V’è da sperare che la crisi Covid-19 non sia ricordata soltanto come un tragedia umanitaria, ma quale biforcazione che ha portato alla scelta di un altro paradigma di sviluppo. In cima al quale (coronavirus docet) spicca il diritto universale alla salute, a un’attività lavorativa qualificante e a un reddito dignitoso. Poi ovviamente i due problemi ecologici più stringenti del nostro tempo, il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, fortemente interconnessi: la perdita di biodiversità rafforza l’impatto del cambiamento climatico indebolendo la capacità di resilienza contro quest’ultimo. Per il momento a livello di politiche nulla ancora di significativo che integri le quattro urgenze: climatico-ambientale, sociale, economica e politica. Ad esempio la Commissione europea, sotto la spinta della presidente Ursula von der Leyen, ha presentato il “Green Deal Europa”, un piano d’azione che vuole prendere per le corna la questione ambientale. Obiettivo: realizzare la neutralità climatica nel 2050. Le azioni previste: «Investire in tecnologie rispettose dell’ambiente; sostenere l’industria nell’innovazione; introdurre forme di trasporto privato e pubblico più pulite, più economiche e più sane; decarbonizzare il settore energetico; garantire una maggiore efficienza energetica degli edifici; collaborare con i partner internazionali per migliorare gli standard ambientali mondiali». Indubbiamente un passo avanti verso uno sviluppo che tenga conto della dimensione ambientale e climatica, ma sufficiente? Purtroppo il Green Deal europeo non affronta la dirompente crisi sociale. Che ne sarà di coloro che hanno perso o perderanno il loro job a seguito della digitalizzazione dell’economia? Dei working poor? Dell’aumento del divario tra ricchi e poveri? Che ne sarà del diritto alla salute con accesso gratuito alla sanità? Sul progetto della Commissione non sono certo mancate le osservazioni critiche; fra queste: la Dichiarazione dell’EuroMemo Group (“A Green New Deal for Europe - Opportunities and Challenges”), oltre 400 docenti universitari e ricercatori. «La crisi – si legge – dimostra l’importanza cruciale di un settore pubblico forte e mette la parola fine alla favola neoliberale dello Stato minimo. Non è un caso che la crisi Covid-19 stia rivelando le terribili conseguenze dei gravi tagli al settore pubblico». E ancora «il programma Ue deve segnare una netta rottura con suddetto orientamento che ha caratterizzato le politiche dell’Ue negli ultimi tre decenni. Esso deve trasformare l’economia europea in direzione di un nuovo modello di produzione e di consumo realmente inclusivo e sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. A tal fine, il Green Deal europeo deve trasformarsi in un Green New Deal europeo». Vengono indicati i campi d’azione, in sintesi: a) sociale: con proposte politiche a livello europeo per affrontare disoccupazione di massa, povertà e disuguaglianza; e riqualificare i servizi pubblici danneggiati dal dogma neoliberale. Garantire a tutti un lavoro, con condizioni dignitose attuando politiche del lavoro orientate sul lato della domanda in abbinamento ad un sistema universalistico di protezione sociale (Reddito di base); b) ambientale: trasformare il sistema energetico, dei trasporti e alimentare; ridurre in modo decisivo la nostra impronta ecologica, tra cui livelli di emissioni di anidride carbonica con in primis la “carbon tax”. c) politica: coinvolgere i cittadini nella co-decisione delle priorità di investimento, in particolare a livello regionale e locale. E del cambiamento di paradigma? La palla passa nelle mani della politica e dei suoi leader... lobby economico-finanziarie che hanno lunghi tentacoli e loro pedine in alto loco permettendolo!
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