equità della distribuzione dei salari. L’inchiesta annuale svolta nel 2002 dall’Ufficio federale di statistica (Ust) sul livello e la struttura dei salari mostra inoltre che le differenze di remunerazione nei diversi settori di attività economica restano notevoli: il salario medio mensile dei top manager si aggira intorno ai 32 mila franchi (si tratta della media, vi sono stipendi ben più alti di questa cifra) mentre quello più basso si situa fra i 1’500 e i 2 mila franchi mensili (vedasi area n.48 del 28 novembre 2003). Il Ticino si vede sempre relegato in ultima fila: nel 2000 un terzo dei lavoratori impiegati nel secondario e nel terziario guadagnava meno di 3 mila franchi mensili (la percentuale femminile sale al 55 per cento) mentre il valore mediano in quell’anno era di 3 mila 827 franchi mensili (ha raggiunto la quota di 4 mila 658 franchi nel 2002). Più interessante è però capire quella che è la distribuzione del reddito in Svizzera per quanto riguarda le economie domestiche. Leggere che nel 2001 il reddito mediano mensile delle economie domestiche svizzere ammontava a 8 mila 797 franchi può essere fuorviante in quanto può dare l’impressione che le famiglie dispongano di un alto potere d’acquisto. La curva di Lorenz (a fianco) permette di misurare la concentrazione del reddito. Esistono delle sostanziali disparità tra le economie domestiche nella Confederazione: infatti un quarto delle economie domestiche svizzere dispone di meno di 5 mila franchi al mese, mentre all’estremo opposto si trova il 25 per cento delle economie domestiche che notificano redditi mensili superiori a 10 mila 400 franchi. Ovvero un quarto delle economie domestiche più svantaggiate totalizzano appena il 10 per cento dell’insieme dei redditi, mentre un altro quarto di economie domestiche più fortunate dispongono del 45 per cento dei redditi totali. Purtroppo non esistono misurazioni di quella che è l'accumulazione del patrimonio ma è lecito pensare che le disparità siano ancora più marcate. Stupisce che nella nostra società del benessere esistano queste notevoli differenze. Quali sono le ragioni che stanno alla base di queste ineguaglianze? Cosa è possibile fare per attenuare queste disparità? Ne abbiamo discusso con Mauro Baranzini, professore di economia dell’Università della Svizzera italiana. Professor Baranzini a cosa sono dovute queste ineguaglianze nella distribuzione della ricchezza prodotta dalla Svizzera? Non sono in grado di darle una risposta esauriente, forse queste ineguaglianze sono causate dalle istituzioni, dalla storia, dalla legge della domanda e dell’offerta o da taciti accordi sociali. Ai miei studenti sono solito fare l’esempio dello stipendio del capo muratore e di quello del manovale semplice che in Inghilterra sono sì variati in assoluto ma che si mantengono in un rapporto costante da ormai cinque secoli. Sembra quasi che i lavoratori siano più attenti che non cambino i rapporti fra i salari esistenti piuttosto che sul loro effettivo potere di acquisto. I nuovi salari che le lavoratrici e i lavoratori dell’industria tessile e dell’abbigliamento in Ticino percepiranno nell’anno corrente sono 11,83 franchi lordi all'ora per il personale ausiliario che svolge lavori leggeri non qualificati mentre sale a miseri 13,07 franchi lordi all’ora per la categoria degli addetti qualificati di cucito a macchina, poco più della metà di quello che riceve una donna delle pulizie. È chiaro che questi salari sono quasi al di sotto della linea della povertà, non so se sono le imprese che riescono a spuntare questi salari facendo alti profitti o se pagano così poco altrimenti la loro esistenza sarebbe minata. Certo che sono cifre che lasciano allibiti. Non si può far nulla per rimediarea queste grosse differenze salariali? La storia degli ultimi 40-50 anni mostra che nemmeno i governi socialisti come quelli inglesi, tedeschi o francesi sono riusciti ad eliminare a monte le grosse differenze nella retribuzione. A mio parere non esiste ancora alcuna equità verticale, cioè equità nella distribuzione del reddito fra le diverse economie domestiche. A suo parere quale sarebbe un equo rapporto tra un basso salario e uno alto? Personalmente ritengo che la persona meno qualificata, purtroppo in genere donna, giovane e frontaliera nel caso della Svizzera dovrebbe guadagnare al massimo 7-10 volte meno della persona meglio retribuita. Evidentemente non è il caso della Svizzera dove lo stipendio più basso si aggira fra i 1’500 e i 2 mila franchi ben al di sotto delle 10 volte del salario del direttore di banca, del procuratore capo e del manager di turno. Negli ultimi 10 anni ha avuto luogo un fenomeno preoccupante che sta dilagando dagli Stati Uniti verso l’Europa, quello dei bassissimi redditi a fronte di quelli esageratamente alti dei top manager. Non per nulla il settimanale economico inglese “The Economist” scrive continuamente del fenomeno dei lauti stipendi di questi alti dirigenti e di come questo problema possa essere arginato. In un articolo si spiegava che alcuni top manager vengono in realtà pagati per non lavorare, poiché se lo facessero andrebbero contro gli interessi degli azionisti. Questo è inammissibile nella nostra società. Tuttavia neppure paesi comunisti come Cina ed ex Unione sovietica che volevano condurre i rapporti fra i salari uno a quattro sono riusciti a farlo, almeno non completamente. Sono differenze che paiono difficilmente eliminabili, ineluttabilmente radicate nelle nostre società. Preso atto di queste differenze salariali è allo Stato che compete la redistribuzione dai ricchi ai poveri. Ritiene che i governi d’Europa abbiano delle adeguate politiche di ridistribuzione del reddito? La mia critica ai governi di sinistra di mezza Europa,è quella di aver sempre puntato il dito sull’equità verticale ignorando sistematicamente o quasi quella orizzontale. Cerco di spiegarmi meglio. In Svizzera abbiamo giustamente un sistema fiscale fortemente progressivo che preleva in Ticino il 30-35 per cento del reddito al 10-15 per cento dei cittadini più ricchi per ridistribuirlo direttamente o indirettamente a quel 40 per cento di ticinesi più poveri che in effetti non pagano imposte. Ma il problema sta nel fatto che una coppia ticinese percepirà dei sussidi solo allorquando i figli saranno almeno tre. Un’economia domestica composta da una coppia con figli deve essere trattata in maniera adeguatamente differente da una senza figli. Ora la situazione svizzera è migliorata poiché c’è una maggiore possibilità di deduzione fiscale per figli e anche gli assegni familiari sono aumentati ma si tratta pur sempre di una situazione di disagio per le coppie con figli. In altre nazioni, come ad esempio la vicina Italia, la situazione è ben peggiore. E il risultato è sotto agli occhi di tutti, le nostre economie che si professano avanzate non ne vogliono sapere nulla dei figli e poi piangono sui problemi delle assicurazioni sociali. Certo che quella insoddisfazione di fondo brucia quando si constata che le differenze sociali nascono già “a monte”. È vero che non si può fare nulla per eliminare o almeno ridurre queste disparità già in partenza? Un grande economista del passato, John Maynard Keynes, diceva che almeno nella culla dovremmo essere tutti uguali. Purtroppo è difficile crederlo.

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09.01.04

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