Gli ucraini e il lavoro (se) ci sarà

Per l’economista Sergio Rossi l’afflusso dei profughi porrà notevoli sfide al mercato del lavoro con il rischio di criticizzare fenomeni già in atto come il dumping e la concorrenza sleale

Arrivati in Svizzera e accolti con grande partecipazione emotiva, ora gli ucraini entrano nella fase dell’integrazione. Per l’economista Sergio Rossi si profilano sfide importanti per riuscire ad assorbire i rifugiati nel mercato del lavoro, mentre Giangiorgio Gargantini richiama al rispetto dei contratti per evitare casi di concorrenza sleale e dumping.

In Svizzera ci si aspetta l’arrivo fino a 50mila persone entro giugno. Dopo le raccolte di beni alimentari e vestiario, inizia ora il percorso d’accoglienza, che non si esaurisce nel garantire posti letto e pasti caldi, ma presuppone l’integrazione nella vita sociale ed economica con l’accesso alla formazione per i più giovani e al mercato del lavoro per gli adulti, rendendoli il più autosufficienti possibile. Non sarà così scontato, avvisa Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia monetaria all’Università di Friborgo, perché i rifugiati si inseriscono in un contesto occupazionale che presenta da tempo problemi strutturali al suo interno. Per Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia: «Sarà una sfida perché ci si ritrova una popolazione intera, con vari livelli di formazione ed età, e non categorie specifiche di lavoratori per cui per il momento non si riesce ancora a definirne un profilo generalizzato dal punto di vista delle capacità professionali. È un’emergenza umanitaria e trovo che l’accoglienza, così come è stata improntata, sia corretta: non era un’opzione ed è stato giusto accogliere le persone in fuga dalla guerra dando loro subito la possibilità di lavorare e andare a scuola. Racchiuderli in una bolla a sé sarebbe stata un’alternativa con conseguenze peggiori. Ritengo che sia necessario insistere molto sulla scolarizzazione dei ragazzi e sui corsi di lingua per gli adulti, perché l’integrazione passa da lì. Certo, il Ticino ha problemi di disoccupazione, ma vedo delle possibilità di inserimento nel settore del turismo e della ristorazione. Il problema, semmai, sarà il rispetto da parte dell’economia privata dei contratti collettivi di lavoro per evitare concorrenza 
sleale con gli indigeni: una difficoltà che negli ultimi decenni si è fatta emergenza ed è fra le cause dell’attuale crisi».  

Professor Sergio Rossi, le persone che fuggono dalla guerra in Ucraina possono da subito, grazie al permesso S, cercare un lavoro in Svizzera. Quale impatto avrà sul mercato del lavoro nazionale?
L’impatto dipenderà da molte variabili, tra cui la durata della permanenza di queste persone in Svizzera. Bisognerà, inoltre, vedere quali cantoni registreranno una presenza di ucraini rilevante nel mercato del lavoro. Se è prematuro parlare degli effetti dell’afflusso di rifugiati, è possibile prevedere degli scenari. Si potrebbero verificare due fenomeni diversi, ma concomitanti o alternativi. Da un lato, l’impiego di ucraini nell’economia nazionale potrebbe sopperire alle lacune di personale in alcuni settori, dove le conoscenze della lingua russa si rivelano utili allo svolgimento di queste attività. Dall’altro lato, ci sarà verosimilmente una ulteriore pressione al ribasso sui livelli salariali di determinate categorie professionali appartenenti al ceto medio o a quello basso.


C’è lavoro in Svizzera per gli ucraini? E in quali settori è immaginabile potranno essere inseriti?
È immaginabile che una piccola percentuale di ucraini in Svizzera possano trovare un’occupazione nel campo della sanità per quanto riguarda la cura delle persone malate o in età molto avanzata che abitano ancora al proprio domicilio. Ci potrebbero essere anche delle possibilità di impiego di alcuni ucraini nel ramo del commercio di materie prime, non fosse altro che per le loro competenze linguistiche o per i loro legami con il proprio paese, che è un importante esportatore di materie prime agricole e metalli industriali. Possibile anche che qualche ucraino trovi un lavoro nel campo dell’insegnamento o della ricerca scientifica.


Sui popoli esistono sempre tante narrazioni e gli ucraini sono anticipati anche essi da luoghi comuni, fra questi quello che sarebbero molto formati: corrisponde al vero?
Non ritengo che gli ucraini siano molto formati e, in generale, il loro livello è inferiore a quello nell’Europa occidentale, visto che le imprese ucraine spesso e volentieri assumono personale formatosi all’estero. Si nota tuttavia una maggiore istruzione degli ucraini rispetto alla popolazione dei Paesi limitrofi (per esempio Serbia, Bulgaria e Romania), ma non è certo possibile fare delle affermazioni generiche. Resta il fatto che prima della guerra circa un quarto della popolazione ucraina viveva sotto la soglia di povertà: ciò potrebbe riflettere il fatto che il livello medio di formazione in Ucraina non è così elevato come alcuni pretendono.


Il fatto che siano per la maggioranza donne, con figli di cui hanno la responsabilità di cura, limiterà il loro accesso al mercato del lavoro?
Si tratta di una forte limitazione in quanto per molte di loro sarà impossibile trovare posti di lavoro a tempo pieno, almeno fino a quando queste donne dovranno gestire una prole che ancora necessita della loro presenza a casa. Le strutture di accudimento sono una possibile soluzione transitoria, ma implicano costi e problemi di posti liberi che dovranno essere risolti affinché sia una via praticabile.


Il mercato del lavoro, con particolare riferimento al Ticino, è abbastanza solido per assorbire l’improvviso afflusso?
Il mercato del lavoro in Svizzera, e in particolare nel Ticino, è evidentemente incapace di assorbire questo importante afflusso di rifugiati dall’Ucraina. Sono già molte, infatti, le persone che in Svizzera non riescono a trovare un impiego o che, pur lavorando magari anche a tempo pieno, non guadagnano il minimo vitale.


Quali rischi si profilano? 
Dumping salariale, sfruttamento, concorrenza con indigeni, peggioramento delle condizioni di lavoro in generale?
Questi rischi sono tutti verosimili e non tarderanno a manifestarsi, a cominciare dai cantoni dove il sistema economico è meno solido. Il Ticino sarà uno dei primi cantoni a notare questi fenomeni dannosi sia per l’economia sia per la società nel suo insieme. In un mercato già fortemente precarizzato ciò aumenterà non soltanto i disavanzi nella finanza pubblica, ma anche i conflitti sociali e le discussioni sul piano politico, in una traiettoria che non lascia intravedere nulla di buono per il nostro sistema-paese.


Il forte afflusso di profughi ucraini quali sfide organizzative pone, fra cui la certificazione delle effettive competenze?
Le sfide sono rilevanti e numerose. La certificazione delle effettive competenze è una sfida importante e non sarà facile affrontarla, anche a causa delle difficoltà linguistiche per la comunicazione tra le parti interessate. Non si tratta soltanto di capire quali siano le competenze linguistiche, ma anche di valutare quali sono le capacità professionali dei profughi alla ricerca di una occupazione. L’apprendimento da parte loro di una lingua nazionale è forse la prima e più evidente sfida verso la loro integrazione, non solo nel mercato del lavoro, ma anche nella società svizzera.


Oltre alle sfide, si profilano opportunità di lavoro per gli indigeni? Pensiamo alla creazione di posti quali interpreti, mediatori culturali.
Ci saranno alcune opportunità di lavoro per gli indigeni, ma non permetteranno di fare aumentare in maniera rilevante né il livello occupazionale né quello salariale, visto l’atteggiamento improntato al risparmio della finanza pubblica e quello orientato alla riduzione della remunerazione salariale da parte dell’economia privata.


La permanenza in Svizzera da provvisoria si trasformerà in fenomeno immigratorio?
Ritengo che molte persone in arrivo dall’Ucraina resteranno in Svizzera, dove il tenore di vita è evidentemente più elevato che nel loro paese di origine. Ciò creerà certamente delle tensioni con gli svizzeri, soprattutto per quanto riguarda l’accresciuta concorrenza nel mercato del lavoro, nel quale molti indigeni già faticano a guadagnarsi uno stipendio per vivere degnamente in questo paese. Tutto sommato, le ripercussioni sul piano socioeconomico elvetico saranno più negative che positive.

Pubblicato il

22.04.2022 17:33
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