È una vera e propria azione di accerchiamento quella che padronato, governo e parlamento stanno mettendo in atto a danno dei pensionati di oggi e di domani. Gli attacchi al sistema delle  assicurazioni sociali si svolgono su più fronti e dunque colpiscono tutti: malati, disoccupati, invalidi e pensionati, ma oggi sono proprio questi ultimi (loro malgrado) a balzare quasi quotiodianamente agli onori della cronaca.

Una cronaca che, oltre al nuovo tentativo di smantellamento dell'Avs (di cui diciamo a parte), ci riferisce di una serie di iniziative politiche (e non) che producono un unico effetto: una riduzione delle rendite e alla fine una perdita del potere di acquisto e dunque della sicurezza sociale e della qualità di vita dei futuri pensionati.
La decisione che maggiormente sta facendo discutere è quella adottata lo scorso anno, su suggerimento del Consiglio federale, dalla maggioranza borghese delle Camere federali e che prevede un taglio delle rendite dell'ordine del 10 per cento a partire dal 2015. Taglio che avviene attraverso una riduzione del cosiddetto tasso di conversione per gli averi del secondo pilastro al 6,4 per cento, contro il 7,05 attuale per gli uomini e il 7,1 per le donne. Gli effetti di questa nuova revisione della Legge sulla previdenza professionale (Lpp) sono facilmente spiegabili: per un capitale di 100 mila franchi accumulato durante la vita attiva, l'assicurato che andrà in pensione nel 2015 percepirà 6.400 franchi annui contro i 7.050 (rispettivamente 7.100) garantiti oggi e i 7.200 in passato.
Già nel 2003 infatti la Confederazione decise, in virtù dell'accresciuta speranza di vita, di portare gradualmente il tasso di conversione al 6,8 entro il 2014. Ancor prima di vedere gli effetti di questo correttivo, il Parlamento ha deciso la nuova riduzione al 6,4 (da realizzarsi nel 2015 o nel 2016) ed ha iscritto nella legge, che in futuro il tasso andrà riesaminato ogni cinque anni (e non più ogni dieci come ora).
Se nel 2003 il movimento sindacale, giocandosi anche una fetta della propria credibilità presso i lavoratori, accettò di ingoiare la pillola amara, questa volta ha optato per una ferma opposizione, scaturita nel lancio del referendum, sostenuto anche da quattro associazioni di consumatori e dall'associazione di pensionati Avivo. Un referendum che in poche settimane ha raccolto l'adesione di 204 mila cittadini, stabilendo il terzo più importante successo della storia referendaria elvetica.
Le giustificazioni addotte dai fautori della revisione legislativa (l'invecchiamento della popolazione -un'altra volta- e le sempre più scarse prospettive di rendimento dei capitali sui mercati finanziari) sono in effetti poco convincenti se le si analizzano con attenzione.
Il primo argomento si fonda sui dati statistici degli assicuratori privati, secondo cui nei prossimi anni la speranza di vita di un pensionato salirebbe a 88 anni, contro gli 84 previsti dall'Ufficio federale di statistica. Una previsione quest'ultima che giustificherebbe addirittura il vecchio tasso di conversione del 7,2 per cento. Con il 6,8 già deciso il capitale di vecchiaia disponibile consentirebbe invece di elargire rendite fino ad un'età media di 86 anni.
Per quanto riguarda il rendimento dei capitali, assicuratori e maggioranza borghese del parlamento  fanno invece delle previsioni che non tengono conto dell'evoluzione dei mercati sul lungo termine: come si evince dal grafico sotto, tra il 1985 (anno d'entrata in vigore della Lpp) e il 2008 il capitale investito annualmente ha reso in media il 6,25 per cento. Ben oltre dunque l'interesse minimo legale dovuto del 4 per cento in vigore fino al 2003.
Ciononostante il Consiglio federale, su suggerimento della Commissione federale Lpp (sulla cui composizione un po' "particolare" diciamo nel riquadro a pagina 9), dopo la crisi borsistica del 2001 e del 2002, lo ha ridotto a più riprese fino al 2 per cento attualmente in vigore.
Concretamente, questo significa che un lavoratore con un reddito di 6 mila franchi che per 40 anni ha pagato i contributi di cassa pensione previsti, non si ritrova più con un capitale  di vecchiaia di 550.516 franchi ma di 377.801 (173 mila franchi in meno dunque) e una rendita mensile (con l'attuale tasso di conversione) di mille franchi inferiore.
Se si considera il nuovo tentativo di ridurre il saggio di conversione, non è difficile capire perché questo genere di operazioni vengano spesso definite un "furto delle rendite".
Un "furto" che nei prossimi anni potrebbe generare un "bottino", ancora più ingente se in settembre il Consiglio federale dovesse di fatto cancellare l'obbligo di garantire un interesse minimo sul capitale di vecchiaia, portandolo dal 2 allo zero per cento.
Un'ipotesi già avanzata dall'Asip, l'Associazione svizzera degli istituti di previdenza, come possibile misura di risanamento delle casse pensioni che oggi si ritrovano, sempre a causa della crisi finanziaria e sicuramente anche in seguito alla politica di investimenti azzardata degli anni passati, con una tasso di copertura al di sotto del 100 per cento.
Secondo un'inchiesta recentemente pubblicata da Swisscanto (uno dei principali emittenti di fondi e gestori patrimoniali in Svizzera), due casse su tre si troverebbero in sottocopertura. «La situazione non è catastrofica ma è seria», spiega il direttore dell'Asip Hanspeter Konrad, convinto che «l'unica via di uscita possibile» sia quella delle misure di risanamento. Concretamente, si tratta di chiedere contributi straordinari a datori di lavoro, lavoratori e beneficiari di rendite, ma anche «versare interessi più bassi e ridurre ulteriormente il tasso di conversione», fa notare Konrad.
I prossimi mesi ci diranno che tipo di istruzioni darà il Consiglio federale (in quanto autorità di vigilanza) e se (come la legge gli consente e come chiedono i sindacati e la sinistra a tutela del potere di acquisto dei salariati) si asterrà dall'obbligare le casse pensioni con una copertura insufficiente ad adottare rapidamente misure straordinarie.
Certo è invece che il tema delle casse pensioni dominerà il dibattito pubblico dei prossimi mesi e che il risultato del referendum (la votazione non è ancora stata fissata ma verosimilmente si terrà in novembre) sarà decisivo per il futuro del secondo pilastro.


«Tollerato per anni un sistema criminale»

Il movimento sindacale si oppone alla riduzione del tasso di conversione e chiede una moratoria in materia di misure di risanamento delle casse pensioni in sottocopertura. Ma allora cosa si deve fare per salvare il II pilastro in una fase in cui le prospettive di rendimento dei capitali sui mercati finanziari non sono particolarmente rosee?
«Bisogna innanzitutto evitare il panico, che è assolutamente ingiustificato: allo stato attuale, alle casse, una volta pagate tutte le prestazioni agli assicurati (invalidi o pensionati), restano infatti ogni anno 17 miliardi di attivi», risponde Aldo Ferrari, segretario regionale di Unia Vaud ed esperto in materia di previdenza. «Si deve inoltre capire dove vanno a finire i soldi dei contribuenti, chi e come li gestisce, nonché le ragioni per cui oggi non si potrebbe sperare in un rendimento dell'ordine del 5 per cento che garantisca il mantenimento il un tasso di conversione del 6,8,deciso nel 2004 per tenere conto dell'invecchiamento della popolazione».
Si riferisce in particolare alla gestione delle casse pensioni da parte delle grandi compagnie assicurative?
Certo. Queste, negli anni 2000 hanno speculato oltre il necessario, investendo in prodotti alternativi ad alto rischio (tipo Madoff) e oggi usano la crisi finanziaria per spiegare la loro incapacità di far fronte agli impegni. Gruppi come Swiss Life e Axa Winterthur hanno perso molti soldi e sanno che anche una ripresa della borsa non basterà loro per rifarsi. Quindi fanno pressione affinché vengano ridotti sia il tasso di conversione che quello d'interesse sul capitale, in modo che siano gli assicurati a pagare per i loro errori. Questo è naturalmente inaccettabile.
Come si dovrebbe riparare a quegli errori?
Se la Confederazione ha trovato 68 miliardi per Ubs, ne può trovare anche 15 o 20 per rilevare i prodotti tossici delle casse pensioni. Naturalmente, per il futuro, vanno anche posti dei paletti. E in questo senso ritengo preoccupante la decisione del Consiglio federale di innalzare (a partire dal 1° gennaio 2009) fino al 15 per cento il livello massimo di fondi speculativi nei portafogli delle casse di previdenza, mentre in precedenza la legge fissava come principio lo 0 e prevedeva un'eccezione qualora l'istituto fosse stato in grado di dimostrare capacità di esposizione ai rischi. Di fatto, preso atto che in passato l'Ufficio federale delle assicurazioni sociali è venuto meno al suo dovere di sorveglianza, il governo ha legalizzato tramite ordinanza un sistema per certi versi criminale, che consente di investire alla cieca i soldi degli assicurati. Un'assoluta contraddizione in un regime di assicurazioni sociali, in cui non ci possono essere altri beneficiari che i destinatari delle prestazioni.
Perché parla di legalizzazione?
Se oggi il 70 per cento delle casse hanno una copertura inferiore al 100 per cento, vuol dire che c'erano almeno 30 miliardi di "hedge fund" illegali. Il governo svizzero ha fatto come fa Berlusconi in Italia: di fronte all'incapacità di rispettare una legge, la modifica.
A questo punto sarebbe opportuno escludere le assicurazioni private dalla gestione del secondo pilastro?
Se ne può discutere, anche se non ho nulla in contrario che gli assicuratori privati gestiscano il secondo pilastro. Ma a condizione che lo facciano applicando le stesse regole che valgono per gli altri, vale a dire con una gestione paritetica, una netta distinzione tra fondazione di previdenza e assicurazione e dunque in piena trasparenza. A questo proposito sarebbe per esempio interessante sapere come mai gli assicuratori privati per gestire circa 120 miliardi di franchi spendono quasi quanto tutti gli altri per gestirne 480, ossia 1 miliardo all'anno, pari a 630 franchi per ogni assicurato.
Perché non vi sarebbe urgenza di risanare le casse pensioni in sottocopertura e che pertanto non sarebbero in grado in caso di bisogno di far fronte agli impegni assunti nei confronti degli assicurati?
Innanzitutto, perché dopo pochi mesi di crisi finanziaria è fuori luogo intervenire con urgenza nell'ambito di un'assicurazione sociale con un orizzonte di sessant'anni (40 di contributi e 20 di prestazioni). Del resto, la legge concede un periodo di tempo di 7-9 anni. Purtroppo già vengono attuati dei trucchi contabili per applicare di fatto dei tassi (rispettivamente corrispondere delle rendite) inferiori ai minimi legali (o addirittura pari a zero) sfruttando la totale libertà di manovra concessa dalla legge nell'ambito della parte sovra obbligatoria del II pilastro. Di fronte a questa situazione, a cui si aggiunge l'avvenuta diminuzione dal 2004 a oggi del tasso di remunerazione dell'avere individuale dal 4 al 2 per cento, viene addirittura da chiedersi se non valga la pena concentrare tutta la previdenza sul primo pilastro.
Il sistema dei tre pilastri è destinato a sopravvivere?
Ritengo di sì perché si tratta di un buon sistema. Mi riferisco in particolare all'Avs e alla previdenza professionale, perché il terzo pilastro è oggettivamente accessibile a pochissimi: mentre l'Avs rappresenta un patto tra generazioni, il secondo pilastro è un patto tra l'economia e i lavoratori. Quest'ultimo consente alle parti di decidere cosa fare del loro denaro e può essere gestito correttamente e non come un business per banchieri o assicuratori, nell'interesse della collettività, come dimostrano molte fondazioni comuni con 1500-2000 padroni e 12-13 mila operai. L'Avs, invece, è purtroppo nelle mani di un Parlamento di destra che da anni lavora al suo smantellamento. Con il nostro referendum contro la riduzione del tasso di conversione vogliamo dunque anche dare un avvertimento all'autorità politica affinché fermi gli attacchi al sistema di assicurazioni sociali messo in piedi dagli anni Settanta.  
Il singoli lavoratori cosa possono fare concretamente per tutelare i loro diritti?
Chiunque fa parte di una cassa che fino all'anno scorso aveva un tasso di copertura superiore al 100 per cento e che oggi mette in atto misure di risanamento, dovrebbe rivolgersi subito al sindacato, così che esso possa denunciare la situazione. I lavoratori devono inoltre porre la questione ai loro rappresentanti nei consigli di fondazione sulla questione degli investimenti fatti con i loro capitali.
Ritiene che il referendum contro la riduzione del tasso di conversione abbia delle reali chance di successo?
Ci sono molti segnali incoraggianti. Le oltre 200mila firme raccolte in poco tempo testimoniano che i cittadini stanno cominciando a reagire agli attacchi sul fronte dell'assicurazione malattia, su quello dell'Avs e ora di nuovo sul quello delle pensioni.


Donne di nuovo alla cassa

Berna – Pochi minuti di discussione per decidere l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni e per rallentare il ritmo di adeguamento delle rendite al rincaro. Il Consiglio degli Stati non ha perso tempo in "chiacchiere", affrontando mercoledì il delicato dossier dell'11esima revisione dell'Avs. Una revisione quasi fotocopia di quella bocciata nel 2004 dal 67,9 per cento del popolo svizzero e da tutti i cantoni (a causa dell'assenza di una contropartita sociale al sacrificio che veniva imposto alle donne, come indicò all'epoca l'analisi del voto condotta dall'istituto Vox).
Pur avendo approvato un modello più generoso rispetto a quello adottato l'anno scorso dal Consiglio nazionale (che tornerà a chinarsi sul dossier in autunno), i senatori hanno comunque ancora una volta negato il diritto al pensionamento flessibile, come invece era stato promesso dal Consiglio federale nel 2000, quando presentò il primo progetto di revisione della legge, in seguito corretto al ribasso dal Parlamento e infine massacrato dal popolo il 16 maggio 2004.
Sono stati sì previsti 400 milioni per un suo finanziamento durante dieci anni, ma si tratta di una somma assolutamente insufficiente per garantire a tutti (e dunque non solo alle persone benestanti) il diritto di ottenere con due o tre anni di anticipo la rendita Avs. Un'opportunità di cui avrebbero bisogno in particolare i lavoratori che svolgono i mestieri più usuranti, i quali però di regola (alle condizioni che vengono poste dalle varie versioni di riforma) non hanno i mezzi finanziari per poterne approfittare.
Ma non è tutto: la legge che uscirà dal Parlamento costituisce anche un ennesimo attacco alle rendite, che in futuro dovrebbero essere adattate con «maggiore flessibilità» all'evoluzione dei prezzi e dei salari. In particolare, i senatori hanno deciso che se il fondo di compensazione Avs (una sorta di riserva che ha lo scopo di garantire le prestazioni in caso di fluttuazioni delle entrate che possono originarsi a causa della congiuntura economica) dovesse scendere sotto il 45 per cento del fabbisogno di un anno (il Nazionale si era deciso addirittura per il 70), il Consiglio federale sarebbe autorizzato a rinunciare all'adeguamento delle rendite al rincaro.
«Con questo sistema il governo e il parlamento, se vorranno assicurare le rendite, si sentiranno sempre in dovere di garantire la sicurezza del fondo Avs», ha spiegato il ministro della socialità Pascal Couchepin, avvertendo tuttavia che questa 11esima revisione dell'Avs rappresenta solo una tappa intermedia da completare verso il 2014 o il 2015 con una nuova revisione. Una revisione, ha anticipato, che dovrà ulteriormente innalzare l'età pensionabile (a 67 o 68 anni?) e che dovrà essere accompagnata dall'aumento dell'aliquota Iva. «Altrimenti bisognerà procedere ad una diminuzione delle rendite», ha ammonito il consigliere federale, senza nascondere scarsissimo entusiasmo per questa 11esima revisione dell'Avs. Forse consapevole che si tratta di un progetto con pochissime chance di superare lo scoglio del referendum, che a questo punto appare scontato.

Pubblicato il 

05.06.09

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