«Gli attacchi militari di Tel Aviv contro Gaza sono crimini di guerra»

Lo storico israeliano Ilan Pappé: basta con la narrativa dell'autodifesa

«Siamo più vicini alla terza Intifada». È il commento ad area di Ilan Pappé*, storico israeliano e direttore del Centro europeo per gli studi palestinesi all'Università di Exeter in Gran Bretagna, sull’escalation di violenze nel conflitto israelo-palestinese dopo l’avvio dell’operazione “Margine protettivo”. «I continui attacchi in corso rafforzeranno la campagna internazionale di boicottaggio contro il governo israeliano (Bds), allontaneranno l’Autorità nazionale palestinese (Anp) dal processo di pace e inaspriranno le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi, ovunque essi si trovino», denuncia Pappé.

 

Qual era l’obiettivo del premier Benjamin Netanyahu con l’operazione “Margine protettivo”?
Netanyahu tenta di trovare un pretesto per cercare di mantenere lo statu quo che è cambiato con la formazione di un governo di unità nazionale tra Fatah e Hamas. Di sicuro, vorrebbe distruggere politicamente Hamas in Cisgiordania e tenerla calma ancora una volta nel ghetto di Gaza. In ultima istanza, Netanyahu spera di lasciare Gaza e la Cisgiordania nelle stesse condizioni in cui le ha tenute da quando è diventato premier. Hamas non vuole che questo si realizzi ma Netanyahu sta usando tutta la sua forza con la speranza di poter costringere il movimento palestinese ad accettare lo statu quo.


Perché per l’esercito israeliano non era sufficiente distruggere i tunnel tra Israele e Gaza per chiudere il conflitto?
La distruzione dei tunnel da parte dell’esercito israeliano non impedisce ad Hamas di resistere all’imposizione del mantenimento dello statu quo, che significa accettare i continui arresti e le uccisioni dei propri sostenitori in Cis­giordania e l’assedio di Gaza. Hamas avrebbe voluto accettare un cessate il fuoco di lunga durata sin dal 2012, ma gli arresti israeliani dei suoi leader e degli attivisti in Cisgiordania sono per il movimento palestinese un atto di guerra in sé. Hamas ha aggiunto nei negoziati la richiesta della fine dell’assedio, per la quale sta combattendo dal 2006. Il movimento aveva siglato un accordo non scritto con Israele per un cessate il fuoco di lunga durata nel 2012 con lo scopo di verificare se l’assedio potesse essere rimosso con mezzi diversi dalla lotta armata. Ora la situazione è cambiata. Hamas vuole soltanto il rilascio dei prigionieri e l’assicurazione internazionale che l’assedio venga alleggerito, se non rimosso.


Hamas può rinunciare ad alcune delle sue richieste, per esempio sulla fine dell’embargo, rilascio dei prigionieri politici e zona marittima di libero scambio a Gaza?
Francamente a nessuna di queste richieste Hamas vorrebbe rinunciare. Per ragioni tattiche, potrebbe voler attendere per la fine completa dell’embargo e la zona marittima di libero scambio a Gaza.


Qual è il filo rosso che unisce il colpo di stato militare del 2013, perpetrato in Egitto dall’ex generale Abdel Fattah al-Sisi, con i presenti attacchi di Israele su Gaza?
I due regimi, israeliano ed egiziano, credono che i militari possano forzare il popolo ad accettare la loro legittimità e le loro visioni. Quando democraticamente il popolo elegge gruppi della galassia dell’Islam politico, la reazione è di solito di non rispettare questa scelta nel nome della democrazia (l’esempio storico che si usa contro gli islamisti è l’ascesa al potere di Hitler con mezzi democratici, ma questa comparazione è solo il risultato dell’islamofobia, non è basata su fatti reali). Nel caso di Israele, non è importante che i palestinesi eleggano democraticamente una leadership islamista o secolare, il governo israeliano tenterebbe comunque di distruggerla con la forza. Anche il regime egiziano probabilmente a questo punto non tollererebbe un’opposizione liberale o di sinistra. In merito alla Striscia di Gaza, entrambi gli stati vogliono lasciarla nell’oblio e credono che ghettizzarla basti per la realizzazione di questo scopo.


La mediazione egiziana nel conflitto tra Israele e Hamas sta prolungando il conflitto? È cambiato qualcosa rispetto alla presidenza Morsi?
Fino a questo punto gli egiziani non sono stati intermediari onesti. È possibile che stiano cambiando parallelamente al coinvolgimento di nuovi attori arabi, inclusa l’Anp. Ma la loro ostilità verso Hamas impedisce al governo egiziano di giocare un ruolo costruttivo. Il valico di Rafah era stato aperto durante la presidenza di Mohammed Morsi. Il fatto che ora resti chiuso è una punizione per il sostegno che Hamas ha accordato a Morsi.


Eppure in Egitto non esiste un movimento pro-Palestina, come nel 2003. Perché?
L’élite militare egiziana vede Hamas come un nemico, e alcune sezioni laiche della società considerano Hamas come una costola dei Fratelli musulmani: il loro principale nemico. Ma il sentimento prevalente nel popolo egiziano è la speranza di vedere un governo, di qualsiasi colore esso sia, che faccia molto di più per la Palestina e i palestinesi.


Stati Uniti e Unione Europea hanno giocato un ruolo per mettere fine agli attacchi israeliani su Gaza?
No, le élites politiche in entrambi i casi hanno accettato la narrativa israeliana dell’auto-difesa e continuano a concedere l’immunità ad Israele, al contrario di quello che le loro società vorrebbero che facessero.


L’Iran sta sostenendo Hamas o non vuole appoggiare il movimento palestinese per l’opposizione dimostrata alla leadership di Bashar al-Assad in Siria (posizione condivisa con i Fratelli musulmani egiziani)?
La resistenza di Hamas a Bashar al-Assad ha posto il movimento palestinese contro gli interessi iraniani. Sembra ci siano nuove connessioni tra Hamas e Teheran ma è ancora presto dire se sono significative.


Ha sostenuto la campagna per un immediato embargo militare verso Israele, a cui hanno aderito intellettuali e artisti di tutto il mondo, da Brian Eno a Roger Waters, perché?
È una campagna politica e morale che ha l’obiettivo di cambiare il discorso mondiale in merito alla Striscia di Gaza. L’operazione israeliana è ancora vista dai media mainstream come un atto di auto-difesa, invece è necessario riconoscere che si tratta di crimini di guerra.


Come valuta la copertura mediatica del conflitto?
I mezzi d’informazione mainstream sottoscrivono ancora la narrativa israeliana, che considera che il conflitto a Gaza si sia iniziato quando Hamas ha lanciato i missili su Israele. Questa ricostruzione manca di contestualizzazione storica, sia immediata sia nel tempo. Non riporta la connessione tra le azioni di Israele contro Hamas in Cisgiordania lo scorso giugno, e il loro legame con l’odierna ondata di violenza, al fatto che i palestinesi sono da quasi dieci anni sotto assedio a Gaza e da quasi cinquant’anni sotto un’occupazione brutale. Neppure si comprende la connessione tra l’ideologia sionista e le presenti politiche di Israele.

 

 

 

*La scheda


Un fautore dello stato binazionale

Ilan Pappé (foto in basso a sinistra) è docente e attivista socialista. Lo storico israeliano è tra i principali sostenitori della campagna globale Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds) che da anni ha lo scopo di promuovere pressioni politiche ed economiche contro Israele perché ponga fine all’occupazione dei territori palestinesi. Nato ad Haifa, è stato docente di Scienze politiche dell’omonima Università, prima di trasferirsi in Gran Bretagna. È autore dei classici: “La pulizia etnica dei Palestinesi” (2006), “Una storia moderna della Palestina: una terra, due popoli“ (2003) e “La Gran Bretagna e il conflitto arabo-israeliano” (1998). Pappé ha tentato di riscrivere la storia della fondazione di Israele (1948) e dell’espulsione di 700.000 palestinesi. Secondo gli scritti di Pappé, il sionismo sarebbe più pericoloso dell’islamismo militante. Per la fine del conflitto, lo storico israeliano appoggia la soluzione di un solo stato bi-nazionale dove vivano sia palestinesi sia israeliani.
Nel 1999, Pappé è stato candidato nelle liste del Partito comunista alle elezioni politiche israeliane.

Pubblicato il

27.08.2014 21:25
Giuseppe Acconcia