Gli appetiti sul cibo

Dall’8 al 13 giugno 2002 si terrà a Roma il Forum delle organizzazioni sociali e non governative sulla Sovranità Alimentare, parallelo al Vertice Mondiale sull’Alimentazione della Fao. Due appuntamenti di grande importanza nel corso dei quali verranno prodotte riflessioni e ricette diverse per affrontare il dramma dell’insicurezza alimentare che affligge nel mondo più di 800 milioni di persone, per attenersi alle stime ufficiali. Al Forum si arriva dopo un lungo lavoro di preparazione anche a causa del rinvio del Vertice Fao che si sarebbe dovuto tenere a novembre dello scorso anno, ma che è slittato a causa dei tragici fatti di Genova e dell’11 settembre (l’insicurezza poliziesca a valere su quella alimentare). Ancora una volta si è avuta testimonianza di come gli interessi collettivi vengano subordinati, nell’attuale definizione dell’agenda internazionale, agli interessi particolari, come si manifesta nella dialettica impari fra le Organizzazioni delle Nazioni Unite, quali la Fao, e quelle che governano e spronano il commercio internazionale, quali il Wto, il cui Summit di Doha non ha dovuto aggiornare i lavori, nonostante la concomitanza di una guerra a poche centinaia di chilometri di distanza e la parziale sovrapposizione temporale con quello che doveva essere il Vertice della Fao. La grande sfida dei movimenti popolari La sfida dei movimenti popolari è dunque quella di ricondurre nell’agenda politica internazionale la questione agricola e alimentare quale chiave degli equilibri del pianeta oltre che della sopravvivenza collettiva, e di riaffermare che la lotta alla fame si può vincere nel momento in cui la si consideri come l’esigenza di dare risposta ad un diritto umano fondamentale e non come la sfida a soddisfare un semplice bisogno primario. Non si tratta di una sciocca distinzione intellettuale o di una questione di lana caprina: la «semplice» attenzione ai bisogni e alla loro soddisfazione non permette che se ne affrontino e rimuovano le cause, o che si individuino obblighi e responsabilità precise che portino alla soluzione dei problemi che vi sono a monte; i bisogni primari vengono così catalogati secondo gerarchie di priorità (la sicurezza alimentare rappresenta senz’altro una priorità, ma questo potrebbe andare a scapito di altre esigenze quali quelle educative o di alloggio) rischiando di affidare la fame a soluzioni caritatevoli e non di sviluppo. Inquadrare invece i problemi del sottosviluppo – e dell’insicurezza alimentare – attraverso gli occhiali dei diritti fondamentali di un essere umano, permette di contemplare responsabilità circostanziate al fine di proteggere e soddisfare tali diritti e di riconoscere il loro carattere universale perseguendo con pari determinazione sia il risultato finale cui si traguarda che le modalità attraverso le quali lo si persegue. Strategie per rimuovere le cause Per capire la differenza che può esserci nei due approcci, si può ricorrere alla esemplificazione fatta da Urban Jonsson rappresentante dell’Unicef per l’Asia meridionale nel corso del Secondo Incontro Internazionale sul Diritto al Cibo e alla Nutrizione tenutosi nel 2000 a Ginevra: «secondo l’approccio legato ai diritti di base può essere gratificante pensare che l’80% dei bambini sono stati vaccinati, mentre secondo l’approccio legato alla piena realizzazione dei diritti umani questo significherebbe che il 20% dei bambini non hanno visto riconosciuto il loro diritto ad essere vaccinati». Sono dunque fondamentali le strategie che si identificano per risolvere i problemi dell’insicurezza alimentare e per rimuoverne le cause, non certo il ricorso a interventi tampone o la moltiplicazione di produzioni che risultano inaccessibili per chi vive nelle periferie del pianeta senza fonti di reddito o con precario accesso alle risorse produttive. Il Forum delle organizzazioni popolari e non governative sulla Sovranità Alimentare concomitante al Vertice Fao del giugno 2002 rappresenta la sede dove approfondire le riflessioni sugli Ogm e la brevettabilità del vivente anche grazie al contributo di centinaia di delegati di tutto il mondo. Non a caso in uno dei documenti di riferimento che preparano i lavori del Forum intitolato «Una strategia della società civile per far fronte alla fame nel mondo» si può leggere un capitolo dal significativo titolo Gli Ogm: la maggiore e più recente minaccia alla sicurezza alimentare. In questo testo si può leggere che sin dal 1996, anno del Summit Mondiale sull’Alimentazione della Faole aziende multinazionali hanno fatto opera di pressione per far passare il principio che i cibi transgenici avrebbero rappresentato una nuova soluzione al problema della fame, mentre invece ne simbolizzano e rappresentano l’aggravarsi delle sue cause. Gli Ogm costituiscono, infatti, una minaccia non solo per il mondo contadino, che non può affrontare l’adozione di una tecnologia estremamente costosa, ma anche per l’agricoltura in generale. L’inquinamento delle risorse genetiche colpisce le stesse fondamenta dell’attività primaria rendendo drammatica la vulnerabilità di quei sistemi agrari «biodiversi» su cui le società contadine costruiscono le loro strategie di sopravvivenza alimentare e di inserimento in uno spazio economico. Il libero accesso a queste risorse genetiche subisce infatti un colpo mortale nel momento in cui viene compromesso un sistema di utilizzazione e rigenerazione delle sementi che viene prima inquinato e poi marginalizzato. La minaccia che incombe finanche sui centri di origine delle specie, come dimostrato dal caso del mais messicano contaminato da varietà transgeniche descritto dall’autorevole rivista Nature lo scorso mese di settembre, rende emblematico l’attacco alle radici stesse dell’agricoltura. La contaminazione genetica caratterizzata da sostanziale irreversibilità rappresenta inoltre una forma originale di assedio (dall’interno, in piccole quantità, pressocché invisibile) che apre brecce nei sistemi agrari costringendoli ad una resa incondizionata. Una pericolosa opportunità di controllo Gli Ogm minacciano in maniera diretta e «brutale» la biodiversità planetaria, con particolare riguardo a quella di interesse agrario, ma rappresentano anche una nuova e più perversa opportunità di controllo su una risorsa strategica come il cibo: la storia può aiutare a capire che i rapporti di potere fra chi detiene la terra e gli strumenti di produzione – quali sono oggi le tecnologie avanzate – e chi non ne dispone, sono determinanti nello stabilire l’accesso al cibo e alle risorse fondamentali alla sua produzione (3/4 delle persone in condizioni di insicurezza alimentare nel mondo vivono in ambienti rurali). Come illustrato da Massimo Montanari nel libro La fame e l’abbondanza, l’introduzione del mais in Europa, a seguito della conquista delle Americhe, fu inizialmente circoscritta agli orti contadini (oltre ai giardini botanici) rappresentando sia una base per l’autosussistenza che una sorta di zona franca rispetto alla corresponsione dei canoni di coltivazione dovuti al proprietario delle terre, in quanto spettanza specifica della famiglia coltivatrice. Alla fine del XVI secolo, però, il mais cominciò a suscitare l’interesse dei proprietari terrieri che lo inclusero a pieno titolo nei patti agrari, adeguando la coltura ai cereali tradizionali per quanto concerneva i canoni di concessione. I contadini cominciarono così a opporre resistenza alla diffusione della coltura, apprezzata invece dai proprietari per la sua produttività tale da consentire notevoli entrate attraverso l’esazione. Entro breve si andarono quindi a definire due livelli di consumo fra loro separati e non comunicanti: la popolazione contadina era spinta e di fatto costretta a consumare mais, mentre il frumento finiva ad alto prezzo su mercati per lo più urbani, permettendo nel XVII e XVIII secolo l’accumulo di rendite dei proprietari terrieri. In questo senso, conclude Montanari, l’impoverimento della dieta contadina, fattasi ancora più monotona che in passato, fu funzionale allo sviluppo del capitalismo agrario. Una interpretazione attualizzata di quanto accadde nelle campagne europee in età moderna permette di comprendere quale impatto possono riservare le colture transgeniche, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Vale la pena provare a traslare nel tempo – fino a oggi – alcuni elementi messi in luce dalla sintetica illustrazione dell’ingresso del mais in Europa: i canoni di coltivazione diventano le royalties da riconoscere ai sensi del diritto brevettale sulle sementi; l’asservimento ad uno schema di coltivazione imposto da rigidi termini mezzadrili si aggiorna nel vincolo contrattuale che con l’acquisto delle sementi Ogm impedisce la risemina dei raccolti che ne derivano, salvo un nuovo pagamento dei diritti brevettuali; l’oligarchia terriera si trasforma in un nucleo ristretto di giganti del sistema agroindustriale; la separazione fra due distinti sistemi di consumo si traduce nella trasformazione in grande scala industriale e zootecnica delle commodities manipolate geneticamente a far da contrasto ad un paniere di prodotti di qualità per un mercato d’élite; la gogna e l’espulsione dalle terre dei contadini e dei coloni inadempienti agli obblighi delle decime si modernizzano nelle sanzioni inflitte dai tribunali dove compagnie come la Monsanto trascinano gli agricoltori sui cui terreni gli investigatori al soldo delle multinazionali trovano piante coperte da brevetto. Il Forum sulla Sovranità Alimentare rappresenta quindi il luogo di incontro non solo fisico dell’insieme delle organizzazioni e dei movimenti che hanno individuato nel grande tema della sovranità alimentare, ossia la lotta per la democrazia alimentare e per la centralità contadina, la sfida da lanciare alla comunità internazionale e ai centri di potere locali e nazionali, una sfida che vede negli oligopoli agroalimentari la prima delle controparti. È fin troppo facile riconoscere nelle multinazionali l’espressione delle attuali forme di controllo e dominio sugli alimenti e su chi li produce: sono i nuovi ’dittatori alimentari’ in un mondo trasformato in un pool ristretto di poche monocolture coperte da brevetto, un sistema agricolo e alimentare non più espressione di un bene collettivo. Per queste fondamentali ragioni le organizzazioni popolari e non-governative hanno riconosciuto nel Forum sulla Sovranità Alimentare la sede e l’occasione per lanciare un appello per una moratoria sull’uso di colture transgeniche e ribadire che sul vivente la logica brevettuale deve considerarsi inapplicabile. * Greenpeace Italia

Pubblicato il

07.06.2002 01:30
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