Giustizia rallentata

Qualche giorno prima dell’incontro italo-svizzero sulle rogatorie, abbiamo incontrato e raccolto le preoccupazioni del Procuratore generale del Canton Ticino Luca Marcellini, membro della delegazione svizzera. Procuratore Marcellini, lei essendo a capo della procura ticinese è, come si suol dire, al fronte per quanto riguarda la collaborazione giudiziaria tra Svizzera e Italia. Come ha accolto, da uomo di diritto e da magistrato, la nuova normativa italiana di ratifica dell’accordo italo-svizzero in materia di rogatorie? La procura del Cantone Ticino è una di quelle procure, come dice lei, al fronte per quanto riguarda le rogatorie (ndr richieste di assistenza giudiziaria). Essendo, il Canton Ticino, una piazza finanziaria di lingua italiana appena oltre il confine con l’Italia, si è confrontati quasi quotidianamente con richieste di collaborazione giudiziaria da parte di procure italiane. Abbiamo ricevuto, e tutt’ora riceviamo, centinaia di richieste d’assistenza giudiziaria dall’Italia. Negli anni, la collaborazione è andata migliorando, affinando la prassi e stabilendo buoni rapporti professionali tra noi e i colleghi delle procure italiane. Infatti, lo spirito dell’accordo italo-svizzero del settembre 1998 era, da un lato, di consolidare una collaborazione già sviluppatasi negli anni e dall’altro di facilitare il compimento di certi passaggi burocratici. La Svizzera, come noto, ha una legislazione piuttosto complessa in tema di rogatorie. La volontà dei magistrati, di tutti i paesi, è quella di giungere a delle semplificazioni. Tutti ci rendiamo conto della necessità dell’interscambio di informazioni e mezzi di prova in campo giudiziario. Il nostro paese, pur tra mille difficoltà e polemiche, aveva ratificato quest’accordo pochi mesi dopo la firma. L’Italia ha atteso alcuni anni prima di arrivare alla ratifica. Purtroppo e a sorpresa il legislativo italiano, al momento della ratifica ha inserito o modificato delle norme di procedura penale interne che, dal nostro punto di vista, rischiano di complicare e rallentare la collaborazione giudiziaria internazionale. Quali sono le norme che più vi preoccupano? L’aspetto che ci inquieta molto è quello relativo all’autenticazione delle prove acquisite all’estero. Ora nella prassi svizzera, vale come garanzia della conformità dei documenti inviati all’autorità giudiziaria estera, la lettera con la quale l’autorità rogata trasmette all’autorità rogante i documenti che ha raccolto. Si presume che se uno Stato (nel nostro caso la Svizzera) trasmette ad un altro (l’Italia) gli esiti delle perquisizioni che ha compiuto e la documentazione che ha raccolto in banca, trasmette dei documenti che siano conformi agli originali che ha potuto raccogliere. Con questa nuova normativa, o dalle interpretazioni che si vogliono dare, si richiederebbe una sorta di autenticazione formale di ogni singolo documento, indicando che ciascuna copia sia conforme all’originale. Questo complicherebbe notevolmente il nostro lavoro. Si parla di migliaia e migliaia di documenti. E si tratta di un istituto completamente estraneo alla nostra procedura penale. Nel nostro ordinamento una fotocopia è ritenuta conforme all’originale fino a prova del contrario. Non abbiamo quindi neppure una procedura in proposito e del resto, non ci è neppure ben chiaro come dovremmo realizzare questo tipo di autentiche. D’altronde il fatto di considerare quale prova di conformità della documentazione la lettera accompagnatoria con cui l’autorità estera trasmette all’autorità richiedente quanto raccolto, non è un’invenzione della Svizzera, ma corrisponde ad una prassi internazionale instauratasi da anni fra i vari paesi che hanno sottoscritto la Convenzione europea di assistenza giudiziaria del 1959, compresa anche l’Italia. Il secondo aspetto è che questa normativa diventa applicabile, da subito, anche alle rogatorie già eseguite e presenti in procedure non ancora giunte a giudizio definitivo. Questo vuol dire che un atto raccolto per rogatoria uno o più anni fa e che sia contenuto in fascicolo processuale pendente in Italia non sarebbe più utilizzabile. E devo dire che questo ci sorprende molto. È chiaro che le normative possono cambiare ma generalmente, almeno secondo i nostri concetti procedurali, se è vero che le garanzie supplementari sono applicabili immediatamente, si salvaguardano comunque gli atti già compiuti conformemente al diritto previgente. Se così non fosse si rischierebbe sistematicamente, ad ogni riforma procedurale, di rendere inutilizzabili tutti gli atti compiuti prima. Si rischia quindi l’azzeramento della collaborazione giudiziaria tra Italia e Svizzera degli ultimi 10 anni? Se dovesse essere applicata nel modo che taluni sostengono, sì. Le rogatorie già eseguite potrebbero dover essere ripetute, posto che una ripetizione fosse ancora possibile. In Italia si sostiene che queste norme aumentino il grado di garanzia dell’imputato… Nel contesto della procedura svizzera le parti interessate hanno già avuto modo di vedere, con facoltà di ricorso (ndr con tre gradi di giudizio), quali documenti bancari, ad esempio, erano stati raccolti che sarebbero stati trasmessi all’autorità giudiziaria italiana. Questa facoltà di ricorso è stata utilizzata ampiamente nel corso di questi anni. La garanzia che la documentazione fosse conforme era già implicita, perché gli interessati avevano già avuto modo di verificarlo. Si è cercata, secondo me, una soluzione garantista a un problema che in realtà non sussisteva. Queste norme compromettono anche la lotta al terrorismo internazionale? Una normativa che ostacoli la collaborazione internazionale si ripercuote necessariamente su tutte le indagini riguardanti attività criminose transnazionali. E queste attività sono legate al traffico di droga, alle attività terroristiche, alle organizzazioni criminali come al riciclaggio di danaro. Per noi si pongono problemi anche sulla lotta alla criminalità transfrontaliera di ogni grandezza. Proprio nei giorni scorsi il Tribunale della libertà di Milano ha ordinato la scarcerazione di un sospettato di riciclaggio, arrestato nell’ambito di un’inchiesta condotta parallelamente dalla procura di Varese e da quella ticinese, perché non ha ritenuto utilizzabili degli atti da noi trasmessi nell’ambito di quest’inchiesta congiunta. La necessità di interscambi tra procure al giorno d’oggi, è fondamentale per combattere la criminalità ed è quotidiana. Lo ripetiamo sempre: le frontiere esistono solo per noi, ma non certo per i criminali. Quindi, anche un’inchiesta che parte dal Canton Ticino rischia di essere annullata? Non precisamente, il problema si pone per le inchieste che vengono condotte dall’autorità giudiziaria svizzera e da quella italiana su una medesima fattispecie. L’esempio tipico sono le operazioni di riciclaggio. In questi casi vi è una consegna di mezzi di prova spontanea e diretta per condurre insieme, chi da una parte e chi dall’altra del confine, l’inchiesta. Anche a questo tipo di indagini si vorrebbe applicare, per analogia, la nuova normativa sulle rogatorie, con il rischio concreto di comprometterne la fattibilità. Di fatto, le norme italiane intervengono sul diritto estero, vincolando le autorità svizzere? Rischia di condizionarle fortemente. Ed è anche per questo che l’autorità federale sta valutando quali saranno le conseguenze. A seconda delle interpretazioni che verranno date, si rischia di snaturare gli intenti stessi dell’accordo italo-svizzero. Spesso, a volte anche con ragione, dall’estero ci si lamenta dei tempi lunghi svizzeri. È chiaro che questo tipo di critiche mal si conciliano con il fatto che un paese dell’Unione europea vari normative che contribuiscono ad allungare i tempi.

Pubblicato il

30.11.2001 04:00
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