Già vecchi a 45 anni

L’iniziativa “contro l’immigrazione di massa”, approvata il 9 febbraio dell’anno scorso, con la sua forte connotazione xenofoba e di ostilità verso l’economia, rimane deprecabile. Ma un effetto positivo l’ha sortito: quello di aver provocato tra i datori di lavoro un ripensamento riguardo alla possibilità di utilizzare meglio i lavoratori anziani, facilmente espulsi dalle aziende dopo i 45-50 anni, togliendo dagli annunci di ricerca di personale il requisito del limite massimo di età. È un segnale che da circa un anno viene ripetutamente lanciato dall’Unione svizzera degli imprenditori (Usi).

 

Ma un conto sono gli auspici, le raccomandazioni, le direttive diffuse dalle organizzazioni padronali, altro è la pratica dei datori di lavoro, spesso lenti ad adeguarsi e diffidenti verso ogni forma di apertura nei confronti del personale. È quindi ancora molto ciò che resta da fare, per esempio nella lotta contro la discriminazione in base all’età, quale si riscontra principalmente negli annunci delle offerte di lavoro. A differenza che in Europa e persino negli Stati Uniti, in Svizzera la libertà contrattuale consente alle imprese di indicare espressamente, nella selezione del personale da assumere, il criterio dell’età quale elemento discriminante.


In un’inchiesta condotta per conto del Tages-Anzeiger, il portale di consulenza online Jobs.ch ha esaminato quasi 25.000 annunci di ricerca di personale, considerando il criterio dell’età. Sul totale di 24.897, solo 20 inserzioni (vale a dire lo 0,08 per cento) cercavano esplicitamente candidati tra i 45 e i 65 anni d’età. Altri 204 annunci, grazie alla formula “età ideale a partire dai 35 anni”, indicavano la precisa categoria d’età compresa tra i 35 e i 65 anni. Per il resto del campione, a dominare era la specifica indicazione di un limite di età massima: fino a 24 anni (0,4 per cento), fino a 34 anni (2,4 per cento), fino a 44 anni (3,9 er cento), da 25 a 34 anni (1 per cento), da 25 a 44 anni (3,5 per cento). E mentre l’11,2 per cento delle inserzioni considerate si rivolgeva esplicitamente a candidati più giovani, meno dell’1 per cento cercava lavoratori anziani.


Tutto questo è in evidente contraddizione con l’intenzione dichiarata di voler utilizzare meglio le risorse di esperienza e capacità possedute dai lavoratori in avanti con gli anni. Eppure, nel 2013 vivevano in Svizzera 2,4 milioni di persone in età tra i 45 e i 65 anni, il che rappresentava oltre un terzo (34 per cento) della popolazione totale. Inoltre, la fascia di età superiore ai 40 anni costituisce l’unico segmento di popolazione numericamente in crescita. Ciò nonostante, la prassi dimostra che molti imprenditori non tengono affatto in considerazione il potenziale di lavoratori anziani. D’altronde, negli ultimi mesi la stampa ha riferito con una certa regolarità di crescenti e sistematici licenziamenti di lavoratori di età superiore ai 50 anni, che poi hanno ovviamente difficoltà a trovare un nuovo posto di lavoro.


Spesso capi del personale e consulenti accantonano i dossier relativi a questi lavoratori con motivazioni che possono apparire anche superficiali ed ingiuste: troppo vecchio, troppo costoso, troppo lento, poco flessibile, e così via. «Questa immagine non corrisponde alla realtà del mercato del lavoro», hanno scritto due consulenti, Brigitte Reemts e Toni Nadig, in un commento pubblicato lo scorso autunno sulla NZZ. «E tanto più sorprendente è che se ne blateri con tanta veemenza. In Svizzera ci sono attualmente 4,8 milioni di persone attive, un lavoratore su tre ha attualmente più di 50 anni, e sono ancora attivi i tre quarti (75 per cento) di quelli con un’età compresa tra i 50 e i 64 anni. La disoccupazione tra gli ultracinquantenni è del 2,6 per cento, cioè sotto il valore complessivo del 3 per cento», precisano i due consulenti.


Sono dati, questi, in contrasto con la realtà occupazionale del nostro paese. E allora, di che parlano quelli che scartano i lavoratori anziani?
Certo, ci vuole prudenza nel formulare accuse. Molti imprenditori non sono pregiudizialmente orientati contro l’assunzione di lavoratori anziani, ma usano il requisito del limite d’età, forse con leggerezza e senza pensarci troppo, solo come strumento per contenere il numero delle candidature. E lo fanno anche quando non lo scrivono nell’annuncio, ma lo adoperano ugualmente in fase di selezione delle candidature. Tanto che ora sono le stesse organizzazioni padronali a raccomandare di non ricorrere al criterio dei limiti d’età. Alla conferenza nazionale sui lavoratori anziani, convocata in aprile dal consigliere federale Johann Schneider-Ammann, «l’Unione svizzera degli imprenditori ha presentato diverse misure per contribuire alla crescita dell’occupazione», nell’ambito delle quali «i datori di lavoro pubblici e privati si impegnano a rinunciare a menzionare in tutti gli annunci di offerte di lavoro l’età quale criterio di selezione, purché questo non sia oggettivamente necessario», ha scritto il direttore dell’Unione padronale Roland Müller.


L’impegno è condiviso anche dall’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam). In ogni caso, secondo il professore emerito Norbert Thom dell’Università di Berna, anche se «nessuno riconosce che la discriminazione in base all’età è molto diffusa», tuttavia i requisiti dell’età rappresentano «una enorme delusione» per i salariati anziani che hanno perso il lavoro e cercano una nuova occupazione. La disponibilità delle organizzazioni padronali non basta e comunque è interessata. Come nel caso della lotta alle discriminazioni verso le donne, la via da percorrere rimane ancora lunga.

Pubblicato il

03.06.2015 00:00
Silvano De Pietro