È quasi impossibile per noi immaginare come si presentasse quel lembo di terra che oggi chiamiamo Monte San Giorgio duecentoquaranta milioni di anni fa, prima addirittura che apparissero i dinosauri.
Chissà cos’era quel fantastico e muto bacino della Tetide, dove vivevano migliaia di specie di pesci e di rettili che si sono sinora rivelati solo parzialmente in forma di fossili, studiati da grandi paleontologi come Bernhard Peyer ed Emil Kuhn-Schnyder, e da tenaci appassionati come Graziano Papa e Markus Felber.
Ora l’iscrizione di quel territorio nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco costituisce un fatto storico di enorme importanza.
Al di là della potente valenza protettiva per quella zona si apre una nuova stagione di studi scientifici, che potrebbero dar luogo ad una valorizzazione seria del nostro paese oltre le anguste frontiere (si opera già per l’allargamento ai vicini comuni italiani), in termini di ricerca, di verifica e di ampliamento delle conoscenze sulla storia del nostro pianeta, di divulgazione culturale e anche di sogni ad occhi aperti per chi cammina sui sentieri e nei boschi di quella regione.
Altro che giochi d’acqua, parchi-divertimento, animazioni per palati grossi, sagre del bue o dell’asino e così via. Spero che le autorità sappiano ascoltare le voci remote che ci giungono nientemeno che dal Triassico e quelle vicinissime di coloro che difendono, perché la amano e la conoscono, la natura.
Tra i beni dell’umanità sono stati iscritti anche due grandi monumenti molto vicini a noi: i Sacri monti di Varese e di Ossuccio.
Chi vuol saperne di più ci vada e compia di cappella in cappella il lungo percorso che i pellegrini facevano nei secoli scorsi e che riproponeva simbolicamente quella Gerusalemme che ormai non si poteva più visitare per la distanza e perché era nelle mani dei Turchi.
I Sacri monti erano dunque, in certo qual senso, le città sante dei poveri che San Carlo Borromeo in particolare aveva voluto erigere proprio in Lombardia come potente barriera, contro la discesa della Riforma protestante.
Al di là dell’impianto urbanistico e delle architetture di grandissimo pregio, delle sculture, degli stucchi e dei dipinti spesso rivolti al popolo in forma didascalica quasi grottescamente espressiva, i Sacri monti contengono in sé, silenziosamente, anche povere storie di un mondo ormai da lungo scomparso e dimenticato.
Come la vicenda del tentato assassinio di San Carlo nell’Arcivescovado di Milano, la notte del 26 ottobre 1569, da parte dell’anarchico ante-litteram Gerolamo Donato detto il Farina, che forse intendeva vendicare le povere donne delle valli bruciate come streghe, o qualche disgraziato perseguitato dall’inquisizione od altri emarginati del tempo.
Oppure la storiella assai gustosa, che mi è capitato di raccogliere sui monti di Ossuccio e di Lenno.
Ogni anno, l’8 settembre, festa della Madonna, quelli di Ponna in Val d’Intelvi, andavano in processione fino al santuario del Soccorso ad Ossuccio a chiedere grazie o ad esprimere gratitudine per quelle (rarissime) ricevute.
Ore ed ore di cammino, partendo il mattino prima dell’alba e ritornando a notte ormai inoltrata. Durante il percorso si aggregavano alla processione paesani ed alpigiani recanti qualche offerta per il santuario.
Un giorno se ne aggiunse uno che portava un’oca. Il prevosto con la complicità del suo furbo sagrestano, si mise allora a rispondere durante le interminabili litanie dei Santi: «L’oca pro nobis», … «l’oca pro nobis», ...., sicchè ad Ossuccio la povera oca scomparve e fu poi apprezzata, pare, sulla mensa dei vari prevosti, curati e vicari ivi convenuti.
Storie popolari, flebili ricordi della vita che si svolgeva attorno alle solenni Gerusalemme dei Sacri monti. Ma accanto a Gerusalemme c’è sempre stata, per fortuna, un po’ di Babilonia.
Anche per queste minuscole briciole del nostro patrimonio, grazie Unesco. |