Lo scandalo

«Il tempo impiegato per l’elaborazione di questo documento è cospicuo. Seppur difficilmente calcolabile, si quantifica in svariate settimane lavorative». Si conclude così la risposta di ben 24 pagine del Consiglio di Stato ticinese a due interrogazioni e un’interpellanza (Pronzini e Lepori) sulla partecipazione del consigliere Norman Gobbi alla cerimonia di commemorazione dei membri ticinesi della P-26. A memoria, non si era mai vista una risposta governativa tanto lunga. «Sarebbero bastate quattro righe in cui si dichiarava che Norman Gobbi vi aveva partecipato a titolo personale» afferma Werner Carobbio.

 

L’ex consigliere nazionale conosce bene il tema, essendo stato il vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta chiamata nel 1990 a far luce sull’organizzazione segreta P-26. Il rapporto della Commissione fu approvato a larga maggioranza dall’Assemblea federale, e il Consiglio federale sciolse la struttura, in quanto incostituzionale e illegale.

Quanto sostenuto da Carobbio ha un fondamento, visto che nella risposta del CdS si deduce che Gobbi prese parte alla cerimonia a titolo personale. Il governo (con l’unica voce contraria di Manuele Bertoli), ha invece deciso di giustificare la presenza di Gobbi attraverso una lunga dissertazione (17 delle 24 pagine) per offrire «un quadro diverso dalla visione a cui voi deputati vi riferite» (cioè il rapporto della Commissione parlamentare), grazie «alle nuove versioni storiche degli ultimi 30 anni».

 

Secondo Carobbio «è assurdo che un organo politico qual è il governo, si avventuri in materia di competenza degli storici». Tanto più che la “nuova visione” storica narrata dal governo ha delle forti rassomiglianze con quella di chi da tempo chiede la rivalutazione della struttura segreta P-26 e la riabilitazione dei suoi membri. L’ignoto funzionario che ha trascorso settimane nel redigere la lunga risposta governativa ha attinto a fonti non propriamente accessibili ai normali cittadini. L’introvabile rivista curata dalla Militärhistorische Stiftung des Kantons Zürich citata dalla risposta governativa, porta dritto all’indirizzo di Felix Nöthiger, ex membro della P-26, da anni in prima linea nella battaglia per la sua riabilitazione.

 

Attraverso numerose associazioni, Nöthiger si adopera per modificare l’immagine storica dell’organizzazione armata segreta in contrasto con l’ordine democratico. Secondo lui e i suoi sodali, l’organizzazione si prefiggeva «una resistenza nobile, i cui membri nel ligio anonimato servivano la patria». Un’opinione forse legittima, ma di una parte direttamente coinvolta. Va detto che la stessa commissione federale non aveva giudicato negativamente i membri della P-26. «Non abbiamo mai messo in causa i singoli membri, per i quali abbiamo riconosciuto la buona fede» spiega Carobbio, che aggiunge: «Per la Commissione il problema era l’esistenza di una struttura segreta finanziata illegalmente coi soldi pubblici che agiva fuori dal controllo democratico e parlamentare. Tenendo conto che i suoi responsabili potevano far capo ai depositi di armi di vario tipo, restava aperta la possibilità che in una situazione di tensione sociale, la struttura potesse essere utilizzata per scopi diversi da quelli “previsti”. La Commissione non ha mai parlato di colpi di stato o altro, ma evidenziato il rischio che l’operatività di questa organizzazione potesse sfuggire a qualsiasi controllo, parlamentare sicuramente e in buona parte del Cf stesso. Da noi interrogato, l’ex consigliere federale Chevallaz a capo del Dipartimento militare, si era arrabbiato perché comprese di essere stato all’oscuro di fatti da noi accertati».


Comunque gli sforzi di Nöthiger e colleghi profusi negli anni hanno dato dei frutti. Attraverso l’associazione Pro Castellis di cui Nöthiger è presidente, è
riuscito nell’impresa «dell’apertura più bizzarra di un museo che abbia mai avuto luogo in Svizzera», come ha scritto la Woz. Il Museo della Resistenza Svizzera si trova a Gstaad ed è un vecchio bunker di addestramento della P-26, venduto dall’esercito alla Pro Castellis di Nöthiger per soli 5mila franchi. È stato inaugurato il 23 novembre 2017 e chiuso lo stesso giorno. Riaprirà solo nel 2041, anno in cui la documentazione sull’organizzazione segreta diventerà finalmente pubblica. Tra la sessantina di partecipanti all’inaugurazione, vi era il Consigliere federale Ueli Maurer. Del suo discorso non vi è traccia, poiché «è stato tenuto a braccio e quindi senza traccia scritta». Curiosa coincidenza, anche del discorso di Gobbi alla cerimonia ticinese non vi è documentazione scritta, per lo stesso motivo.
Tornando a Maurer, nel suo ruolo di Consigliere federale è stato certamente decisivo nella lotta per la riabilitazione della P-26. Nel 2009, rispondendo all’interrogazione del grigionese Ppd Theo Meissen, a nome del Consiglio federale «ringrazia tutti i militari e segnatamente tutti i membri delle organizzazioni quadro esistite dal 1940 al 1991 per i servizi resi al Paese e alla popolazione durante i giorni critici della seconda guerra mondiale e della guerra fredda». La risposta fu interpretata dai sostenitori come il via libera alle cerimonie di riabilitazione dei membri della P-26 e alla revisione storica della struttura. Fu così che in diverse regioni della Svizzera, con vari gradi di ufficialità o meno, si tennero celebrazioni come quella ticinese a cui partecipò Gobbi.


Una cerimonia organizzata, come nel resto del paese, dall’associazione C717, coordinata dall’instancabile Nötigher. L’opera di riabilitazione della P-26, ha fatto pure breccia nei media. Infatti, il prossimo 14 dicembre, l’Autorità indipendente di ricorso in materia radiotelevisiva si esprimerà su una puntata di “Temps présent” dedicata alla P-26, giudicata «in maniera unilateralmente positiva» dai ricorrenti. A trent’anni dalle conclusioni della Commissione federale d’inchiesta che ne sancì la fine, il dibattito sulla P-26 si è riaperto, grazie al lavoro di lobbying di alcuni suoi ex membri. Molti dei suoi aspetti storici non sono stati ancora chiariti, in attesa dell’accesso pubblico ai documenti secretati fino al 2040. In particolare, le relazioni della P-26 con altre formazioni simili estere sulle quali aveva indagato il giudice neocastellano Pierre Cornu su mandato del Consiglio federale. Sempre che i documenti esistano ancora. Nel 2016, un ricercatore aveva chiesto all’Archivio federale l’accesso a documenti del rapporto Cornu. «Ci spiace, ma sono spariti» è stata la risposta. Non è dunque detto che la vera storia sarà mai scritta.

 

 

LA P-26

La scoperta della P-26 fu una diretta conseguenza dello scandalo delle schedature di massa in Svizzera. Nel 1989 l’opinione pubblica scoprì che la sezione “politica” della Polizia federale disponeva di uno schedario segreto di 900’000 dossier, in cui erano raccolte informazioni su circa 700’000 persone o organizzazioni del Paese. Oltre all’impressionante numero di persone schedate (quasi un cittadino su sette), emerse la superficialità e la sproporzionalità delle informazioni raccolte. Per essere schedati, bastava aver partecipato a una manifestazione, sottoscritto una petizione, essere abbonati a giornali “critici” o aver avuto qualsiasi contatto con movimenti di sinistra, femministi o pacifisti. Lo scandalo si estese poi anche ai servizi segreti militari, con una nuova Commissione parlamentare d’inchiesta. Questa porta alla luce nel 1990 l’esistenza di due organizzazioni segrete e illegali, la P-26 e la P-27. La seconda è un servizio di “intelligence” per missioni “a maggiore rischio” all’estero, mentre la prima è un’organizzazione di circa 400 quadri dell’esercito, incaricati di organizzare la resistenza nel caso dell’occupazione nemica. Nata nel 1979, la P-26 agiva al di fuori dell’ordine costituzionale ed era finanziata illegalmente coi soldi pubblici provenienti dal Dipartimento militare federale senza che l’Assemblea federale ne fosse informata. Disponeva di centri di comando sotterranei, armi ed esplosivi sparsi nel paese. Alcuni membri avevano seguito dei corsi di formazione nel Regno Unito, dati dai servizi segreti britannici M-16. Sulle relazioni della P-26 con altre formazioni simili estere, (vedi la Gladio in Italia, sospettata di attività terroristiche), aveva indagato il giudice Pierre Cornu. Del rapporto Cornu, il pubblico può leggere solo una sintesi, poiché i documenti sono secretati fino al 2040.

Pubblicato il 

05.12.18
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