Nell’arco di dieci giorni i lavoratori del pubblico impiego hanno incrociato le braccia per ben due volte, il 4 maggio, poi il 14 maggio. Due giornate di sciopero che molti hanno definito “storiche”, contrassegnate da un’importante contestazione di piazza, dove sono scese, ad ogni occasione, circa diecimila persone. Ma la protesta non ha minimamente turbato il governo ginevrino. Preso tra due fuochi – l’allarmante debito pubblico e le minacce di altri scioperi – l’esecutivo ha fatto capire che si curerà soltanto di spegnere il primo incendio, proseguendo sulla strada del risanamento del bilancio. E ai sindacati del pubblico impiego, federati sotto l’insegna del Cartel intersyndical, ha fatto pervenire un invito a sedersi al tavolo delle discussioni, puntando a sedare gli ardori del pubblico impiego. Ma è un gesto ipocrita, perché il governo ha già detto, ufficialmente, che non intende rimettere in discussione il “piano di austerità” (che dovrebbe risolvere i problemi finanziari del cantone). Addirittura alcune misure sono già state adottate, con spregio per la pubblica protesta.
A quale scopo invitare le forze sindacali al dialogo se tutto è stato deciso? Il dado della provocazione è tratto: i sindacati hanno allora indetto altre due giornate di sciopero, il 10 e il 14 giugno. E se il governo rimarrà nuovamente sordo di fronte alle rivendicazioni dei lavoratori, allora «la protesta riprenderà a settembre», promette Fabrice Scheffre, membro del Cartel. Una contestazione che si farà, purtroppo, a carico dei lavoratori: circa 500 franchi al giorno vengono infatti trattenuti dalle buste paga per ogni singola partecipazione allo sciopero.
Negli ultimi giorni il confronto sociale si è, dunque, inasprito. E, ad una prima analisi, il conflitto sembra insanabile. Da una parte, infatti, i partiti della destra continuano ad alimentare il clima di tensione, sfornando a ripetizione disegni di legge che prefigurano l’indebolimento (alcuni parlano di abolizione) dello statuto dei lavoratori del pubblico impiego. Le forze della destra (liberali, radicali, cristiano-democrati e Udc), che occupano la maggioranza dei seggi in parlamento, si sono messe in testa che l’unica maniera di risanare le finanze pubbliche consiste a tagliare sussidi e fondi compensativi, a congelare assunzioni e aumenti salariali.
Lo strumento che dovrebbe riportare l’equilibrio tra i conti pubblici è stato battezzato, un po’ pomposamente, “Piano finanziario quadriennale”. L’obiettivo dichiarato è azzerare il deficit (non il debito) in tre anni, da oggi al 2007. Per raggiungere questo scopo, ad occhio e croce, si dovrebbero generare economie per almeno 150 milioni di franchi all’anno. Ma c’è di più. Perché, se si vuole risolvere il problema del debito pubblico (circa 11 miliardi di franchi), che cresce di un miliardo all’anno, non ci sono altre soluzioni che mettere l’amministrazione pubblica sotto la tutela del governo. A questo fine è stato concepito il progetto “GE-Pilote”, un altro strumento di gestione finanziaria cantonale che si basa sull’attribuzione di “capitoli limitati” di spesa ai vari dipartimenti. Uno strumento che entrerà in vigore in settembre e che obbliga le istanze pubbliche a non andare oltre i limiti imposti dall’esecutivo. Tra le misure di austerità, da una parte, e il controllo delle spese, dall’altra, il cantone sarà preso in una morsa asfissiante. Le prestazioni pubbliche – insegnamento, sanità, sicurezza, ecc., – saranno ridotte al lumicino, allorché la popolazione aumenta e, con essa, le richieste di intervento da parte dello Stato, nel settore dell’educazione, come delle infrastrutture ospedaliere o dei trasporti.
«Così per raggiungere il tanto ambito equilibrio finanziario il governo dovrà risolversi a innalzare un muro attorno al cantone, con lo scopo di scongiurare la crescita demografica»: ormai, di fronte alla cecità delle autorità, agli analisti non resta che usare l’arma dell’ironia. Altri credono invece che lo smantellamento del pubblico impiego è il primo passo verso il raggiungimento di un obiettivo di marca neoliberale: sottrarre allo Stato i servizi pubblici, scuole, ospedali, ecc., per darli in pasto all’impresa privata. Paure e diffidenze, grandi e piccole, sono all’ordine del giorno, mentre fervono i preparativi per gli appuntamenti del 10 e 14 giugno. |