Giochi d’azzardo (o di bitcoin)

Il progetto di Lugano, che vuole diventare “capitale europea delle criptovalute”, suscita qualche perplessità. Per il professor Sergio Rossi si tratta di “un sistema che non conviene né alle imprese, né ai cittadini”

Buoni propositi per il futuro? Lugano butta le carte in tavola e dal mazzo esce la carta matta, che non si chiama più jolly, ma bitcoin. La Città punta in alto: vuole diventare la “capitale europea delle criptovalute”. Diventiamo moderni: che si paghino imposte e tasse con i soldi virtuali, mentre si parla di progetti di milioni e milioni di franchi per attrarre sul territorio start-up del settore. Giochi d’azzardo o giochi sensati?

 

Le criptomonete, da realtà virtuale, si sono fatte materia nelle traiettorie e scorciatoie della rete, fino a varcare i confini fisici e diventare valuta alternativa a quella emessa dagli Stati. Nel gioco sono saltati dentro El Salvador, il più piccolo paese sudamericano sei mesi fa ha deciso di darle corso legale. Alla congrega si è aggiunta Dubai, che ha approvato la legge sui beni virtuali per, twitta il sovrano, «stabilire la posizione degli Emirati Arabi come un attore chiave nella progettazione del futuro degli asset virtuali a livello globale».

Fra sceicchi, dromedari e criptovalute, la Svizzera non sta a guardare. Si è mossa Zugo, lanciando la sua “Crypto Valley”, dopo essere già stata nel 2016 la prima città al mondo ad accettare i pagamenti in bitcoin a fini fiscali. Tenta ora di entrare nel circuito Lugano con un progetto assai ambizioso. Ne abbiamo parlato con Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friburgo.

 

Professor Rossi, Lugano vuole diventare capitale europea delle criptovalute. È una politica lungimirante o simile a un gioco d’azzardo?

Si tratta di una moda che alcune autorità comunali o cantonali vogliono seguire per dare l’impressione di essere al passo con i tempi e soprattutto per lanciare un segnale alle società finanziarie, pensando di attirarle in questo modo nel proprio territorio. In realtà, è una moda molto pericolosa, nella misura in cui lo Stato potrebbe subire delle perdite fiscali qualora non trasformasse subito in franchi svizzeri le somme incassate in criptovalute. Se tale rischio di cambio fosse trasferito a una azienda privata, lo Stato dovrebbe allora pagare le spese fatturate dall’azienda che si occuperà di trasformare in franchi le somme di criptovalute.

 

Facciamo un passo indietro e confessiamo la nostra poca dimestichezza in materia: non palleggiamo neppure il vocabolario e il confine, addirittura semantico, si cementifica fino a diventare muro. Scusi l’ignoranza, ma che cosa è un bitcoin?

Il bitcoin è un gettone crittografato, cioè una catena di numeri registrata da una rete di computer attraverso cui si possono fare delle transazioni economiche pagate tramite il trasferimento di questo gettone dall’acquirente al venditore di un oggetto qualsiasi, di natura commerciale o finanziaria. Questo gettone è stato inventato per evitare di dover svolgere i pagamenti tramite il sistema bancario, formato dalla banca centrale e dalle banche commerciali, che nel loro insieme emettono la moneta nazionale. Per ottenere dei bitcoin ci sono due possibilità. La prima è mettere a disposizione una enorme potenza di calcolo tramite una serie di computer con i quali riusciamo a risolvere dei problemi matematici complessi che il sistema Bitcoin ci sottopone, per ricevere in cambio da questo sistema un certo numero di bitcoin. Oppure possiamo acquistare bitcoin nelle apposite piattaforme su Internet, in cambio per esempio di una somma di franchi svizzeri.

 

Perché il bitcoin vale così tanto… tanto da farlo diventare moneta legale? Davvero lo possiamo considerare alla stregua della moneta corrente? I franchi non bastavano più?

Il bitcoin attira un certo numero di ignari risparmiatori, in quanto pensano di essere così al riparo dall’inflazione, visto che ci sarà un numero massimo di bitcoin in circolazione, mentre non c’è alcun limite all’emissione di franchi svizzeri da parte delle banche, i cui crediti concessi per attività finanziarie fanno perdere potere di acquisto a questi franchi. Il bitcoin non può tuttavia essere considerato alla stregua del franco svizzero, perché chi possiede dei bitcoin non ha alcuna sicurezza di non perderli da un giorno all’altro, mentre chi possiede un deposito in franchi svizzeri è protetto fino a un importo di 100.000 franchi da un fondo di garanzia finanziato dalle banche che operano in Svizzera.

 

Il fatto che i bitcoin e le monete virtuali vengano comprate per rivenderle, sperando in un loro apprezzamento, non li identifica in beni speculativi? E se sì, è giusto che lo Stato incoraggi questo tipo di transazioni?

I bitcoin e molte altre criptovalute sono in realtà degli oggetti speculativi. Lo Stato non dovrebbe tollerare la loro esistenza all’esterno del sistema bancario, perché aumentano l’instabilità e la fragilità finanziaria nell’insieme dell’economia, sottraendo anche risorse fiscali nella misura in cui queste criptovalute sono usate per evadere le imposte.

 

Il vero successo o fallimento del progetto sarà la reazione delle imprese e dei cittadini che vivono a Lugano. Per ora pochi negozianti hanno adottato un sistema di pagamento criptato. Perché il cittadino comune dovrebbe preferire questo tipo di pagamento, che sembra essere più confacente a imprese e banche?

Si tratta di un sistema che non conviene né alle imprese né ai cittadini. Ciò di cui essi hanno bisogno è guadagnare un reddito, tramite la vendita dei loro prodotti nel caso delle imprese o tramite la remunerazione del lavoro svolto se si tratta dei cittadini. Tale reddito dovrebbe essere versato loro in franchi, perché si tratta della moneta nazionale emessa dall’insieme del sistema bancario e regolamentata da varie leggi e meccanismi che danno garanzie ben maggiori di quanto possano oggi offrire le criptovalute.

 

Chi regolamenta e chi supervisiona le criptovalute? Quali sono i rischi operativi e di sicurezza?

La Finma ha già emesso delle direttive a questo riguardo, ma l’approccio molto liberale delle autorità svizzere non aiuta certamente a regolamentare la rapida evoluzione delle criptovalute. Esiste un coacervo di società finanziarie nel campo delle criptovalute che si trovano nell’economia virtuale, puramente numerica e senza alcun ancoraggio con la realtà di un territorio qualsiasi, sia esso elvetico o europeo. I rischi operativi e quelli di sicurezza sono notevoli e riguardano la possibilità di “hackeraggio” del portafoglio che contiene gli averi in criptovalute, oppure l’interdizione di usare le criptovalute per una serie di pagamenti. La sicurezza informatica non è mai assoluta, come hanno mostrato anche alcuni recenti casi eclatanti in Svizzera.

 

Come viene garantita la riserva di una moneta tanto volatile per non correre rischi di perdere tutto il capitale di bitcoin? E, proprio a causa di questa natura, il sistema non è in contrasto con le politiche pubbliche che devono fare investimenti più prudenti rispetto al settore privato?

Il sistema che emette questa criptovaluta ha una riserva formata da depositi in diverse monete nazionali, soprattutto dollari statunitensi. In questo modo si spera di garantire i portafogli di bitcoin con un attivo di riserva, che rende questa criptovaluta meno instabile nel mercato dei cambi. Resta il fatto che le criptovalute sono inutili per fare ripartire le attività economiche, se non c’è dispendio nel territorio dove si trovano le imprese e le persone che cercano una occupazione correttamente remunerata. Lo Stato dovrebbe aumentare la propria spesa in funzione anticiclica, invece di voler attirare le “fintech” attive nel campo delle criptovalute, con i rischi a esse connesse.

 

Chi diffida teme che si inneschi un sistema di loschi affari e che Lugano possa diventare una piattaforma di riciclaggio: sono monete trasparenti?

Per definizione e costruzione, le criptovalute non sono trasparenti, anche se è possibile risalire agli aventi diritto economico, in quanto tutte le transazioni in criptovalute sono tracciabili. Molte criptovalute sono usate nell’economia sommersa, anche per questioni di anonimato e di riciclaggio di denaro. Ciò comporta dei notevoli rischi reputazionali, che dovrebbero indurre il settore pubblico a non entrare in contatto con le criptovalute, né a maggior ragione a volerle promuovere.

 

I bitcoin sono idealmente una soluzione aperta a tutti, ma è davvero un mercato egualitario?

Idealmente, tutti possono accedere ai bitcoin, dato che non necessitano di essere titolari di un conto bancario. Ma chi non ha soldi o chi guadagna troppo poco per condurre una vita dignitosa verosimilmente non si interesserà alle criptovalute, tranne nel caso in cui avrà la malsana idea di speculare su questi oggetti finanziari nel tentativo di guadagnare ciò che né il mercato del lavoro né le assicurazioni sociali gli permettono di ottenere sul piano economico.

Pubblicato il

14.04.2022 20:12
Raffaella Brignoni
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