Gli iracheni non sono stupidi

È toccato al nuovo vicecancelliere e portavoce del governo, Oswald Sigg, fare mercoledì 24 agosto un annuncio che ha lasciato perplessi non pochi giornalisti e politici. Il Consiglio federale, ha detto Sigg, ha provvisoriamente sospeso la vendita di 180 veicoli blindati M-113 all’Iraq, «finché non verranno chiarite le questioni ancora aperte, in particolare quella relativa al fabbisogno ed all’impiego dei veicoli». Formula enigmatica che dice poco e non spiega nulla. Certo, nelle settimane precedenti erano montate le critiche di chi, per diverse ragioni, si oppone a questo commercio di materiale militare, soprattutto perché nessuno aveva la certezza che i veicoli blindati sarebbero stati adoperati davvero allo scopo dichiarato (protezione della polizia irachena, e non impiego militare). Ma perché il governo non avrebbe potuto aspettare ancora? A dire un po’ come stavano le cose era poi intervenuta, su sollecitazione della stampa, la spiegazione di Othmar Wyss, responsabile presso il Segretariato di stato dell’economia (Seco) dei controlli sulle esportazioni. «Abbiamo informazioni secondo cui l’Iraq forse non sarebbe più affatto interessato» all’acquisto dei blindati, ha detto Wyss. E queste informazioni sarebbero servite al ministro dell’economia, Joseph Deiss, per convincere i suoi colleghi consiglieri federali a sospendere l’affare. Nessuno ha però saputo indicare la fonte di tali informazioni, anche se Wyss s’è spinto ad ipotizzare che «forse gli iracheni potrebbero avere problemi con la manutenzione di questi veicoli cingolati» per mancanza di conoscenze specifiche. Il che equivale a dare degli incapaci agli iracheni: cosa francamente non credibile, ma che serve egregiamente ad accreditare l’idea che l’affare è insicuro, e che questo sarebbe il vero motivo della sua sospensione e non la mancanza di certezza sull’impiego finale dei blindati. In realtà la consistenza dell’affare (12 milioni di franchi) non è poi così alta da giustificare tanta preoccupazione sulla sua solidità. È invece una questione di principio. La decisione di vendere i 180 blindati agli Emirati Arabi Uniti, che li avrebbero poi regalati all’Iraq, era stata presa il 29 giugno scorso, probabilmente in seguito all’amichevole richiesta degli Stati Uniti impegnati nella formazione e nell’equipaggiamento della nuova polizia irachena. Ma davanti all’incertezza sull’impiego finale dei blindati, le critiche erano piovute da destra e da sinistra nella Commissione della politica di sicurezza (Cps) del Consiglio nazionale. Da sinistra, perché il commercio di armi ed equipaggiamenti militari è ritenuto immorale e contrario alla legge sul materiale bellico; da destra, perché tale vendita è incompatibile con la neutralità elvetica. In Consiglio federale soltanto Deiss e i due ministri Prd (Merz e Couchepin) erano sicuramente ed in partenza favorevoli. Leuenberger e Calmy-Rey non avrebbero mai dato il loro consenso senza certezze sull’impiego finale dei blindati. Decisivo, quindi, è stato il fatto che i due ministri Udc, Blocher e Schmid, a sorpresa non hanno fatto obiezioni. Ma davanti alle crescenti critiche dei parlamentari di tutti i partiti (anche radicali e democristiani s’erano uniti al coro) e della ministra degli esteri Calmy-Rey, Joseph Deiss aveva dapprima chiesto al Seco di far luce sull’utilizzazione di questi blindati; poi però ha dovuto gettare la spugna. La sospensione ora decisa dal governo ha suscitato ovviamente la soddisfazione di tutti i partiti, ma con accenti e motivazioni differenti. Tra i principali oppositori, il consigliere nazionale verde-alternativo di Zugo e membro della Cps, Josef Lang, non crede alla giustificazione ufficiale del Consiglio federale [vedi intervista qui sotto] e ritiene che il governo abbia «sbagliato i propri calcoli». Per il socialista friburghese Erwin Jutzet, che al Nazionale presiede la Commissione per gli affari esteri, la sospensione non è altro che «un mezzo per salvare la faccia». Democristiani e radicali, quest’ultimi con in prima fila il presidente della Cps, Eduard Engelberger, ora sostengono che l’avevano sempre detto: «Se non si sa dove i blindati vanno a finire e per fare che cosa, uno stop s’impone». Persino gli Udc s’uniscono alla sinistra per dire che il governo ha preso una mezza decisione ed ora s’impone una «rinuncia definitiva». Ma quello con l’Iraq non è attualmente l’unico affare nell’export di armi. Se questo è provvisoriamente sospeso, altri ve ne sono in lista d’attesa. Il Pakistan avrebbe interesse ad acquistare 736 veicoli blindati; il relativo contratto dev’essere però ancora negoziato. L’India ha espresso una richiesta preliminare per componenti di sistemi di difesa antiaerea. E l’industria d’armamenti Ruag, di proprietà interamente federale, vorrebbe aggiudicarsi la manutenzione di armi guidate aria-aria nella Corea del Sud. Come si vede, gli interessi sono notevoli e chi vi si oppone comincia ad innervosire. È di domenica scorsa la notizia che la Ruag, indispettita dalle critiche del consigliere nazionale socialista bernese Paul Günter all’affare dei blindati, ha pensato bene di escludere il parlamentare da una sua giornata d’informazione. Se anche altri parlamentari siano stati “puniti” in questo modo, per adesso non si sa. Intanto, traendo lezione dal caso degli M113, potrebbe essere riveduta la procedura per la vendita di armi all’estero. Il Consiglio federale ha incaricato mercoledì un gruppo interdipartimentale di occuparsi del problema. Il gruppo comprenderà rappresentanti dei Dipartimenti federali della difesa, degli affari esteri, di giustizia e polizia e dell’economia. Signor Lang, la settimana scorsa il Consiglio federale ha rinunciato alla fornitura dei veicoli blindati M-113 all’Iraq, perché questo paese non sarebbe più interessato all’acquisto. Secondo lei, questo è un argomento buono o falso? Se questo argomento si rivelasse esatto, getterebbe una pessima luce sulla professionalità dei commercianti di armi della Ruag. E, detto in linguaggio militare, questo argomento è un petardo fumogeno che dovrebbe proteggere la ritirata del Consiglio federale e non fargli perdere la faccia. Ma la Svizzera ha il diritto di concludere affari del genere con l’esportazione di armamenti? L’affare con l’Iraq è sicuramente in contraddizione con la politica della neutralità, ma non necessariamente con il diritto di neutralità, che prende in considerazione soltanto guerre tra stati. Probabilmente è in contrasto con la legge sul materiale di guerra, che tuttavia è formulata in modo molto blando. Politicamente, l’affare con l’Iraq, come quelli con il Pakistan e con la Corea, significa un accostamento alla “war on terrorism” degli Stati Uniti. Il Consiglio federale si colloca sempre di più nella scia della politica di potere americana. L’affare con l’Iraq è ora accantonato solo provvisoriamente? Io parto dal presupposto che l’affare con l’Iraq sia ormai tolto di mezzo. Tuttavia, dobbiamo rimanere vigili e continuare a mantenere la pressione. Ciò che ora occorre è – per usare ancora un’espressione militare – una seconda offensiva contro l’affare con il Pakistan. Qui c’è in gioco un numero quattro volte maggiore di blindati. Quanto è importante la pressione dell’opinione pubblica contro l’esportazione di armi? La pressione dell’opinione pubblica è decisiva. E viene organizzata soprattutto dalla sinistra. Lo dimostra la votazione all’interno della Commissione della politica di sicurezza (Cps) del Consiglio nazionale. La mia proposta, di chiedere al Consiglio federale la rinuncia all’affare dei blindati, è stata appoggiata da tutti gli otto membri della sinistra ma soltanto da due dei sette rappresentanti dell’Udc. Pertanto è stata respinta con 10 voti a favore e 13 contrari. Condivide l’affermazione del presidente dell’Udc, Ueli Maurer, secondo cui «la neutrale Svizzera non potrebbe mai e poi mai permettersi un tale genere di esportazioni»? In questo sono d’accordo con Ueli Maurer. Vorrei però chiedergli come mai soltanto due dei suoi delegati nella Cps hanno votato nel senso di quanto lui ha affermato. Inoltre, l’Udc si trova davanti alla questione: non dovrebbe la legge sul materiale di guerra essere chiaramente inasprita per proteggere la neutralità?

Pubblicato il

02.09.2005 02:00
Silvano De Pietro