Gli invisibili

"Regolarizzazione dei sans-papiers. Libera circolazione per tutti": da oltre 10 giorni lo striscione campeggia sulla chiesa di Saint Paul a Friburgo. Una chiesa "occupata" da lavoratori, donne e bambini venuti dall’America latina, dall’Africa, dall’Europa. Volti, culture, storie diverse, uniti da un problema comune e dalla volontà di lottare per risolverlo. I sans-papiers (lavoratori senza documenti) chiedono i semplici, fondamentali diritti riconosciuti ad ogni altro cittadino o straniero. Il Governo rifiuta qualsiasi discussione, con gli "illegali" non si parla, o li si ignora o li si reprime. Lo scenario ci riporta indietro, dalla Svizzera del 2001 alla Francia del 1996. Un gruppo di "sans papiers", minacciati di espulsione forzata, stanchi di essere costretti alla clandestinità, chiede e trova rifugio in una chiesa. Tra veglie di solidarietà, sgombri, proteste, nuove occupazioni, scioperi della fame, espulsioni con mezzi militari (gli stessi sindacati di Air France rifiutano l’uso di aerei civili per i rimpatri) viene alla ribalta un problema che concerne tutti. "Non che i parigini siano particolarmente religiosi o amino la chiesa" dice un prete che ha sempre seguito il movimento, "ma non accettano di vedere la polizia che abbatte a colpi d’ascia il portone di un tempio per trascinare fuori donne e bambini". A decine di migliaia scendono in piazza; ministri e politici responsabili della repressione perderanno le successive elezioni. Anche in Germania, dal 1997, si diffonde la protesta contro la criminalizzazione degli stranieri che, alla scadenza del visto o del titolo di soggiorno temporaneo con cui sono arrivati, sono privati di ogni statuto legale, senza diritti né protezione davanti ad autorità, datori di lavori e proprietari. La campagna "Kein Mensch ist illegal" chiama la popolazione alla solidarietà, ispirandosi ad una frase di Elie Wiesel, ex-deportato e premio Nobel per la pace: "Dovete sapere, che nessuno è illegale. Sarebbe una contraddizione in sé. Le persone possono essere belle oppure bellissime. Possono essere giuste oppure ingiuste. Ma illegali? Quando può essere una persona illegale?". Sul fondo vi è dunque la tematica dei diritti dell'essere umano, che dovrebbero garantire anche il diritto alla libera circolazione delle persone, secondo il vecchio principio "la Terra ai Terrestri". Ma la realtà sociale resa visibile dal movimento apre senz’altro molte questioni sul mondo del lavoro. In Svizzera sono stimate tra 150 mila e "diverse centinaia di migliaia" le persone che vivono e lavorano senza diritti, perché sans papiers. Non si tratta "solo" di rifugiati o di immigrati clandestini, ma di lavoratori che per le cause più disparate — e tutte di formalità amministrativa — sono stati letteralmente espulsi dalla legalità. La legge che produce questo effetto risale agli anni trenta, e riflette l’ideologia dell’epoca, che mirava ad unire gli svizzeri considerando gli stranieri come un pericolo. La sua revisione, in corso, non ha occasionato una riflessione sulla libertà di stabilirsi dove si vuole, magari in omaggio alla "flessibilità" del mercato globalizzato. Il progetto introduce invece la discriminazione, razzista, tra lavoratori dell’unione europea e del resto del mondo, corredandola con la discriminazione, classista, che vuole svizzero-compatibili anche quelli del "resto del mondo" se sono dei professionisti di alto livello o dei proprietari di fortune che cercano un rifugio fiscale. L’occupazione in corso a Friburgo, raccogliendo numerose adesioni e solidarietà, offre l’occasione di ripensare le scelte di politica migratoria. Offerta respinta dal Consiglio federale. Davanti ad una domanda urgente di Josef Zisyadis (Pop-Vd) al Nazionale, Ruth Metzler ha tagliato corto. Pascal Couchepin rifiuta anche l’idea di una sanatoria, che rappresenterebbe nientemeno che "la rovina del sistema democratico". Proprio in questi giorni la Grecia, con 11 milioni di abitanti e oltre il 10% di disoccupazione, sta regolarizzando tra i 200 e gli 800mila sans-papiers. Ma il Consiglio federale è convinto che legalizzandone la metà, la Svizzera diverrebbe invece "troppo attrattiva", e sarebbe invasa da un’orda di stranieri che nella vita non desiderano altro che immigrare qui.

Pubblicato il

15.06.2001 01:30
Alvaro Baragiola
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