Ginevra perde pezzi di storia

Dietro la Ginevra altezzosa, quella del lusso sfrenato, pochi sanno che freme un'altra realtà che ha portato, soprattutto nel corso degli anni '90, a fare della città sul Lemano la capitale europea degli squats con ben 140 case occupate da un migliaio di inquilini. «Il fenomeno squats ginevrino è un'eccezione sulla scala europea. La sua peculiarità non è dovuta semplicemente alle sue dimensioni ma anche al suo carattere politicizzato, alla sua centralità nello spazio pubblico e al sostegno popolare cui beneficia» racconta il sociologo ginevrino Jean Rossiaud che nel 2004 pubblicò un documento dedicato a questo fenomeno*. Oggi questa realtà sembra in via di estinzione.

È una giornata di pioggia battente quella scelta dalla polizia e dalle autorità cantonali per gettare nel Rodano le chiavi del Rhino, lo squat storico di Ginevra, inaugurato nell'88. In poco meno di cinque ore, le forze dell'ordine, non senza qualche scontro, l'uso di lacrimogeni e di cannoni ad acqua, sono riuscite nel loro intento facendo sgomberare, uno dopo l'altro, i tre edifici che compongono lo squat nel cuore della città. Qualche giorno prima, la stessa sorte era toccata a un altro edificio, quello de La Tour. E già si annuncia, tra qualche settimana, la fine dell'Arabesque, uno stabile di cinque piani occupato dal '94. Ed è probabile che poi si continui in questa direzione. Del resto il fenomeno non è nuovo: dei 140 edifici squattati catalogati verso la metà degli anni '90 ne restano ormai soltanto 27. Il procuratore Bernard Bertossa aveva dato inizio alla politica della "tolleranza zero" nei confronti degli squatters – in particolare dichiarando illegale l'occupazione di locali commerciali – ma è soprattutto il suo successore, Daniel Zappelli in carica dal 2002 ad aver stretto le viti dopo che la bolla speculativa nel settore immobiliare era esplosa. Nell'era Zappelli 100 squats hanno chiuso i battenti. Lo stesso Rhino aveva già rischiato grosso nel 2005.
A Ginevra gli alloggi lasciati vuoti si sono ridotti incredibilmente negli ultimi anni: dalla speculazione estrema si è infatti tornati alla ristrutturazione di stabili così che oggi sono solo un magro 0,12 per cento degli edifici è vacante «e la carenza di alloggi da occupare uccide, lentamente ma inesorabilmente, il movimento squats», commenta il prof. Rossiaud, anche se molti sostengono che questa sia solo una delle ragioni del loro morire. Secondo alcuni il movimento squat con il tempo avrebbe perso la sua forza culturale, la sua motivazione politica rimasta viva soltanto in alcuni irriducibili ma ormai assente in squatters più "recenti", più propensi a vivere l'avventura dell'occupazione come un'esperienza della vita da assaporare temporaneamente ma in cui non credono realmente e per questo meno disposti a difenderla strenuamente in caso di minaccia di disparizione.

Tutto nacque alle "Grottes"

La disparizione degli squats metterebbe fine a un tassello della storia ginevrina: amati e odiati, gli squatters di Ginevra sono infatti riusciti negli anni ad intrecciarsi nel tessuto urbano e beneficiare di una certa tolleranza politica e sociale.
«Le origini del fenomeno risalgono agli inizi degli anni '70 quando un gruppo di urbanisti e di speculatori avevano avanzato l'idea di rinnovare il quartiere delle Grottes, dietro la stazione, per creare appartamenti di lusso da appartamenti di proprietà della città in cui alloggiavano soprattutto operai e famiglie a basso reddito» spiega Rossiaud. Siamo in un periodo storico particolare, il '68 è ancora freschissimo, le lotte sociali, comunitarie sono all'apice: sfrattare delle persone per fini speculativi non va proprio giù a un gruppo di militanti sempre più ampio che inizia ad occupare gli appartamenti già svuotati o a vivere in appartamenti di operai, dividendo l'affitto per dividere anche la lotta per l'alloggio. Si crea così un movimento popolare molto forte progressivamente sostenuto anche dal mondo politico di sinistra, un sostegno che darà linfa e una certa legalità all'occupazione e che porterà ai cosiddetti "contrats de confiance", dei contratti che prevedono di lasciare gli squatters nelle case fintanto che non sono previsti progetti concreti di ristrutturazione dello stabile.
Da allora le occupazioni si sviluppano  in favore di un urbanismo al servizio degli abitanti, contro le evacuazioni e gli affitti alle stelle «E il fenomeno non fa che rafforzarsi tra gli anni '80 e '90 quando la speculazione immobiliare è alle stelle, quando il prezzo di uno stabile può passare da uno a due milioni nello spazio di un giorno; quando lasciare vuoti gli edifici è il gioco preferito degli speculatori desiderosi soltanto di veder aumentare i prezzi di un bene sempre più raro» racconta il sociologo «una situazione che spinge alcuni squatters non soltanto a lottare contro la proprietà privata ma a schierarsi in favore di uno stile di vita in completa rottura con il mondo borghese e piccolo-borghese». Parallelamente, accanto alle occupazioni strettamente politiche e legate alla difesa dell'alloggio, fanno capolino occupazioni con un'altra filosofia, in difesa di spazi culturali autonomi in cui sperimentare nuove forme artistiche. In quegli anni si può osservare un mosaico di gruppi e movimenti così simili – tutti lottano per una società diversa e più equa  – ma nel contempo così diversi nella forma di espressione che regalano alla città una ricchezza sociale, politica e culturale unica. È in questo denso contesto che nasce Rhino. «Il giorno che fu occupato erano ben 4mila le persone in piazza a manifestare e tra questi vi erano anche due consiglieri di stato socialisti», ricorda Rossiaud.
Il proliferare di squats forse in parte indebolisce negli anni le motivazioni degli occupanti: non tutti sognano di creare nuove forme culturali, di battersi per ideali. E la tolleranza zero e la scarsità di alloggi vuoti fa la sua parte.

E adesso che si fa?

«Nel corso degli anni il fenomeno squats ha assunto volti e toni e diversi» afferma Rossiaud che aggiunge «Oggi è troppo presto per dire che cosa succederà domani, per dire se siamo realmente giunti alla fine dell'era squats. Di certo siamo in una nuova fase. Di certo quel desiderio di autonomia e di cultura alternativa tipico degli squatters, tipico di Rhino (che non era solo una casa occupata ma è stato anche sale concerti, una biblioteca, un ristorante a prezzi popolari in cui si svolgevano dibatti, un asilo nido, ndr) è comunque ancora troppo vivo per spegnersi. E altresì vero che perché ci siano degli squats occorrono degli stabili da occupare. E mai come oggi lo spazio è mancato al mercato immobiliare. L'autonomia collettiva dovrà dunque avvenire in altro modo: le coperative sono un esempio di soluzione cui azzardo un ampio successo. Del resto ne esistono già, rinate sulle ceneri di alcuni squats, nelle mani di ex squatters», conclude Jean Rossiaud.
Per quel che ne è di Rhino dall'autunno prossimo dovrebbe accogliere una ventina di appartamenti ad affitto bloccato per la durata di cinque anni, poi il proprietario potrà farne ciò che vuole….

* Jean Rossiaud, Le mouvement squats à Genève: 1975-2003. Luttes urbaines, expériences communautaires, affirmation locale d'une contre-culture globale, Equinoxe, 2004


"Il problema è delicato"

Maria Roth-Bernasconi sostiene gli squatters con un piccolo dubbio.

Sono molte le critiche rivolte alla sinistra ginevrina che ha lasciato che il suo Consigliere di Stato non intervenisse davanti allo sgombero di Rhino e addirittura dissuadesse i propri colleghi di partito dal partecipare alla manifestazione di sostegno agli squatters. Dall'altro si critica quella tranche di Ps che ancora sostiene gli squats. "A vederli così, ingenuamente romantici, ci si dice che farebbero meglio a restare a casa propria a fumare un cannone", si leggeva qualche settimana fa nel settimanale romando L'Hebdo. Tra questi "romantici" che alla "manif" hanno partecipato, la Consigliera nazionale, ex municipale ginevrina Maria Roth-Bernasconi. area l'ha incontrata.

Come si spiega che una città come Ginevra sia diventata famosa per la maggiore concentrazione di case occupate? Una volontà o una debolezza politica?
Accettare l'occupazione non fu debolezza bensì l'espressione dell'essere di Ginevra, di questa sua apertura, di questo suo pragmatismo politico. Agli inizi degli anni '70 s'iniziò a lottare  per un alloggio, e a prezzi decenti. Fu una lotta politica sempre più condivisa dal movimento politico di sinistra che, pur non essendo mai stato maggioritario è comunque stato abbastanza forte da far accettare soluzioni importanti come il cosiddetto "contrat de confiance" (vedi articolo precedente, ndr), anche quando al comando vi erano politici liberali. E i risultati di questa volontà politica globale poi si sono visti: a Ginevra abbiamo conosciuto pochissime manifestazioni finite male come invece è accaduto in altre città, per esempio a Zurigo. Sugli squats si è saputo trovare un compromesso che ha accontentato (quasi) tutti per anni.
Da qualche anno l'atmosfera è un po' cambiata: prima con il procuratore Bertossa, ora con Zappelli il numero di squats a Ginevra diminuisce a vista d'occhio.
Bertossa sosteneva la necessità di rispettare la legge non dimenticando però che anche lasciare alloggi vuoti costituisce una forma di violazione della legge. Per questo prese decisioni più pragmatiche di Zappelli,
E in merito al suo successore Zappelli, lei in queste settimane ha spesso detto che il procuratore comportandosi così, «fa della politica e non della giurisprudenza».
Ci sono procedure giudiziarie in corso ma Zappelli ha espulso gli squatters ancor prima che il giudizio fosse esecutivo. E vero che il ruolo di procuratore è anche politico ma vi sono altri sistemi per riportare l'ordine in città che non facendolo "alla Sarkozy". Se sul principio evacuazione si può discutere, quello che mi lascia decisamente perplessa è il modo di farlo, utilizzando la "grosse artillerie". A Ginevra  non eravamo affatto abituati a questi mezzi peraltro per nulla necessari.
In passato la sinistra è sempre stata unita, ora invece siete più divisi. Addirittura dietro lo sgombero vi è un consigliere di Stato socialista, ex avvocato dell'Asloca (associazione svizzera degli inquilini). Cosa è cambiato politicamente?
La situazione non è così semplice. Anche a sinistra oggi troviamo persone che affermano che i tempi della speculazione sono finiti e che dunque gli squats non sono più così tollerabili come lo erano in passato. Del resto è vero che se c'è effettivamente un progetto di ristrutturazione pronto sul tavolo, magari un progetto di alloggi sociali, io sono d'accordo di espellere gli occupanti. Del resto queste erano le condizioni accettate dagli stessi squatters nel contrat de confiance. Ma è anche vero che espulsioni avvenute tre o quattro anni fa con la promessa di ristrutturazione, si sono rivelate "inutili" perché nessun lavoro è ancora stato effettuato.
Ma è la fine degli squats ginevrini?
Quello che purtroppo molti spesso dimenticano è che Rhino ma anche altri squats non sono solo degli alloggi ma anche dei centri culturali, dei caffè, degli asili nido; sono luoghi di accoglienza. Gli squats possono forse anche finire ma questa "solidarietà", questo "spirito culturale e politico", questa "vitalità" non si esauriranno mai. Quello che ci si può chiedere è dove andrà a finire l'espressione di questa Ginevra?
E che dire della crisi dell'alloggio: come spiegare il suo perdurare?
A creare la crisi è l'esiguità estrema del territorio. A farla durare è una certa incoerenza: i ginevrini si oppongono alla costruzione della città fuori dal centro; i comuni circostanti si oppongono all'arrivo di nuove costruzioni nelle loro zone. E ai ginevrini non piace nemmeno l'idea di vedersi arrivare nuovi vicini accanto a casa propria. A questo si aggiunge il fatto che la destra, spesso maggioritaria, si oppone sovente alla costruzione di alloggi che non siano ville e villette… Eppure tutti si dicono desiderosi di risolvere la crisi dell'alloggio. Ma come si fa a trovare una soluzione in queste condizioni?
Ma quale soluzione si potrebbe immaginare?
Si potrebbe guardare la situazione dal punto di vista transfrontaliero, in una cooperazione politica con la Francia, nostra vicina, da cui giungono molte persone. Anche se è vero che, non essendo membri Ue, ragionare in questi termini diventa un poco imbarazzante… In ogni caso è necessaria più volontà politica ed evitare che a gestire l'immobiliare sia l'economia e la finanza, con i risultati che oggi sono i nostri occhi.

Pubblicato il

24.08.2007 01:00
Fabia Bottani