Gli insegnamenti della Vienna rossa

Vienna balza alla ribalta ogni capodanno con il Concerto della sua Orchestra filarmonica. Pochi conoscono un altro straordinario evento che fece brillare la capitale austriaca all’indomani della prima guerra mondiale. La fine del conflitto significò il rientro di migliaia di soldati dal fronte che non trovando occupazione andarono ad ingrossare la massa di diseredati ridotta alla miseria, senza alloggio proprio, costretta a dormire come capitava!


Alle elezioni del ’19 la coalizione “socialdemocratici-comunisti” che aveva fatto campagna sul diritto di ogni cittadino di avere lavoro, abitazione, educazione, sanità e accesso alla cultura vinse le elezioni e cominciò ad attuare il suo programma.


Simboli del progetto della Rote Wien (Vienna rossa) oggidì più che mai visibili, sono decine di stabili con elementi stilistici notevoli tra “art déco e Bauhaus”, progettati da architetti di grido, eretti in quartieri organizzati secondo un principio urbanistico che oggi definiamo “centripeto”. Ovvero: densificazione per un uso razionale del suolo pubblico, comparti serviti da trasporti pubblici efficienti, palazzi di 4 massimo 5 piani con alloggi moderni (tutti con acqua corrente, toilette) nei cui pressi o ad essi integrati si trova una serie di servizi pubblici: asili nido, scuole, lavanderie, negozi alimentari, centri sanitari, di consulenza per genitori, biblioteche, oltre che luoghi di aggregazione: parchi, piazze e campi sportivi.


A partire dal 1923 il Municipio della grande Vienna, potendo disporre di maggior autonomia, compì un exploit: oltre 64mila alloggi, eretti in 10 anni, destinati prioritariamente alle fasce di popolazione a basso reddito. Dal punto di vista odierno erano piuttosto piccoli, ma mediamente l’affitto rappresentava solo il 4% del salario di un operaio! Un impegno massiccio con migliaia di operai e artigiani all’opera, un impulso all’economia. Un exploit reso possibile da una scelta illuminata di politica finanziaria che verteva sulla ridistribuzione sociale della ricchezza poggiante su tre principi: autofinanziamento, nessun debito bancario, parità di bilancio.


Concretamente: in un primo tempo fu abolita l’imposta sugli alloggi, che colpiva tutti gli affitti con la stessa aliquota, applicandola solo al 20% superiore. In un secondo tempo con l’autonomia fu reintrodotta l’imposta sugli alloggi resa però estremamente progressiva: il 45% dell’importo totale raccolto proveniva dalle abitazioni lussuose che rappresentavano lo 0,5% del totale degli alloggi; rispettivamente il 22% proveniva dall’82% degli alloggi.


Le entrate della tassa sull’alloggio coprivano circa un terzo dei costi edificatori, il resto proveniva dal bilancio generale, alimentato da un complesso sistema d’imposte (in totale 18), sempre retto dal principio di progressione. Per esempio la “tassa di consumo” (odierna Iva), che gravava i generi alimentari in modo uguale, fu sostituita con un’imposta su alimenti e ristorazione di lusso che solo alcuni negozi e ristoranti dovevano pagare. Insomma la politica fiscale mirante a soddisfare i bisogni fondamentali di ogni cittadino colpì i consumi di coloro che avevano un sovrappiù e potevano permettersi di frequentare locali notturni, bar, bordelli, cabaret, corse di cavalli o combattimenti di boxe, che già possedevano un’auto, tenevano i cavalli da corsa e vivevano in appartamenti di lusso – insomma, l’agiata borghesia e i nuovi ricchi.


Nel 1934 la tormenta nazi-fascista generò un colpo di Stato che esautorò il parlamento nazionale e mise fine pure all’esperienza comunale della Rote Wien. Non cancellò però le sue grandi realizzazioni più che mai di attualità a 100 anni di distanza.

Pubblicato il

17.12.2019 18:13
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