Non capita spesso che si scioperi in un teatro. Allo Schauspielhaus di Zurigo è accaduto per la prima volta la scorsa settimana (cfr. il servizio a pag. 5). Non capita spesso perché chi lavora nel mondo dello spettacolo vive con profonda partecipazione il suo mestiere, identificandosi pienamente nell’istituzione presso la quale è impiegato. Il personale tecnico dello Schauspielhaus ha quindi dovuto fare violenza prima di tutto a sé stesso per poter scioperare. Ma di fronte alla posta in gioco non c’erano alternative: perché al di là della difesa del proprio stipendio, ai tecnici del teatro zurighese premeva porre la questione del rispetto delle loro specificità professionali e del loro riconoscimento da parte della direzione dello Schauspielhaus e delle autorità cittadine. Vista così questa vertenza ricorda molto quella dei lavoratori interinali e precari dello spettacolo francesi, che con un clamoroso sciopero fecero saltare nel 2003 numerosi festival estivi, fra cui quello di Avignone. Una vertenza che, a tre anni di distanza, non è affatto chiusa: proprio in questi giorni sono in programma assemblee sindacali di settore. Anche in Francia a preoccupare i lavoratori interinali dello spettacolo (attori, tecnici e personale amministrativo) non sono tanto questioni materiali (in primo luogo il trattamento di disoccupazione), ma soprattutto la scarsa considerazione di cui godono presso impresari e autorità politiche. In effetti è dal mancato riconoscimento delle specificità del loro ruolo che deriva l’inadeguatezza del loro trattamento contrattuale. Perché non è possibile assimilare un pittore di scena ad un imbianchino o un’attrice ad un’impiegata, se non trascurando volutamente tutto quanto è specifico ai mestieri dello spettacolo, dell’intrattenimento e della cultura. Questi scioperi non sono sorprendenti. L’arte, la cultura e lo spettacolo infatti sono considerati sempre più dei costi di cui la collettività dovrebbe farsi carico il meno possibile. I creatori, e quelli che lavorano con loro, si arrangino a trovare un mecenate o vivano di stenti. Questa è la logica che soggiace ai numerosi tagli alla cultura di città, cantoni e Confederazione, considerata un lusso che l’ente pubblico non deve più assumersi (se non quando è giustificato da importanti ricadute economiche). Ed è anche la logica sottesa alle esternalizzazioni di posti di lavoro dalle unità aziendali della Ssr: esse hanno come conseguenza diretta la precarizzazione di numerosi impieghi, la perdita di competenze in azienda e uno scadimento nella qualità delle prestazioni. L’arte e la cultura costano. Perché non ci sono né arte né cultura senza professionisti preparati e disponibili. E questi ci sono soltanto se si è disposti a riconoscerne il ruolo. Questo e null’altro hanno voluto dire gli scioperanti di Zurigo. Un messaggio a difesa della dignità della loro professione e della centralità dell’arte e della cultura nella nostra società, doppiamente importante ed estremamente civile. Per questo vanno ringraziati.

Pubblicato il 

03.02.06

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