Germania, ipotesi variopinte

Nella recente storia tedesca non era mai successo che, a quasi una settimana dal responso delle urne, regnasse tanta incertezza riguardo al futuro governo del paese. Il risultato elettorale di domenica scorsa è, in effetti, il rebus più complicato con cui la classe politica tedesca è costretta a misurarsi dal lontano 1949. Quelle che sino all’ultimo momento sembravano elezioni dall’esito scontato si sono rivelate, invece, una partita aperta. La Cdu/Csu guidata da Angela Merkel, che i sondaggi hanno dato vincente per mesi (attribuendole per un lungo periodo addirittura la maggioranza assoluta), alla fine è riuscita a raccogliere appena il 35,2 per cento dei consensi: molto meno di quanto ottenuto da Edmund Stoiber nel 2002 ed in assoluto uno dei peggiori risultati di sempre per i democristiani. La Spd del cancelliere Gerhard Schröder, data dai sondaggi e dai mass media per spacciata, è riuscita, invece, nell’impresa di rimontare l’enorme distacco e piazzarsi a un soffio dai democristiani. Con il 34,3 per cento dei voti e solo tre seggi in meno della Cdu, l’Spd ottiene un risultato tra i meno brillanti della sua storia, ma, visto come si erano messe le cose, si comprende la soddisfazione di Schröder e dei suoi. Del calo dei due principali partiti hanno approfittato le formazioni più piccole: i Verdi, che con l’8,1 per cento hanno confermato sostanzialmente il buon risultato del 2002, e soprattutto i liberali dell’Fdp, che con il 9,8 per cento hanno ottenuto uno dei migliori risultati di sempre. Ma il successo forse più clamoroso lo ha ottenuto la Linke/Pds guidata da Gregor Gysi e Oskar Lafontaine, che, insultata dal resto del mondo politico e snobbata dai mezzi d’informazione, ha raccolto l’8,7 per cento dei consensi, raddoppiando così il risultato ottenuto dalla sola Pds nel 2002, anche grazie al superamento della fatidica soglia del 5 per cento in diversi Länder occidentali. Sfumata la possibilità per i rosso-verdi di continuare a governare e della coalizione conservatrice di prenderne il posto, risultati alla mano è chiaro che la formazione di un nuovo governo assume le caratteristiche di un percorso ad ostacoli. Il primo problema nasce dal fatto che sia Angela Merkel che Gerhard Schröder reclamano per sé il cancellierato. Di norma è il leader del partito più forte uscito dalle urne a ricevere l’incarico, quindi spetterebbe alla Merkel, ma Schröder, nel suo primo intervento pubblico dopo il voto, ha messo le mani avanti, sottolineando che la sua concorrente, in realtà, guida una coalizione tra la Cdu e i cugini bavaresi della Csu e che è quindi l’Spd il primo partito tedesco e di conseguenza l’incarico spetta a lui. Un sofisma da azzeccagarbugli, certo, ma allo stesso tempo un chiaro segnale di quanto la Spd sia intenzionata ad alzare la posta in gioco in vista di una “Grosse Koalition” coi rivali democristiani. Al momento, però, si fa un gran parlare anche di altre possibili alchimie politiche. Esclusa una coalizione di sinistra tra Spd, verdi e Linke (la distanza programmatica è enorme, almeno quanto la reciproca avversione tra Schröder e Lafontaine), i socialdemocratici stanno facendo di tutto per convincere l’Fdp a governare assieme a loro ed ai verdi. Tale soluzione, detta “semaforo” dal colore dei tre partiti, permetterebbe, infatti, a Schröder di continuare ad essere il cancelliere. Dal leader liberale Guido Westerwelle continuano, però, a giungere rifiuti e si capisce: fare da stampella ad un governo rosso-verde costerebbe carissimo in termini elettorali e programmatici ai portabandiera del neoliberismo più radicale. Da parte sua la Cdu sta facendo pressione sui Verdi perché sostengano Angela Merkel assieme ai liberali. Anche questa soluzione (i tedeschi hanno preso a chiamarla “Giamaica” dai colori della bandiera nera, gialla e verde dello stato caraibico), però, non sembra avere un grande futuro, vista l’oggettiva distanza del programma ecologista da quello conservatore. A parte il nuovo ricorso alle urne (ma sarebbe un dramma per i tedeschi che da sempre mettono al primo posto la stabilità e dietro ogni crisi politica vedono lo spettro di Weimar), o avventurosi governi di minoranza destinati a durare pochi mesi, a questo punto l’unica via percorribile appare la grande coalizione tra Spd e Cdu/Csu cui si accennava prima. Ma come realizzarla se né Merkel, né Schröder si decidono a fare un passo indietro? Secondo alcuni analisti (ma dopo le cantonate prese dagli esperti in queste elezioni è opportuno dubitare di tutto) la svolta potrebbe arrivare dai governatori dei Länder. Dopo settimane di infruttuose trattative a 360 gradi, i due grandi partiti potrebbero, infatti, trovare un compromesso su un terzo nome. Ad esempio su quello del ministro-presidente democristiano dell’Assia Roland Koch. A fargli da vice sarebbe un suo collega socialdemocratico. La grande coalizione guidata dai governatori continuerebbe sulla strada dei tagli al welfare, ma senza calcare troppo la mano, visto che, dopo due anni al massimo, Cdu e Spd si ripresenterebbero agli elettori per un mandato più esplicito. Niente più che un’ipotesi, forse solo un po’ più credibile delle tante voci che circolano in questi giorni. A quasi una settimana dal voto la politica tedesca, per il momento, ha solo questo da offrire. Commento Tra le tante incertezze uscite domenica scorsa dalle urne in Germania c’è solo un punto fermo: in democrazia l’ultima parola spetta (ancora) agli elettori. Sembra una banalità, ma in tempi di riforme economiche varate dai governi su indicazione dei poteri forti e di successi, e fallimenti, politici costruiti dai mass media sulla base di semplici sondaggi, la sovranità popolare appare troppo spesso relegata al ruolo di vecchio, inutile arnese. Domenica scorsa l’elettorato tedesco, incurante di quanto ripetevano da mesi i principali istituti demoscopici e delle tirate dei sedicenti esperti di economia sulla necessità di un ulteriore giro di vite neoliberista, ha scelto di testa propria, sbarrando il passo alla coalizione conservatrice guidata da Angela Merkel. A sommare il risultato elettorale dell’Spd con quello dei Verdi e della Linke appare chiaro che in Germania oggi c’è una maggioranza di sinistra. A livello politico, almeno per il momento, questa maggioranza non è in grado di governare assieme, a causa di odi personali, veti incrociati ed oggettive differenze programmatiche, ma i suoi elettori, pur con sfumature diverse, sono accomunati dalla volontà di salvare il salvabile del modello sociale tedesco. Sarà pure una reazione di paura di fronte al nuovo, come la definiscono certi commentatori politici cui evidentemente non va giù di aver sbagliato in pieno i pronostici, ma, se di paura si tratta, è una paura più che legittima, legata alla prospettiva di perdere il posto di lavoro, o di salvarlo scambiandolo coi diritti, di vedere precipitare il potere d’acquisto del proprio salario e in definitiva di andare incontro ad una società che, dal fisco, alla sanità, alle pensioni, è caratterizzata da differenze sempre maggiori tra poveri e ricchi.

Pubblicato il

23.09.2005 03:30
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