Il clamore mediatico delle ultime settimane, suscitato dalle due “morti eccellenti” di Giovanni Paolo II e del principe Ranieri III di Monaco, la maggioranza dei mezzi di comunicazione ha tenuto in ombra due recenti anniversari. Per il loro significato meritano invece d’essere evocati. Sto pensando all’esecuzione nel campo di concentramento di Flossenbürg di un gruppo di cospiratori, il 9 aprile 1945, esattamente due giorni prima della liberazione del Lager di Buchenwald da parte delle truppe americane. La seconda Guerra mondiale si trova alle sue ultime tragiche battute: i tedeschi sono in ritirata e ormai prossimi alla capitolazione, contro di loro premono le guarnigioni alleate da un lato, l’Armata Rossa dall’altro. L’impiccagione dei congiurati superstiti, a Flossenbürg, è uno dei terribili colpi di coda finali di un regime votato alla disfatta. La liberazione dei prigionieri rimasti a Buchenwald è un avvenimento di speranza, a cui hanno tra gli altri reso omaggio domenica scorsa il cancelliere Gerhard Schröder, il Presidente del Comitato centrale degli ebrei in Germania, Paul Spiegel, e il Presidente del Comitato centrale dei Sinti e Rom tedeschi, Romani Rose. Al termine di un processo farsa, il generale Hans Oster, l’ammiraglio Walter-Wilhelm Canaris, il capitano Ludwig Gehre, il giurista Theodor Strünk e il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer sono giustiziati a Flössenburg, il 9 aprile di sessant’anni fa. L’accusa è pesantissima: complotto contro la persona del Führer, tentativo d’assassinio e alto tradimento dello Stato. Figurano tra gli organizzatori del fallito attentato contro Hitler del 20 luglio 1944. Un altro congiurato, il giurista Hans von Dohnanyi, membro eminente del Controspionaggio e cognato di Bonhoeffer, è sottoposto alla pena capitale a Sachsenhausen. Il ministro cattolico Josef Müller, i giuristi Fabian von Schlabrendorf, Klaus Bonhoeffer (fratello minore di Dietrich), Friedrich Justus Perels e Rüdiger Schleicher (altro cognato di Dietrich) subiscono la medesima sorte a Berlino, un paio di settimane dopo. Prima di loro, è caduto sotto la vendetta nazista l’autore materiale del temerario colpo di mano, il generale in pensione e conte Claus Schenk Stauffenberg. La loro uccisione è un’autentica carneficina tra gli alti ranghi dell’esercito, del Controspionaggio militare (Abwehr) e dello Stato, e priva la Germania del dopo-nazismo di personalità prestigiose che avrebbero potuto contribuire alla sua ricostruzione. Porre fine alla barbarie e all’arbitrio, anche tramite l’eliminazione fisica di Hitler, e creare le condizioni di base di un futuro migliore per i tedeschi e l’Europa e il mondo intero sono gli ideali perseguiti dai cospiratori. Agiscono nella consapevolezza di vivere una situazione di frontiera, in tempi di orribile confusione del bene con il male, e si sentono quindi costretti a valicare i confini della legalità e persino dell’etica o della teologia. Da secoli la questione del tirannicidio è controversa; Bonhoeffer e compagni l’affrontano con drammatica serietà, accettando di mettere a repentaglio la loro vita, in vista di un domani di libertà, di democrazia, di giustizia, di pace e di rispetto del diritto. Ispirano le loro azioni anche alla fede cristiana, fatto che spiega la partecipazione attiva di un teologo del calibro di Bonhoeffer al progetto cospirativo. «Io non voglio solo vivere – scrive ad esempio Klaus Bonhoeffer ai genitori, dal carcere, il 31 marzo 1945 –, ma innanzitutto riuscire a fare qualcosa di buono nella vita». Al figlio, il 18 febbraio 1945, in una lettera autorizzata dalla prigione berlinese della Gestapo, Hans von Dohnanyi raccomanda: «Bada soltanto a restare te stesso; la tua fede, la tua patria e la tua famiglia siano la tua fonte di energia». Il 17 gennaio, scrivendo ai genitori dal medesimo luogo, Dietrich costata: «Nell’inattività prodotta da una lunga prigionia si avverte intensamente il bisogno di fare tutto quello che in questi limiti ristretti è possibile per l’insieme della comunità». Ricordare oggi il sacrificio di questi resistenti insieme ai sopravvissuti di Buchenwald e degli altri Lager nazisti è, a mio avviso, un dovere storico e pure morale, un gesto di cultura che rinuncia però a farne degli eroi da gettare in pasto ai leoni della comunicazione di massa.

Pubblicato il 

15.04.05

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