Ogni mercoledì si incontrano a Mendrisio a discutere di attualità politica. Il partito liberalsocialista ticinese si configura piuttosto come un gruppo di discussione che come un partito politico nel senso più tradizionale del termine. Tant’è vero che, a differenza degli altri partiti che presenteranno delle liste per le elezioni politiche di aprile, il partito liberalsocialista non intende neppure elaborare un programma elettorale propriamente detto. «Noi ci appoggiamo a delle idee-forza fondamentali sulle quali elaborare assieme ai cittadini un progetto di società», ci spiega Rossano Bervini che nel nostro incontro ha fatto da portavoce del gruppo. Dunque è stato stilato un manifesto articolato in dodici capitoletti. Ma, appunto, vi si ritroverà piuttosto indicazioni di una certa linea di condotta piuttosto che prammatiche prese di posizione circa specifici problemi politici. I liberalsocialisti in fondo promuovono una particolare concezione filosofica. Si veda, ad esempio, l’ultimo punto del manifesto. È l’invito ad «un reciproco amore compassionevole» quale via privilegiata per l’essere umano per «continuare con gioia la sua avventura sul pianeta terra». Si direbbe quasi un ammaestramento religioso ancor prima che politico. Ma Bervini sostiene che la politica può benissimo dare risposte normalmente appaltate dalle religioni. Una lacuna da colmare perché «nella società civile la gente non ritrova amore». È forse vero il contrario visto che normalmente l’agire politico è condizionato da una condotta “machiavellica” per cui il fine giustificherebbe ogni mezzo. «Questo è un punto che accomuna tutti i partiti: gli obiettivi sono prioritari rispetto al metodo di far politica». Invece il metodo è importante, perché «se utilizzato eticamente, cioè scegliendo in ogni circostanza il bene, dà serenità ad una persona», sostiene Bervini. Un’etica laicamente intesa. Il partito liberalsocialista si batte per la laicità dello Stato. Una delle battaglie condotte riguarda l’insegnamento religioso nelle scuole. «Andrebbe sostituito con lezioni sulla storia delle religioni, è assurdo che lo Stato – peraltro obbligato dalla Costituzione a tutelare la libertà religiosa – paghi un indottrinamento univoco». Libertà religiosa che comprende anche il diritto di non credere. Chiediamo perché riprendere un’ideologia politica che storicamente è già esistita. «Niente di nuovo in realtà», dichiara Bervini, «io già nel 1991 propugnavo le idee liberalsocialiste». Evidentemente per i due termini che contiene, non si sa se conciliabili, il liberalsocialismo resta difficile da collocare. Partendo dalle coordinate attuali l’eterna domanda sarà: ma stanno a destra in quanto liberali o a sinistra in quanto socialisti? Se non assimilabili, i liberalsocialisti si sentono vicini all’area radicale del partito liberale? Bervini lo esclude con fermezza perché «chi è liberale appartiene ad un partito di potere ed ubbidisce a dei grandi capi, risponde ad un consesso di notabili». I liberalsocialisti si sentono lontani dal “Partitone” anche perché hanno «osato lanciare delle idee senza il sostegno di una lobby». Una snellezza d’apparato che permette loro di mantenere anche una certa agilità di pensiero. Ciò che si riflette, appunto, anche nella rinuncia alla stesura di un programma politico nel senso tradizionale del termine che rischierebbe di ingabbiare l’evolversi della discussione politica. Niente programmi, solo idee-forza. Ma nella quotidianità dei processi decisionali anche i liberalsocilisti sono attesi al varco. Ricordiamo loro che, ad esempio, il Ps non ha giudicato positivamente la presa di posizione dei liberalsocialisti a favore del “ticket” alle scuole private. Bervini spiega che era stato travisato lo spirito della presa di posizione del suo partito: «si trattava di una riforma liberale: la libertà di insegnamento esiste quando c’è la possibilità di scegliere». E aggiunge: «anche in questo caso vale il principio della concorrenza: è la scuola pubblica che deve provvedere, migliorandosi, a tenersi gli allievi». E, rimanendo ancora nel concreto, è quasi inevitabile finire a discutere di strategie elettorali. È il clima di questi mesi a dettare il tema. Secondo Bervini bisognerebbe puntare a creare una «federazione di sinistra, una sorta di polo progressista». L’obiettivo contabile, ma soprattutto non utopico, è di ritornare ad avere due consiglieri di Stato di sinstra. Le forze elettorali ci sarebbero se consideriamo che «almeno una persona su quattro è progressista». È l’elettorato che deve credere ad una forza progressista. Un obiettivo che i liberalsocialisti demandano al Ps che «dovrebbe puntare a a conquistare due seggi in Consiglio di Stato». Un posto in Governo a scapito di chi? «Noi siamo gli unici a sostenere che la Lega dei ticinesi deve uscire dall’Esecutivo cantonale: perché è pericolosa, arreca danni di immagine ed è inconcludente», precisa Bervini. La sfida è stata lanciata. Troveremo mai un Consiglio di Stato meno sbilanciato sul versante borghese? Se ci saranno novità le porterà la prossima primavera. Una storia che inizia nel XIX secolo Il pensiero liberalsocialista si sviluppa già nel contesto della Rivoluzione francese. Continua con l’economista e pensatore Pierre-Joseph Proudhon che entrò in contatto con Marx pur non aderendo alla soluzione marxista. Nel liberalsocialismo si esprime il tentativo di conciliare tre diverse istanze della tradizione politica moderna: libertà (come autonomia individuale rispetto allo stato); partecipazione (dei cittadini alle scelte di governo); giustizia sociale (come tendenziale e relativo egualitarismo economico). Il termine “Liberalsocialismo” diede poi il nome al movimento antifascista, formatosi intorno al 1936, che ebbe tra i suoi fondatori G. Calogero e A. Capitini. Ma i precedenti alle tesi liberalsocialiste le troviamo in Carlo Rosselli, autore del libro “Socialismo liberale”, in cui proponeva una sintesi tra principi del liberalismo e del socialismo non marxista. Nel 1929 Rosselli fondò assieme ad Emilio Lussu il movimento politico antifascista “Giustizia e libertà”. Gli uomini di Gl parteciparono alla Resistenza con proprie formazini partigiane e nel 1942 diedero vita al Partito d’azione.

Pubblicato il 

01.11.02

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