Gettito, gli sgravi contano poco

Si sa, dati statistiche tabelle e grafici possono dire tutto e il contrario di tutto. L’oggettività è sempre e solo presunta, non è che una parvenza (o un frammento) di realtà, una bandiera agitata come meglio conviene. Depositario e dispensatore a sapienti dosi dei dati ufficiali sull’economia cantonale, il Dipartimento delle finanze e dell’economia (Dfe) questo lo sa sin troppo bene. O se non lo sa, l’ottusità ideologica che lo pervade lo porta comunque ad agire di conseguenza. La votazione sull’iniziativa popolare “I soldi ci sono” offre ai suoi alti funzionari e alla ministra Marina Masoni un’altra occasione per propinare all’elettorato una sfilza di dati “oggettivi”, molti dei quali usati per supportare la tesi secondo cui a minori aliquote fiscali sull’utile e sul capitale delle persone giuridiche corrisponderebbe un maggior gettito fiscale (sempre delle persone giuridiche). L’economista Ronny Bianchi, editorialista del quotidiano laRegioneTicino e autore del saggio economico Quando Marylin torna di moda (Salvioni, 2004), respinge questa tesi – ormai spacciata per assioma – e sostiene invece che il gettito delle persone giuridiche dipende più dal ciclo congiunturale che dagli stimoli fiscali. Il Dfe e il Consiglio di Stato (cfr. Rapporto sull’iniziativa “I soldi ci sono”, 12 gennaio 2005, p. 15) dicono che a minori aliquote sulle persone giuridiche (Pg) corrisponde un aumento del gettito fiscale delle Pg. È d’accordo? Da un punto di vista teorico questa idea è stata elaborata da Arthur Laffer. Secondo questo economista una riduzione delle aliquote fiscale libera capitale per nuovi investimenti. Nuovi investimenti portano ad una maggior attività economica, dunque a un aumento dei consumi e, soprattutto, dei redditi. Alla fine del processo quanto lo Stato ha perso con la riduzione delle aliquote lo recupera con il maggior reddito. In pratica la cosa è un po’ più complicata. Empiricamente la relazione non è mai stata dimostrata anche perché è necessario considerare molti elementi, tra i quali il quadro economico ed istituzionale del paese che adotta questa politica. Ma l’elemento principale è che non necessariamente le aziende decidono di investire il maggior capitale disponibile. Possono, ad esempio, tesaurizzarlo. Oppure posticipare l’investimento perché le prospettive sono negative. Insomma, la relazione è complicata e tutt’altro che evidente. Anche in Ticino la teoria di Laffer non sembra funzionare. La curva del gettito delle persone giuridiche sembra seguire molto più il ciclo congiunturale che non gli stimoli fiscali. Esso infatti è cresciuto sino al 2000 [vedi tabella sotto, ndr] per poi diminuire in modo marcato negli ultimi anni e questo sia in termini assoluti (circa 50 milioni in meno) che per abitante (circa 200 franchi). Lei su laRegioneTicino ha invitato recentemente a considerare i dati relativi alla ricchezza in Ticino (il Pil e reddito pro capite) alla luce dell’evoluzione congiunturale generale e non unicamente in relazione alla politica di sgravi fiscali. Quali conclusioni possiamo trarre adottando questo punto di vista? L’analisi dei dati, sia del Prodotto interno lordo (Pil) che del reddito mostra una situazione chiara e indiscutibile. La posizione economica del cantone è peggiorata negli ultimi anni. Il divario con il resto del paese si è accentuato. E la differenza è diventata chiara a partire dal 2000 per quanto riguarda il Pil per abitante mentre per quanto riguarda il reddito, dopo la ripresa tra il 1996 e il 1999, la crescita si arrestata tant’è che il cantone è passato dalla 17esima alla 23esima posizione. Le conclusioni sono relativamente semplici. La politica degli sgravi non ha contribuito a rilanciare l’economia cantonale che continua a soffrire di una forte debolezza strutturale. Che faccia più o meno piacere, la nostra economia dipende quasi esclusivamente dalla piazza finanziaria ticinese. Tutto il resto – o quasi – è poco competitivo. Qual è a suo avviso il peso del criterio fiscale nella scelta di un’impresa di insediarsi o di restare in Ticino? Qui torniamo al primo punto. Chiaramente l’aspetto fiscale ha il suo peso, ma non è sufficiente. Le faccio un esempio estremo. Lei pensa che un imprenditore andrebbe ad aprire un’attività in Somalia anche se l’imposizione fiscale sulle persone giuridiche fosse zero? Oppure pensa che una ditta europea o americana delocalizza in Cina perché il livello fiscale è competitivo? Ripeto, sono esempi estremi, ma è semplicemente per sottolineare che altri fattori sono importanti: formazione, personale qualificato, servizi, vie di comunicazione e, soprattutto, economie di scala. Oggi tutti i paesi industrializzati stanno praticando dei forti sgravi fiscali. Ma se tutti vanno in questa direzione quali sono i vantaggi reali per un’azienda? Gli stessi di quando le aliquote erano più alte e simili in tutti i paesi: la competitività globale del sistema paese o della regione. I contrari all’iniziativa Mps sostengono che in caso di “sì” banche e grosse società non esiteranno a spostare gli utili dove fiscalmente conviene loro e che quindi il gettito complessivo delle Pg diminuirà invece di aumentare. È d’accordo? Perché allora non l’hanno fatto prima del ‘98, quando l’aliquota sull’utile era del 13 (dal ‘95) e addirittura del 15 per cento (fino al ‘94)? Io credo che le banche sono in Ticino e rimarranno in Ticino perché hanno dei vantaggi evidenti, che non sono certamente quelli fiscali (o non solo). Che poi possano spostare gli utili è un altro discorso. Ma a me non sembra che in passato – quando, come lei giustamente nota, le aliquote era decisamente più alte – abbiano spostato gli utili nel canton Zugo o in altri posti simili. E non credo che lo faranno nemmeno in futuro [come conferma la portavoce del Crédit Suisse nell’intervista sopra, ndr].

Pubblicato il

22.04.2005 03:30
Stefano Guerra
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