Quanto sta capitando ai confini tra Gaza e Israele è indubbiamente sconvolgente. Trovo però rivoltante che i governi occidentali, compresi il nostro e i media mainstream, mentre denunciano in termini durissimi i massacri di cui si è macchiata Hamas, banalizzano o addirittura sottacciono i crimini di guerra e il terrorismo di stato di cui, e non da oggi, è responsabile il governo israeliano. Una decina d’anni fa sono stato sia nei Territori Occupati, dove vigono un ferreo apartheid ed una violenta repressione della popolazione palestinese, anche a Gaza. Ho potuto quindi vedere con i miei occhi come la situazione dei palestinesi nei Territori Occupati corrisponda a quella di un popolo duramente oppresso da una potenza coloniale, con l’aggiunta dei maltrattamenti di cui sono vittime da parte di molti dei coloni israeliani. Tutto ciò avviene in disprezzo del diritto internazionale e di innumerevoli risoluzioni dell’Onu: ma anche di questo i nostri governanti fanno finta di non accorgersene. Queste violazioni sono tali solo quando sono attribuibili a Putin. Ancora peggiore è la situazione a Gaza, dove in un territorio equivalente a quello tra Magadino e Biasca, sono accatastati 2,2 milioni di palestinesi, che, per usare le loro parole, muoiono lentamente in quello che è il peggior carcere a cielo aperto che la storia ricordi. Il controllo di ingressi e uscite di persone, cibo, medicinali, elettricità, frontiere di mare, di terra e di aria, tutto è in mano a Israele. Circa due terzi della popolazione sono disoccupati, il grado di povertà spaventoso. Anche tutto ciò è contrario a qualsiasi convenzione internazionale, ma Israele continua a godere di un’impunità concessa a nessun altro stato. Per chi vive a Gaza i concetti di pace e di vita normale sono un’astrazione incomprensibile. E solo rendendosi conto di ciò si può cercare di capire, anche se assolutamente non giustificare, il retroterra psicologico che ha spinto i miliziani di Hamas a compiere gli orribili massacri al rave party dei giovani o nelle case di molte famiglie durante la prima giornata di combattimenti. Mi riferisco in particolare a quanto ci ha insegnato, ai tempi delle lotte di liberazione contro il colonialismo, lo psichiatra Franz Fanon (dei cui libri allora tutti ci nutrivamo), secondo il quale la violenza e il trauma coloniale causano effetti psicopatologici devastanti, tra cui la scomparsa di quei canoni di empatia e di sensibilità che sono prerogativa primaria di chi vive in pace. Oggi la popolazione di Gaza, la cui età media è attorno ai 20 anni, è già sopravvissuta ad almeno quattro devastanti bombardamenti (2008, 2012, 2014, 2022). Non dimentichiamo poi la tattica israeliana di sparare in modo mirato ai manifestanti, quasi tutti giovanissimi, durante le proteste pacifiche, come quelle del 2018. Ecco perché per molti giovani la resistenza armata, anche quando sfocia nel terrorismo, rappresenta quasi l’unica possibilità di sfuggire alla depressione cronica, ai pensieri suicidali o all’inedia più totale. Nel momento in cui batto queste righe, le cifre ufficiali da Gaza parlano di quasi 4.000 morti, di cui 1.500 bambini. È molto probabile che queste cifre, già ora spaventose, cresceranno ancora di molto e probabilmente si avvicineranno a quel rapporto 20:1, tra morti ammazzati palestinesi ed israeliani, che è stata un po’ la regola negli ultimi decenni. Approfittando del fatto che Biden abbia ottenuto, anche se poi ha fatto bocciare all’Onu la risoluzione che chiedeva l’armistizio immediato, l’apertura parziale del confine egiziano per gli aiuti umanitari, il gruppo medici del ForumAlternativo ha lanciato una raccolta di fondi che faremo pervenire all’Ong italo-americana PCRF, da anni attiva negli ospedali di Gaza. In termini generali la situazione rimane però disperata. L’Occidente considera difatti Israele, compreso il suo arsenale atomico, come elemento fondamentale della strategia con cui la Nato, cioè Washington, vuole controllare il mondo. All’interno di questo schema, non c’è posto per i palestinesi. E finché sarà così, la pace sarà sempre minacciata, non solo in Medio Oriente, ma in tutto il mondo. |